Yellen in Cina, sulle tracce di Deng Xiaoping
La segretaria al Tesoro americana inizia il suo viaggio da Guangzhou e rievoca lo storico viaggio del 1992 con cui Deng Xiaoping diede nuovo impulso alle riforme. Un messaggio per Xi Jinping, che un recente ciclo di contenuti di Xinhua ha paragonato proprio al "piccolo timoniere"
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Perché Israele non riconosce la Palestina come nazione?
A Israele non stanno bene i confini attuali. Riconoscere lo stato arabo significherebbe rinunciare a tutte le mire territoriali attuali. A tornare nei confini originali del 1948. E questo a loro non conviene. Questo è il motivo per cui alimentano e coccolano il terrorismo, come se fosse l'unico strumento per mantenere questo stato di guerra perenne, che permette, poco alla volta, di continuare a strappare territori. E intanto sfoltire la popolazione locale. La decimazione. Ma anche peggio… ben oltre il 10%. Questo fa israele da 50 anni. E la cosa davvero triste è per quanto cinico sta pure funzionando. E' il tipo caso in cui dai una mano a qualcuno e quello si prende l'intero braccio. Appena i locali impazziscono e fanno lo stesso ecco la giustificazione per altre violenze. Se stanno buoni e zitti succede lo stesso. L'esistenza di israele non può più essere messa in discussione, ma la loro politica ovviamente si. E dubito che sia essere antisemiti. Gli israeliani sono in parte di etnia semita, come i palestinesi, quindi essere antisemiti significa anche essere contro i palestinesi. Anche chi è contro i palestinesi è antisemita. E gli israeliani sono essi stessi anti-semiti. Personalmente la parte israeliana che trovo più difficile giustificare moralmente sono i "coloni". ma la loro risposta agli USA è stata "Ma voi lo avete fatto con i pellerossa…" quindi sanno quello che stanno facendo. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni. A Israele non stanno bene i confini attuali. Riconoscere lo stato arabo significherebbe rinunciare a tutte le mire territoriali attuali. A tornare nei confini originali del 1948. E questo a loro non conviene. Questo è il motivo per cui alimentano e coccolano il terrorismo, come se fosse l'unico strumento per mantenere questo stato di guerra perenne, che permette, poco alla volta, di continuare a strappare territori. E intanto sfoltire la popolazione locale. La decimazione. Ma anche peggio… ben oltre il 10%. Questo fa israele da 50 anni. E la cosa davvero triste è per quanto cinico sta pure funzionando. E' il tipo caso in cui dai una mano a qualcuno e quello si prende l'intero braccio. Appena i locali impazziscono e fanno lo stesso ecco la giustificazione per altre violenze. Se stanno buoni e zitti succede lo stesso. L'esistenza di israele non può più essere messa in discussione, ma la loro politica ovviamente si. E dubito che sia essere antisemiti. Gli israeliani sono in parte di etnia semita, come i palestinesi, quindi essere antisemiti significa anche essere contro i palestinesi. Anche chi è contro i palestinesi è antisemita. E gli israeliani sono essi stessi anti-semiti. Personalmente la parte israeliana che trovo più difficile giustificare moralmente sono i "coloni". ma la loro risposta agli USA è stata "Ma voi lo avete fatto con i pellerossa…" quindi sanno quello che stanno facendo. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni.Ma chi conosce chi vive sul posto sa cosa sta succedendo. Diciamo che gli invasori israeliani non si comportano come i romani 2000 anni fa.
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rag. Gustavino Bevilacqua reshared this.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta dei laboratori digitali per la #scuola 4.0 e delle attività di mentoring contro la dispersione scolastica all’IIS Lazzaro Spallanzani di Castelfranco Emilia e all’IC Sassuolo 4 Ovest di Sassuolo, grazie ai …Telegram
Il Consiglio per il commercio e la tecnologia Ue-Stati Uniti porta buoni frutti. Ma ora è in pausa per le rispettive elezioni
Il punto sui principali dossier prima delle rispettive elezioni alla sesta riunione del Consiglio per il commercio e la tecnologia Ue-Stati UnitiFederico Baccini @federicobaccini (Eunews)
Sdh - A Mickey Finn at the Nemo Point Hotel
Veniamo dunque a quelli che la band stessa definisce gli ingredienti: si comincia con due pezzi fragorosi in stile Touch and Go come The Ponytail e Nothing Keep You Sound, per passare poi a Shut Up!
@Musica Agorà
iyezine.com/sdh-a-mickey-finn-…
Sdh - A Mickey Finn at the Nemo Point Hotel
L'ultima volta che io e il mio socio abbiamo passato in radio gli Sdh, mi chiesi piuttosto oziosamente quali fossero le parole che si nascondono dietro l'acronimo, la sigla Sdh.In Your Eyes ezine
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In Cina e Asia – La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, in Cina
I titoli di oggi: La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, arriva in Cina Corea del Sud: pessimismo tra i medici dopo i colloqui con Yoon Cina, revisioni delle politiche dei prestiti auto per stimolare la domanda Delegazione cinese a Tonga per instaurare una cooperazione tra forze di polizia La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, arriva in Cina Giovedì ...
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«Nulla può aiutare l’Ucraina». Kiev rischia il collasso
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 5 aprile 2024 – «Più a lungo va avanti la guerra, più territorio guadagnerà la Russia… anche Odessa cadrà» ha vaticinato nei giorni scorsi il Tycoon statunitense Elon Musk.
Dopo aver preso atto del fallimento della controffensiva delle forze armate ucraine, che tante aspettative aveva generato, l’inverno scorso il presidente Zelensky aveva ordinato la fortificazione della linea del fronte per impedire l’avanzata russa, ma a distanza di alcuni mesi le operazioni procedono speditamente soltanto a nord, mentre a est e a sud sono in forte ritardo. Nei primi tre mesi del 2024 le truppe di Mosca hanno così conquistato circa 400 kmq di territori ucraini, soprattutto nel Donbass.
La Russia avanza
La pressione delle forze armate russe sulle linee e sulle città ucraine è continua e a Kiev neanche il forzato ottimismo di Zelensky – sempre più alternato a cupe profezie di sventura – riesce più a contrastare il fatalismo non solo della popolazione ma anche di politici e militari.
I due paesi continuano a lanciare droni e missili contro obiettivi avversari, causando danni ingenti e vittime. Il 22 e 29 marzo due massicci attacchi russi hanno gravemente danneggiato cinque centrali termoelettriche, riducendo la produzione di elettricità dell’80%. Nei giorni scorsi, ondate di bombardamenti sono state lanciate contro diverse infrastrutture – e obiettivi civili – da Kharkiv a Sumy fino ad Odessa.
L’Ucraina continua a voler coinvolgere i territori russi nei combattimenti, ed ha colpito nei giorni scorsi alcuni impianti industriali, tra i quali una fabbrica di droni e una grande raffineria di petrolio, nella lontana repubblica del Tatarstan, a quasi 1200 km di distanza dal confine. Ma difficilmente la crescente capacità ucraina di colpire ripetutamente obiettivi nemici così in profondità invertirà l’andamento del conflitto se i paesi occidentali non riusciranno a riprendere presto e in maniera massiccia i rifornimenti di armi e munizioni.
La Nato vuole un fondo da 100 miliardi
Mentre su iniziativa della Repubblica Ceca i paesi europei si stanno impegnando nell’acquisto collettivo di 1,5 milioni di munizioni, il vertice dei Ministri degli Esteri della Natoa Bruxelles si è concentrato sulla proposta avanzata dal segretario generale Jens Stoltenberg di dar vita ad un fondo pluriennale da 100 miliardi di dollari a favore dell’Ucraina.
L’intento dell’iniziativa, neanche troppo celato, è vincolare gli Stati Unitia finanziare lo sforzo bellico nei prossimi cinque anni anche nel caso in cui le prossime elezioni presidenziali dovessero essere vinte da Donald Trump, che non ha mai fatto mistero di considerare prioritario lo scontro con la Cina piuttosto che con la Russia. Occorrerà attendere il vertice dell’Alleanza Atlantica previsto a Washington dal 9 all’11 luglio per capire se la proposta sarà approvata e se diventerà operativa in tempi celeri. Ma, ammessoche nelle prossime settimane si trovi un accordo, potrebbe essere troppo tardi.
La linea del fronte al 2 aprile 2024
«Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina»
Tra gli alti ufficiali di Kiev, in particolare tra quelli che hanno servito il comandante delle forze armate Valery Zaluznhy prima che a febbraio Zelensky lo rimuovesse, si diffonde il timore che il fronte possa cedere da un momento all’altro, quando i comandi di Mosca decidessero di concentrare l’offensiva su un settore delle attuali linee ucraine. «Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina adesso perché non esistono tecnologie in grado di compensare Kiev per la grande massa di truppe che la Russia scaglierà contro di noi. Noi non disponiamo di queste tecnologie e neanche l’Occidente le possiede in numero sufficiente» hanno affermato le fonti militari interpellate dal giornalista di “Politico” Jamie Dettmer.
Se anche il Congresso di Washington riuscisse finalmente ad approvare, bypassando il blocco eretto dai repubblicani, il pacchetto da 60 miliardi di finanziamenti per Kiev, i massicci aiuti non consentirebbero comunque all’Ucraina di invertire la tendenza sul campo, favorevole ormai da mesi a Mosca grazie alla netta superiorità russa in fatto di truppe e mezzi. Le truppe russe continuano da mesi, seppur lentamente, a rosicchiare terreno agli avversari che difficilmente Kiev potrà recuperare, ma la lenta avanzata di Mosca potrebbe rappresentare solo il prologo, la rincorsa di un disastroso sfondamento.
Anche la consegna a Kiev, prevista in estate, di una dozzina di caccia F-16, sicuramente non sarà risolutiva; «ogni arma ha il suo momento giusto. Gli F-16 erano necessari nel 2023; non saranno adatti per il 2024» secondo un alto ufficiale ucraino citato da Politico.
A Kiev mancano truppe fresche
Anche se, dopo un anno di scontri e polemiche, Zelensky ha finalmente firmato la legge che abbassa l’età della coscrizione obbligatoria da 27 a 25 anni, difficilmente il presidente e il suo governo premeranno l’acceleratore sulla mobilitazione delle truppe, anche se secondo Zaluznhy a Kiev servirebbero almeno 500 mila nuovi combattenti. Si tratta infatti di una misura fortemente impopolare e gli attuali vertici dello stato ucraino non vogliono perdere troppi consensi sbattendo al fronte un consistente numero di giovani.
Non a caso il provvedimento firmato da Zelensky prevede che si possa essere arruolati già a 25 anni ma che fino ai 27 non si possa essere inviati a combattere, mentre un’altra legge, che riduce i casi in cui i richiamati hanno diritto all’esenzione, rimane impantanata alla Rada sotto una valanga di 4 mila emendamenti.
La scorsa settimana il generale Oleksandr Syrsky – che ha sostituito Zaluznhy al vertice degli apparati militari – ha addirittura affermato che l’Ucraina non ha bisogno di un numero consistente di truppe fresche e che può “arrangiarsi” spostando al fronte qualche migliaio di militari e di volontari finora impiegati in ruoli amministrativi o non combattenti, seppur dopo un addestramento intensivo che non può durare meno di quattro mesi.
I comandi militari ucraini temono il collasso
La sortita del nuovo pupillo di Zelensky ha suscitato lo sconcerto e la rabbia di una parte dei comandi militari di Kiev, convinti che il fronte rischi di collassare già nelle prossime settimane non solo a causa della scarsità dei rifornimenti – soprattutto di munizioni per l’artiglieria e di sistemi di difesa antiaerea – ma anche della mancanza di rimpiazzi per i soldati impegnati nei combattimenti, in certi casi anche da due anni, falcidiati da varie decine di migliaia di caduti e da un numero ancora maggiore di feriti.
Se alla fine di marzo il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin aveva affermato che la Russia era in difficoltà a causa dell’alto numero di perdite tra le proprie truppe, nei giorni scorsi il vicesegretario di Stato Kurt Campbell ha invece assicurato che Mosca ha «quasi completamente ricostituito» le proprie forze armate. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, El Salto Diario e Berria
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Il procuratore Gratteri :“dark web, la nuova frontiera della mafia
Al Palazzo di Vetro dell’ONU, giovedì 4 aprile si è tenuta la conferenza: “Le sfide imposte dalla criminalità organizzata nell’era dell’intelligenza artificiale e di internet”, promossa dalla Fondazione Magna Grecia, in collaborazione con la Rappresentanza Permanente d’Italia alle Nazioni Unite. Partecipava un relatore d’eccezione: il magistrato Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica a Napoli. Con lui anche il Prof. Antonio Nicaso, esperto accademico di criminalità organizzata alla Queen’s University in Canada, Ronald J. Clark, CEO di Spartan Strategy & Risk Management e anche vice sottosegretario per la Protezione Nazionale presso il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Arthur J. Gajarsa, giudice di circoscrizione della Corte d’Appello del Circuito Federale degli Stati Uniti (R.E.T.), il magistrato Antonello Colosimo, presidente della Camera Regionale dei Conti, l’on. Saverio Romano, parlamentare italiano e presidente della Commissione per le semplificazioni e l’on Giorgio Silli, Sottosegretario agli Esteri.
Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, ha aperto i lavori presentando la sua fondazione che opera da 40 anni.
Il Prof. Nicaso ha detto che soprattutto la mafia italo-americana, quelle “delle cinque famiglie newyorchesi, sta scomparendo proprio per la sua lentezza nell’adattarsi, rispetto alle altre mafie nel mondo, all’utilizzo del web”.
Gratteri ha parlato di “dark web, la nuova frontiera della mafia e quindi anche dell’antimafia”. Gratteri ha sottolineato che mentre le mafie si muovono velocemente, le istituzioni rimangono indietro nel contrasto all’uso delle nuove tecnologie. Con la “forte accelerazione delle mafie all’interno del #darkweb, queste sono in grado di fare transazioni per tonnellate di cocaina, armi da guerra, prostituzione, commerciano in oro, comprano isole…”. “L’Italia negli ultimi dieci anni ha fatto passi indietro rispetto a paesi come Germania, Olanda e Belgio, che ora devono aiutarci e ci passano informazioni”.
👉 lavocedinewyork.com/onu/2024/0…
Nicola Gratteri all’ONU e la sfida alle mafie armate con Intelligenza artificiale
Dal pizzino all’Intelligenza artificiale? Dalla lupara ai droni? La mafia che non si accontenta di sopravvivere nel XXI secolo maStefano Vaccara (La Voce di New York)
Weekly Chronicles #70
Questo è il numero #70 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era Digitale: sorveglianza di massa e privacy, sicurezza dei dati, nuove tecnologie e molto altro.
Cronache della settimana
- Il Chatcontrol si farà
- CBDC: dalla Germania arrivano le linee guida tecniche
- Anche le cuffiette diventano strumento di sorveglianza passiva
Lettere Libertarie
- La favola dei diritti
Rubrica OpSec
- Come scovare le telecamere nascoste
Il Chatcontrol si farà
Dopo un tira e molla durato anni, è arrivata la notizia: il Chatcontrol si farà, e il testo sarà più o meno quello originale — cioè il peggiore. Per chi fosse arrivato da poco su queste pagine, o per chi avesse bisogno di una rinfrescata alla memoria, sto parlando di un prossimo regolamento europeo (Chatcontrol per gli amici) che catapulterà l’Unione Europea direttamente nell’Olimpo della sorveglianza di massa; più di Cina e Stati Uniti messi insieme.
Il Chatcontrol è lo strumento con cui l’Unione Europea dice di voler combattere la diffusione di materiale pedopornografico online. In realtà l’idea arriva da più lontano e neanche dall’UE, ma da un accordo internazionale siglato dai Five Eyes. Ma di questo, ne ho già parlato.
Per combattere la diffusione di materiale pedopornografico obbligheranno le piattaforme online e i servizi di comunicazione a sorvegliare attivamente tutto il traffico, le chat e i contenuti media inviati dagli utenti. Nel caso in cui uno degli innumerevoli algoritmi di sorveglianza beccasse un contenuto potenzialmente pedopornografico, partirebbero le segnalazioni alle autorità. Citando proprio il testo di legge:
If providers of hosting services and providers of interpersonal communications services have identified a risk of the service being used for the purpose of online child sexual abuse, they shall take all reasonable mitigation measures…
Quali sono queste “reasonable mitigation measures”, di nuovo, ce lo spiega la legge:
- adattare i sistemi di moderazione (sia umani che automatizzati) per aumentare il rispetto dei termini e condizioni dei servizi
- rinforzare la supervisione dell’uso dei sistemi
- cooperare con le autorità, anche di spontanea iniziativa
- introdurre funzionalità per consentire agli utenti di segnalare materiale pedopornografico
Ma la vera ciccia arriva adesso.
Oltre a queste misure, le piattaforme e servizi di comunicazione saranno obbligati a sviluppare e installare nei loro servizi delle tecnologie, approvate dalla Commissione Europea, in grado di identificare materiali potenzialmente pedopornografici diffusi attraverso i loro canali di comunicazione o piattaforme. In parole povere: sistemi di sorveglianza automatizzata di tutte le comunicazioni, pronti a scovare materiale potenzialmente illecito.
Anche di questo ne ho parlato molto, affrontando anche altri diversi punti critici (come il potenziale tasso di errore di questi sistemi). Rinvio all’articolo di approfondimento:
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CBDC: dalla Germania arrivano le linee guida tecniche
Mentre negli Stati Uniti ci sono addirittura proposte di legge per vietare il dollaro digitale, sembra invece che in UE il processo sia ormai inarrestabile. Così, anche la Germania inizia a muoversi sul fronte CBDC (euro digitale), grazie a un contributo del Federal Office for Information Security.
“Lavender”: La macchina di intelligenza artificiale che dirige i bombardamenti di Israele su Gaza
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Di Yuval Abraham – +972 Local Call 3 aprile 2024
(traduzione di Federica Riccardi)
Nel 2021, un libro intitolato “The Human-Machine Team: How to Create Synergy Between Human and Artificial Intelligence That Will Revolutionize Our World” (Come creare una sinergia tra intelligenza umana e artificiale che rivoluzionerà il nostro mondo) è stato pubblicato in inglese dietro lo pseudonimo di “Brigadier General Y.S.”. In esso l’autore – un uomo che, come abbiamo confermato, è l’attuale comandante dell’unità d’élite israeliana 8200 – sostiene la necessità di progettare una macchina speciale in grado di elaborare rapidamente enormi quantità di dati per generare migliaia di potenziali “bersagli” da colpire in guerra. Tale tecnologia, scrive, risolverebbe quello che ha descritto come un “collo di bottiglia umano sia per la localizzazione dei nuovi obiettivi che per il processo decisionale di approvazione degli stessi”.
Una macchina del genere, a quanto pare, esiste davvero. Una nuova inchiesta di +972 Magazine e Local Call rivela che l’esercito israeliano ha sviluppato un programma basato sull’intelligenza artificiale noto come “Lavender”, svelato qui per la prima volta. Secondo sei ufficiali dell’intelligence israeliana, che hanno tutti prestato servizio nell’esercito durante l’attuale guerra contro la Striscia di Gaza e sono stati coinvolti in prima persona nell’uso dell’IA per generare obiettivi da assassinare, Lavender ha svolto un ruolo centrale nei bombardamenti senza precedenti contro i palestinesi, soprattutto durante le prime fasi della guerra. Infatti, secondo le fonti, la sua influenza sulle operazioni militari è stata tale da indurre i militari a trattare i risultati della macchina IA “come se si trattasse di una decisione umana”.
Formalmente, il sistema Lavender è progettato per contrassegnare tutti i sospetti operativi delle ali militari di Hamas e della Jihad islamica palestinese (JIP), anche quelli di basso rango, come potenziali obiettivi di attentati. Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che, durante le prime settimane di guerra, l’esercito si è affidato quasi completamente a Lavender, che ha registrato ben 37.000 palestinesi come sospetti militanti – e le loro case – per possibili attacchi aerei.
Durante le prime fasi della guerra, l’esercito diede ampia approvazione agli ufficiali per l’adozione delle liste di bersagli di Lavender, senza alcun obbligo di verificare a fondo il motivo per cui la macchina aveva fatto quelle scelte o di esaminare i dati di intelligence grezzi su cui si basavano. Una fonte ha dichiarato che il personale umano spesso serviva solo come “timbro di garanzia” per le decisioni della macchina, aggiungendo che, di solito, dedicava personalmente solo “20 secondi” a ciascun obiettivo prima di autorizzare un bombardamento – solo per assicurarsi che l’obiettivo contrassegnato da Lavender fosse di sesso maschile. Questo nonostante si sappia che il sistema commette quelli che vengono considerati “errori” in circa il 10% dei casi, e che è noto per contrassegnare occasionalmente individui che hanno solo un legame debole con i gruppi militanti, o nessun legame.
Inoltre, l’esercito israeliano ha sistematicamente attaccato le persone prese di mira mentre si trovavano nelle loro case – di solito di notte, mentre erano presenti tutte le loro famiglie – piuttosto che durante le attività militari. Secondo le fonti, questo avveniva perché, da quello che consideravano un punto di vista di intelligence, era più facile localizzare gli individui nelle loro case private. Altri sistemi automatizzati, tra cui uno chiamato “Where’s Daddy?” (Dov’è papà?), anch’esso rivelato qui per la prima volta, sono stati utilizzati specificamente per rintracciare gli individui presi di mira ed effettuare attentati quando erano entrati nelle loro residenze familiari.
Il risultato, come testimoniato dalle fonti, è che migliaia di palestinesi – la maggior parte dei quali donne e bambini o persone non coinvolte nei combattimenti – sono stati spazzati via dagli attacchi aerei israeliani, soprattutto nelle prime settimane di guerra, a causa delle decisioni del programma di IA.
“Non ci interessava uccidere gli operativi [di Hamas] solo quando si trovavano in un edificio militare o erano impegnati in un’attività militare”, ha dichiarato A., un ufficiale dell’intelligence, a +972 e Local Call. “Al contrario, l’IDF li ha bombardati nelle loro case senza esitazione, come prima opzione. È molto più facile bombardare la casa di una famiglia. Il sistema è costruito per cercarli in queste situazioni”.
La macchina Lavender si aggiunge a un altro sistema di intelligenza artificiale, “The Gospel”, le cui informazioni sono state rivelate in una precedente indagine di +972 e Local Call nel novembre 2023, oltre che nelle pubblicazioni dell’esercito israeliano. Una differenza fondamentale tra i due sistemi è nella definizione del bersaglio: mentre il Gospel contrassegna gli edifici e le strutture da cui, secondo l’esercito, operano i militanti, Lavender contrassegna le persone – e le inserisce in una lista di obiettivi da uccidere.
Inoltre, secondo le fonti, quando si trattava di colpire i presunti militanti junior segnalati da Lavender, l’esercito preferiva usare solo “dumb bombs”, comunemente noti come bombe non-guidate (in contrasto con le bombe di precisione “intelligenti”), che possono distruggere interi edifici con i loro occupanti e causare vittime significative. “Non si vogliono sprecare bombe costose per persone non importanti – è molto costoso per il Paese e c’è una carenza [di queste bombe]”, ha detto C., uno degli ufficiali dell’intelligence. Un’altra fonte ha dichiarato di aver autorizzato personalmente il bombardamento di “centinaia” di case private di presunti agenti minori segnalati da Lavender, con molti di questi attacchi che hanno ucciso civili e intere famiglie come “danni collaterali”.
In una mossa senza precedenti, secondo due delle fonti, l’esercito ha anche deciso durante le prime settimane di guerra che, per ogni giovane agente di Hamas contrassegnato da Lavender, era permesso uccidere fino a 15 o 20 civili; in passato, l’esercito non autorizzava alcun “danno collaterale” per l’assassinio di militanti di basso rango. Le fonti hanno aggiunto che, nel caso in cui l’obiettivo fosse un alto funzionario di Hamas con il grado di comandante di battaglione o di brigata, l’esercito ha autorizzato in diverse occasioni l’uccisione di più di 100 civili per l’assassinio di un singolo comandante.
La seguente indagine è organizzata secondo le sei fasi cronologiche della produzione di bersagli altamente automatizzati da parte dell’esercito israeliano nelle prime settimane della guerra di Gaza. In primo luogo, spieghiamo la macchina Lavender stessa, che ha marcato decine di migliaia di palestinesi utilizzando l’intelligenza artificiale. In secondo luogo, riveliamo il sistema Where’s Daddy? , che traccia questi obiettivi e segnala all’esercito quando entrano nelle case famigliari. In terzo luogo, descriviamo come sono state scelte le bombe non-guidate per colpire queste case.
In quarto luogo, spieghiamo come l’esercito abbia ampliato il numero di civili che potevano essere uccisi durante il bombardamento di un obiettivo. In quinto luogo, notiamo come un software automatico abbia calcolato in modo impreciso la quantità di non combattenti in ogni famiglia. In sesto luogo, mostriamo come in diverse occasioni, quando una casa è stata colpita, di solito di notte, l’obiettivo individuale a volte non era affatto all’interno, perché gli ufficiali militari non verificano le informazioni in tempo reale.
FASE 1: GENERAZIONE DI OBIETTIVI
Una volta che si passa all’automatismo, la generazione dei bersagli impazzisce”.
Nell’esercito israeliano, il termine “bersaglio umano” si riferiva in passato a un agente militare di alto livello che, secondo le regole del Dipartimento di diritto internazionale dell’esercito, può essere ucciso nella sua casa privata anche se ci sono civili nei dintorni. Fonti dell’intelligence hanno riferito a +972 e a Local Call che durante le precedenti guerre israeliane, poiché si trattava di un modo “particolarmente brutale” di uccidere qualcuno – spesso uccidendo un’intera famiglia insieme al bersaglio – questi obiettivi umani erano contrassegnati con molta attenzione e solo i comandanti militari di alto livello venivano bombardati nelle loro case, per mantenere il principio di proporzionalità previsto dal diritto internazionale.
Ma dopo il 7 ottobre – quando i militanti guidati da Hamas hanno lanciato un assalto mortale contro le comunità israeliane meridionali, uccidendo circa 1.200 persone e sequestrandone 240 – l’esercito, secondo le fonti, ha adottato un approccio radicalmente diverso. Nell’ambito dell’operazione “Iron Swords”, l’esercito ha deciso di designare tutti gli operativi dell’ala militare di Hamas come obiettivi umani, indipendentemente dal loro grado o dalla loro importanza militare. E questo ha cambiato tutto.
La nuova politica ha posto anche un problema tecnico all’intelligence israeliana. Nelle guerre precedenti, per autorizzare l’assassinio di un singolo obiettivo umano, un ufficiale doveva passare attraverso un complesso e lungo processo di “incriminazione”: controllare le prove che la persona fosse effettivamente un membro di alto livello dell’ala militare di Hamas, scoprire dove viveva, I suoi contatti e infine sapere quando era a casa in tempo reale. Quando l’elenco dei bersagli era composto solo da poche decine di alti funzionari, il personale dell’intelligence poteva gestire individualmente il lavoro necessario per incriminarli e localizzarli.
Tuttavia, una volta che l’elenco è stato ampliato per includere decine di migliaia di agenti di grado inferiore, l’esercito israeliano ha pensato di doversi affidare a software automatizzati e all’intelligenza artificiale. Il risultato, testimoniano le fonti, è stato che il ruolo del personale umano nell’incriminare i palestinesi come agenti militari è stato messo da parte e l’IA ha svolto la maggior parte del lavoro. Secondo quattro delle fonti che hanno parlato con +972 e Local Call, Lavender – che è stato sviluppato per creare obiettivi umani nella guerra in corso – ha contrassegnato circa 37.000 palestinesi come sospetti “militanti di Hamas”, la maggior parte dei quali giovani, da assassinare (il portavoce dell’IDF ha negato l’esistenza di tale lista di obiettivi da uccidere in una dichiarazione a +972 e Local Call).
“Non sapevamo chi fossero i giovani operativi, perché Israele non li rintracciava abitualmente [prima della guerra]”, ha spiegato l’ufficiale superiore B. a +972 e Local Call, spiegando la ragione dietro lo sviluppo di questa particolare macchina di bersagli per la guerra in corso. “Volevano permetterci di attaccare [gli agenti minori] automaticamente. Questo è il Santo Graal. Una volta che si passa all’automatismo, la generazione dei bersagli impazzisce”.
Le fonti hanno detto che l’approvazione per l’adozione automatica degli elenchi di uccisioni di Lavender, che in precedenza era stato usato solo come strumento ausiliario, è stata concessa circa due settimane dopo l’inizio della guerra, dopo che il personale dell’intelligence ha controllato “manualmente” l’accuratezza di un campione casuale di diverse centinaia di obiettivi selezionati dal sistema di intelligenza artificiale. Quando tale campione ha rilevato che i risultati di Lavender avevano raggiunto un’accuratezza del 90% nell’identificare l’affiliazione di un individuo ad Hamas, l’esercito ha autorizzato l’uso generalizzato del sistema. Da quel momento, le fonti hanno detto che se Lavender decideva che un individuo era un militante di Hamas, veniva chiesto loro di trattarlo essenzialmente come un ordine, senza alcun obbligo di verificare in modo indipendente perché la macchina avesse fatto quella scelta o di esaminare i dati grezzi di intelligence su cui si era basata.
“Alle 5 del mattino, [l’aviazione] avrebbe bombardato tutte le case che avevamo contrassegnato”, ha detto B.. “Abbiamo fatto fuori migliaia di persone. Non le abbiamo esaminate una per una – abbiamo inserito tutto in sistemi automatici, e non appena uno [degli individui contrassegnati] era in casa, diventava immediatamente un obiettivo. Abbiamo bombardato lui e la sua casa”.
“È stato molto sorprendente per me che ci sia stato chiesto di bombardare una casa per uccidere un soldato semplice, la cui importanza nei combattimenti era così bassa”, ha detto una fonte sull’uso dell’IA per marcare presunti militanti di basso rango. “Ho soprannominato questi obiettivi “bersagli spazzatura”. Tuttavia, li trovavo più etici degli obiettivi che bombardavamo solo per “deterrenza”: torri residenziali evacuate e abbattute solo per causare distruzione”.
I risultati mortali di questo allentamento delle restrizioni nella fase iniziale della guerra sono stati sconcertanti. Secondo i dati del Ministero della Sanità palestinese a Gaza, su cui l’esercito israeliano ha fatto affidamento quasi esclusivamente dall’inizio della guerra, Israele ha ucciso circa 15.000 palestinesi – quasi la metà del bilancio delle vittime finora – nelle prime sei settimane di guerra, fino a quando non è stato concordato un cessate il fuoco di una settimana il 24 novembre.
Più informazioni e varietà ci sono, meglio è”.
Il software Lavender analizza le informazioni raccolte sulla maggior parte dei 2,3 milioni di residenti della Striscia di Gaza attraverso un sistema di sorveglianza di massa, quindi valuta e classifica la probabilità che ogni particolare persona sia attiva nell’ala militare di Hamas o della JIP. Secondo le fonti, la macchina assegna a quasi ogni singola persona di Gaza un punteggio da 1 a 100, esprimendo la probabilità che sia un militante.
Lavender impara a identificare le caratteristiche degli operativi noti di Hamas e della JIP, le cui informazioni sono state fornite alla macchina come dati di addestramento, e poi a individuare queste stesse caratteristiche tra la popolazione generale, hanno spiegato le fonti. Un individuo che presenta diverse caratteristiche incriminanti raggiunge un punteggio elevato e diventa automaticamente un potenziale bersaglio per l’assassinio.
In “The Human-Machine Team”, il libro citato all’inizio di questo articolo, l’attuale comandante dell’Unità 8200 sostiene la necessità di un sistema di questo tipo senza fare riferimento a Lavender. (Anche il comandante stesso non viene nominato, ma cinque fonti dell’8200 hanno confermato che il comandante è l’autore, come riportato anche da Haaretz). Descrivendo il personale umano come un “collo di bottiglia” che limita la capacità dell’esercito durante un’operazione militare, il comandante si lamenta: “Noi [uomini] non possiamo elaborare così tante informazioni. Non importa quante persone siano incaricate di produrre obiettivi durante la guerra: non si riesce comunque a produrre abbastanza obiettivi al giorno”.
La soluzione a questo problema, dice, è l’intelligenza artificiale. Il libro offre una breve guida alla costruzione di una “macchina per obiettivi”, simile nella descrizione a Lavender, basata sull’IA e su algoritmi di apprendimento automatico. La guida contiene diversi esempi delle “centinaia e migliaia” di caratteristiche che possono aumentare il rating di un individuo, come l’appartenenza a un gruppo Whatsapp con un militante noto, il cambio di cellulare ogni pochi mesi e il cambio frequente di indirizzo.
“Più informazioni e più varie sono, meglio è”, scrive il comandante. “Informazioni visive, informazioni cellulari, connessioni ai social media, informazioni sul campo di battaglia, contatti telefonici, foto”. Mentre gli esseri umani selezionano queste caratteristiche all’inizio, continua il comandante, col tempo la macchina arriverà a identificarle da sola. Questo, dice, può consentire alle forze armate di creare “decine di migliaia di obiettivi”, mentre la decisione effettiva se attaccarli o meno rimarrà umana.
Il libro non è l’unica occasione in cui un comandante israeliano di alto livello ha accennato all’esistenza di macchine per identificare obiettivi umani come Lavender. +972 e Local Call hanno ottenuto il filmato di una conferenza privata tenuta dal comandante del centro segreto di Data Science e IA dell’Unità 8200, il “Colonnello Yoav”, alla settimana dell’IA dell’Università di Tel Aviv nel 2023, di cui hanno parlato i media israeliani.
Nella conferenza, il comandante parla di una nuova e sofisticata macchina bersaglio utilizzata dall’esercito israeliano che individua “persone pericolose” in base alla loro somiglianza con le liste esistenti di militanti noti su cui è stata addestrata. “Usando il sistema, siamo riusciti a identificare i comandanti delle squadre missilistiche di Hamas”, ha detto il “Col. Yoav” nella conferenza, riferendosi all’operazione militare israeliana del maggio 2021 a Gaza, quando la macchina è stata usata per la prima volta.
Le diapositive di presentazione della conferenza, ottenute anche da +972 e Local Call, contengono illustrazioni di come funziona la macchina: viene alimentata con dati su operativi di Hamas esistenti, impara a notare le loro caratteristiche e poi valuta altri palestinesi in base a quanto sono simili ai militanti.
“Classifichiamo i risultati e determiniamo la soglia [per attaccare un obiettivo]”, ha detto il “Col. Yoav” nella conferenza, sottolineando che “alla fine sono le persone in carne e ossa a prendere le decisioni”. Nel settore della difesa, dal punto di vista etico, poniamo molta enfasi su questo aspetto. Questi strumenti sono pensati per aiutare [gli agenti dell’intelligence] a rompere le loro barriere”.
In pratica, tuttavia, le fonti che hanno utilizzato Lavender negli ultimi mesi dicono che la capacità umana e la precisione sono state sminuite per la creazione di bersagli di massa e l’aumento della letalità.
Non c’era una politica di “zero errori”.
B., un ufficiale superiore che utilizzava Lavender, ha dichiarato a +972 e Local Call che nella guerra in corso gli ufficiali non erano tenuti a rivedere in modo indipendente le valutazioni del sistema di intelligenza artificiale, per risparmiare tempo e consentire la produzione di massa di obiettivi umani senza ostacoli.
“Tutto era statistico, tutto era ordinato – era molto asciutto”, ha detto B.. Ha osservato che questa mancanza di supervisione è stata permessa nonostante i controlli interni mostrassero che i calcoli di Lavender erano considerati accurati solo il 90% delle volte; in altre parole, si sapeva in anticipo che il 10% degli obiettivi umani destinati all’assassinio non erano affatto membri dell’ala militare di Hamas.
Ad esempio, le fonti hanno spiegato che la macchina Lavender a volte segnalava erroneamente individui che avevano modelli di comunicazione simili a quelli di operativi noti di Hamas o della JIP – tra cui lavoratori della polizia e della protezione civile, parenti di militanti, residenti che avevano un nome e un soprannome identici a quelli di un operativo e gazawi che usavano un dispositivo appartenuto ad un operativo di Hamas.
“Quanto deve essere vicina una persona ad Hamas per essere [considerata da una macchina IA come] affiliata all’organizzazione?”, ha chiesto una fonte critica dell’imprecisione di Lavender. “È un confine vago. Una persona che non riceve uno stipendio da Hamas, ma che lo aiuta in ogni genere di cose, è un agente di Hamas? Una persona che ha fatto parte di Hamas in passato, ma che oggi non ne fa più parte, è un operativo di Hamas? Ognuna di queste caratteristiche – caratteristiche che una macchina segnalerebbe come sospette – è inaccurata”.
Problemi simili esistono per quanto riguarda la capacità delle macchine di valutare il telefono utilizzato da un individuo segnalato per l’assassinio. “In guerra, i palestinesi cambiano continuamente telefono”, ha detto la fonte. “Le persone perdono i contatti con le loro famiglie, danno il loro telefono a un amico o alla moglie, magari lo perdono. Non c’è modo di affidarsi al 100% al meccanismo automatico che determina quale numero [di telefono] appartiene a chi”.
Secondo le fonti, l’esercito sapeva che la minima supervisione umana in atto non avrebbe scoperto questi difetti. “Non c’era una politica di ‘zero errori’. Gli errori venivano trattati statisticamente”, ha detto una fonte che ha usato Lavender. “A causa della portata e dell’ampiezza, il protocollo prevedeva che anche se non si è sicuri che la macchina sia precisa, si sa che statisticamente va bene. Quindi si va avanti”.
“Si è dimostrato valido”, ha detto B., la fonte più anziana. “C’è qualcosa nell’approccio statistico che ti impone una certa norma e un certo standard. C’è stata una quantità illogica di [attentati] in questa operazione. A mia memoria, non ha precedenti. Ho molta più fiducia in un meccanismo statistico che in un soldato che ha perso un amico due giorni fa. Tutti, me compreso, hanno perso delle persone il 7 ottobre. La macchina lo ha fatto freddamente. E questo ha reso tutto più facile”.
Un’altra fonte dell’intelligence, che ha difeso l’utilizzo delle liste di uccisioni di sospetti palestinesi generate da Lavender, ha sostenuto che valeva la pena investire il tempo di un ufficiale dell’intelligence solo per verificare le informazioni se l’obiettivo era un alto comandante di Hamas. “Ma quando si tratta di un giovane militante, non si vuole investire manodopera e tempo”, ha detto. “In guerra, non c’è tempo per incriminare ogni obiettivo. Quindi si è disposti ad accettare il margine di errore dell’uso dell’intelligenza artificiale, rischiando danni collaterali e la morte di civili, rischiando di attaccare per errore, e a conviverci”.
- ha detto che la ragione di questa automazione era una spinta costante a generare più obiettivi da assassinare. “In un giorno senza obiettivi [il cui rating era sufficiente per autorizzare un attacco], abbiamo attaccato a una soglia più bassa. Ci facevano costantemente pressione: ‘Portateci più obiettivi’. Ci urlavano davvero contro. Abbiamo finito di [uccidere] i nostri obiettivi molto rapidamente”.
Ha spiegato che quando si abbassava la soglia di valutazione di Lavender, questo segnava un maggior numero di persone come obiettivi per gli attacchi. “Al suo apice, il sistema è riuscito a generare 37.000 persone come potenziali obiettivi umani”, ha detto B. “Ma i numeri cambiavano in continuazione, perché dipende da dove si fissa la soglia della determinazione di chi fosse un agente di Hamas. Ci sono stati momenti in cui un agente di Hamas è stato definito in modo più ampio, e poi la macchina ha iniziato a portarci tutti i tipi di personale della protezione civile, ufficiali di polizia, su cui sarebbe un peccato sprecare bombe. Aiutano il governo di Hamas, ma non mettono in pericolo i soldati”.
Una fonte che ha lavorato con il team di analisti militari che ha addestrato Lavender ha detto che nella macchina sono stati inseriti anche i dati raccolti dai dipendenti del Ministero della Sicurezza Interna gestito da Hamas, che lui non considera militanti. “Mi ha infastidito il fatto che, quando Lavender è stato addestrato, hanno usato il termine ‘agente di Hamas’ in modo generico, includendo nel set di dati dell’addestramento anche persone che lavoravano nella difesa civile”, ha detto.
La fonte ha aggiunto che, anche se si ritiene che queste persone meritino di essere uccise, l’addestramento del sistema basato sui loro profili ha reso più probabile che Lavender selezioni per errore i civili quando i suoi algoritmi vengono applicati alla popolazione generale. “Poiché si tratta di un sistema automatico che non viene gestito manualmente dagli esseri umani, il significato di questa decisione è drammatico: significa che si stanno includendo molte persone con un profilo civile come potenziali obiettivi”.
Abbiamo solo controllato che l’obiettivo fosse un uomo”.
L’esercito israeliano respinge categoricamente queste affermazioni. In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, il portavoce dell’IDF ha negato l’uso dell’intelligenza artificiale per incriminare gli obiettivi, affermando che si tratta solo di “strumenti ausiliari che assistono gli ufficiali nel processo di incriminazione”. La dichiarazione ha proseguito: “In ogni caso, è necessario un esame indipendente da parte di un analista [dell’intelligence], che verifichi che gli obiettivi identificati siano obiettivi legittimi da attaccare, in conformità con le condizioni stabilite dalle direttive dell’IDF e dal diritto internazionale”.
Tuttavia, le fonti hanno detto che l’unico protocollo di supervisione umana in vigore prima di bombardare le case dei sospetti militanti “junior” contrassegnati da Lavender è stato quello di condurre un unico controllo: assicurarsi che l’obiettivo selezionato dall’IA sia maschio e non femmina. Il presupposto nell’esercito era che se l’obiettivo era una donna, la macchina aveva probabilmente commesso un errore, perché non ci sono donne tra i ranghi delle ali militari di Hamas e della JIP.
“Un essere umano doveva [verificare l’obiettivo] solo per pochi secondi”, ha detto B., spiegando che questo è diventato il protocollo dopo aver capito che il sistema Lavender “ci azzeccava” la maggior parte delle volte. “All’inizio facevamo dei controlli per assicurarci che la macchina non si confondesse. Ma a un certo punto ci siamo affidati al sistema automatico e ci siamo limitati a controllare che [il bersaglio] fosse un uomo: era sufficiente. Non ci vuole molto tempo per capire se qualcuno ha una voce maschile o femminile”.
Per effettuare il controllo maschio/femmina, B. ha affermato che nella guerra in corso “investirei 20 secondi per ogni obiettivo in questa fase, e ne potrei fare decine ogni giorno. Non avevo alcun valore aggiunto come essere umano, se non quello di dare un timbro di approvazione. Si risparmiava un sacco di tempo. Se [l’agente] si presentava nel meccanismo automatico, e io controllavo che fosse un uomo, avrei avuto il permesso di bombardarlo, previo esame dei danni collaterali”.
In pratica, secondo le fonti, ciò significava che per gli uomini civili segnalati per errore da Lavender, non esisteva alcun meccanismo di supervisione per rilevare l’errore. Secondo B., un errore comune si verificava “se l’obiettivo [di Hamas] dava [il suo telefono] a suo figlio, a suo fratello maggiore o a un uomo a caso. Quella persona sarà bombardata in casa sua con la sua famiglia. Questo accadeva spesso. Questi erano la maggior parte degli errori causati da Lavender”, ha detto B..
FASE 2: COLLEGARE GLI OBIETTIVI ALLE CASE DELLE FAMIGLIE
La maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini”.
La fase successiva della procedura di assassinio dell’esercito israeliano consiste nell’identificare dove attaccare gli obiettivi generati da Lavender.
In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, il portavoce dell’IDF ha affermato, in risposta a questo articolo, che “Hamas colloca i suoi operativi e i suoi mezzi militari nel cuore della popolazione civile, usa sistematicamente la popolazione civile come scudi umani e conduce i combattimenti dall’interno di strutture civili, compresi siti sensibili come ospedali, moschee, scuole e strutture delle Nazioni Unite. L’IDF è vincolato e agisce secondo il diritto internazionale, dirigendo i suoi attacchi solo verso obiettivi militari e operativi militari”.
Le sei fonti con cui abbiamo parlato hanno fatto in parte eco a questo, affermando che il vasto sistema di tunnel di Hamas passa deliberatamente sotto ospedali e scuole; che i militanti di Hamas usano le ambulanze per spostarsi; e che innumerevoli mezzi militari sono stati situati vicino a edifici civili. Le fonti hanno sostenuto che molti attacchi israeliani uccidono civili a causa di queste tattiche di Hamas – una caratterizzazione che, come ammoniscono le organizzazioni per i diritti umani, eluderebbe la responsabilità di Israele nel causare le perdite.
Tuttavia, in contrasto con le dichiarazioni ufficiali dell’esercito israeliano, le fonti hanno spiegato che una delle ragioni principali del numero di vittime senza precedenti dell’attuale bombardamento israeliano è il fatto che l’esercito ha sistematicamente attaccato gli obiettivi nelle loro case private, insieme alle loro famiglie – in parte perché era più facile, dal punto di vista dell’intelligence, contrassegnare le case delle famiglie utilizzando sistemi automatizzati.
In effetti, diverse fonti hanno sottolineato che, a differenza dei numerosi casi di operativi di Hamas impegnati in attività militari da aree civili, nel caso di attacchi sistematici di assassinio, l’esercito ha regolarmente fatto la scelta consapevole di bombardare sospetti militanti all’interno di case civili da cui non si svolgeva alcuna attività militare. Questa scelta, hanno detto, è un riflesso del modo in cui è stato progettato il sistema di sorveglianza di massa di Israele a Gaza.
Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che, poiché ogni persona a Gaza ha una casa privata a cui può essere associata, i sistemi di sorveglianza dell’esercito possono facilmente e automaticamente “collegare” gli individui alle case di famiglia. Per identificare in tempo reale il momento in cui gli agenti entrano nelle loro case, sono stati sviluppati diversi software automatici aggiuntivi. Questi programmi tracciano migliaia di individui simultaneamente, identificano quando sono in casa e inviano un allarme automatico all’ufficiale di puntamento, che poi contrassegna la casa per il bombardamento. Uno di questi software di tracciamento, rivelato qui per la prima volta, si chiama Dov’è papà?.
“Si inseriscono centinaia di obiettivi nel sistema e si aspetta di vedere chi si può uccidere”, ha detto una fonte a conoscenza del sistema. “Si chiama caccia ampia: si fa copia-incolla dalle liste che il sistema di obiettivi produce”.
La prova di questa politica è evidente anche dai dati: durante il primo mese di guerra, più della metà delle vittime – 6.120 persone – apparteneva a 1.340 famiglie, molte delle quali sono state completamente spazzate via mentre si trovavano all’interno delle loro case, secondo i dati delle Nazioni Unite. La percentuale di intere famiglie bombardate nelle loro case nell’attuale guerra è molto più alta rispetto all’operazione israeliana del 2014 a Gaza (che è stata in precedenza la guerra più letale di Israele sulla Striscia), suggerendo ulteriormente la prevalenza di questa politica.
Un’altra fonte ha detto che ogni volta che il ritmo degli assassinii diminuiva, venivano aggiunti altri obiettivi a sistemi come Where’s Daddy? per individuare gli individui che entravano nelle loro case e che quindi potevano essere bombardati. Ha detto che la decisione di chi inserire nei sistemi di localizzazione poteva essere presa da ufficiali di grado relativamente basso nella gerarchia militare.
“Un giorno, di mia spontanea volontà, ho aggiunto qualcosa come 1.200 nuovi obiettivi al sistema [di tracciamento], perché il numero di attacchi [che stavamo conducendo] era diminuito”, ha detto la fonte. “Per me aveva senso. A posteriori, sembra una decisione seria quella che ho preso. E tali decisioni non venivano prese ad alti livelli”.
Le fonti hanno detto che nelle prime due settimane di guerra, “diverse migliaia” di obiettivi sono stati inizialmente inseriti in programmi di localizzazione come Where’s Daddy? Tra questi c’erano tutti i membri dell’unità d’élite delle forze speciali di Hamas, la Nukhba, tutti gli operativi anticarro di Hamas e chiunque fosse entrato in Israele il 7 ottobre. Ma in breve tempo la lista delle vittime è stata drasticamente ampliata.
“Alla fine si trattava di tutti coloro che erano stati contrassegnati da Lavender”, ha spiegato una fonte. “Decine di migliaia. Questo è successo poche settimane dopo, quando le brigate [israeliane] sono entrate a Gaza, e c’erano già meno persone non coinvolte [cioè civili] nelle aree settentrionali”. Secondo questa fonte, anche alcuni minorenni sono stati contrassegnati da Lavender come obiettivi per i bombardamenti. “Di solito gli agenti hanno più di 17 anni, ma questa non era una condizione”.
Lavender e sistemi come Where’s Daddy? sono stati quindi combinati con effetto letale, uccidendo intere famiglie, secondo le fonti. Aggiungendo un nome dagli elenchi generati da Lavender al sistema di localizzazione domiciliare Where’s Daddy? , ha spiegato A., la persona contrassegnata sarebbe stata posta sotto sorveglianza continua e avrebbe potuto essere attaccata non appena avesse messo piede nella propria abitazione, facendo crollare la casa su tutti coloro che vi si trovavano all’interno.
“Diciamo che si calcola [che ci sia un] agente di Hamas più 10 [civili in casa]”, ha detto A.. “Di solito, questi 10 sono donne e bambini. Quindi, per assurdo, si capisce che la maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini”.
FASE 3: LA SCELTA DELL’ARMA
Di solito eseguivamo gli attacchi con “bombe non-guidate””.
Una volta che Lavender ha contrassegnato un bersaglio per l’assassinio, che il personale dell’esercito ha verificato che si tratta di un uomo e che il software di localizzazione ha individuato l’obiettivo nella sua casa, la fase successiva è la scelta della munizione con cui bombardarlo.
Nel dicembre 2023, la CNN ha riportato che, secondo le stime dell’intelligence statunitense, circa il 45% delle munizioni utilizzate dall’aviazione israeliana a Gaza erano bombe non-guidate, note per causare più danni collaterali rispetto a quelle guidate. In risposta al rapporto della CNN, un portavoce dell’esercito citato nell’articolo ha dichiarato: “Come esercito impegnato a rispettare il diritto internazionale e un codice di condotta morale, stiamo dedicando vaste risorse per ridurre al minimo i danni ai civili che Hamas ha costretto al ruolo di scudi umani. La nostra guerra è contro Hamas, non contro la popolazione di Gaza”.
“È stato così con tutti gli obiettivi junior”, ha testimoniato C., che ha utilizzato diversi programmi automatizzati nella guerra in corso. “L’unica domanda era: è possibile attaccare l’edificio in termini di danni collaterali? Perché di solito eseguivamo gli attacchi con bombe non-guidate, e questo significava distruggere letteralmente l’intera casa insieme ai suoi occupanti. Ma anche se un attacco viene evitato, non ci si preoccupa: si passa immediatamente all’obiettivo successivo. Grazie al sistema, gli obiettivi non finiscono mai. Ce ne sono altri 36.000 in attesa”.
FASE 4: AUTORIZZARE LE VITTIME CIVILI
Attaccavamo quasi senza considerare i danni collaterali
Una fonte ha affermato che quando si attaccavano gli agenti minori, compresi quelli contrassegnati dai sistemi di intelligenza artificiale come Lavender, il numero di civili che potevano uccidere insieme a ciascun obiettivo era fissato, durante le prime settimane di guerra, a un massimo di 20. Un’altra fonte ha affermato che il numero indicato era fino a 15. Questi “livelli di danni collaterali”, come li chiamano i militari, sono stati applicati in modo ampio a tutti i sospetti militanti minori, hanno detto le fonti, indipendentemente dal loro rango, importanza militare ed età, e senza un esame specifico caso per caso per soppesare il vantaggio militare di ucciderli rispetto al danno previsto per i civili.
Secondo A., che è stato ufficiale in una sala operativa durante l’attuale guerra, il dipartimento di diritto internazionale dell’esercito non ha mai dato una “approvazione così ampia” per I livelli di danni collaterali. “Non è solo che si può uccidere qualsiasi persona che sia un soldato di Hamas, il che è chiaramente permesso e legittimo in termini di diritto internazionale”, ha detto A.. “Ma loro ti dicono direttamente: ‘Ti è permesso ucciderli insieme a molti civili’.
“Ogni persona che indossava un’uniforme di Hamas nell’ultimo anno o due poteva essere bombardata con 20 [civili uccisi come] danno collaterale, anche senza un permesso speciale”, ha continuato A.. “In pratica, il principio di proporzionalità non esisteva”.
Secondo A., questa è stata la politica per la maggior parte del tempo in cui ha prestato servizio. Solo in seguito i militari hanno abbassato il livello di danni collaterali. “In questo calcolo, potevano essere anche 20 bambini per un agente junior… In passato non era proprio così”, ha spiegato A.. Alla domanda sulle motivazioni di sicurezza alla base di questa politica, A. ha risposto: “Letalità”.
Il livello di danni collaterali predeterminato e fisso ha contribuito ad accelerare la creazione di massa di obiettivi utilizzando la macchina Lavender, hanno detto le fonti, perché ha fatto risparmiare tempo. B. ha affermato che il numero di civili che potevano essere uccisi nella prima settimana di guerra per ogni sospetto militante junior marcato dall’IA era di quindici, ma che questo numero “è andato su e giù” nel tempo.
“All’inizio abbiamo attaccato quasi senza considerare i danni collaterali”, ha detto B. della prima settimana dopo il 7 ottobre. “In pratica, non si contavano le persone [in ogni casa bombardata], perché non si riusciva a capire se fossero in casa o meno”. Dopo una settimana sono iniziate le restrizioni sui danni collaterali. Il numero è sceso [da 15] a cinque, il che ha reso molto difficile per noi attaccare, perché se l’intera famiglia era in casa, non potevamo bombardarla. Poi hanno alzato di nuovo il numero”.
Sapevamo che avremmo ucciso più di 100 civili
Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che ora, in parte a causa delle pressioni americane, l’esercito israeliano non genera più in massa obiettivi umani junior da bombardare nelle case dei civili. Il fatto che la maggior parte delle case nella Striscia di Gaza fossero già distrutte o danneggiate, e che quasi tutta la popolazione fosse sfollata, ha anche compromesso la capacità dell’esercito di affidarsi a database di intelligence e a programmi automatici di localizzazione delle case.
- ha affermato che il bombardamento massiccio dei militanti junior ha avuto luogo solo nelle prime due settimane di guerra, e poi è stato interrotto principalmente per non sprecare bombe. “C’è un’economia delle munizioni”, ha detto E.. “Hanno sempre avuto paura che ci fosse [una guerra] nell’arena settentrionale [con Hezbollah in Libano]. Non attaccano più questo tipo di persone [junior]”.
Tuttavia, gli attacchi aerei contro i comandanti di alto livello di Hamas sono ancora in corso e le fonti hanno detto che, per questi attacchi, l’esercito sta autorizzando l’uccisione di “centinaia” di civili per ogni obiettivo – una politica ufficiale per la quale non ci sono precedenti storici in Israele, o anche nelle recenti operazioni militari statunitensi.
“Nel bombardamento del comandante del Battaglione Shuja’iya, sapevamo che avremmo ucciso più di 100 civili”, ha ricordato B. a proposito del bombardamento del 2 dicembre che, secondo il portavoce dell’IDF, aveva come obiettivo l’assassinio di Wisam Farhat. “Per me, psicologicamente, è stato insolito. Più di 100 civili – questo supera una certa linea rossa”.
Amjad Al-Sheikh, un giovane palestinese di Gaza, ha raccontato che molti membri della sua famiglia sono stati uccisi in quel bombardamento. Residente a Shuja’iya, a est di Gaza City, quel giorno si trovava in un supermercato locale quando ha sentito cinque esplosioni che hanno mandato in frantumi le vetrate.
“Sono corso a casa della mia famiglia, ma non c’erano più edifici”, ha raccontato Al-Sheikh a +972 e Local Call. “La strada era piena di urla e fumo. Interi isolati residenziali si sono trasformati in montagne di macerie e fosse profonde. La gente ha iniziato a cercare nel cemento, usando le mani, e anch’io ho cercato segni della casa della mia famiglia”.
La moglie e la figlioletta di Al-Sheikh sono sopravvissute – protette dalle macerie da un armadio caduto sopra di loro – ma ha trovato altri 11 membri della sua famiglia, tra cui le sorelle, i fratelli e i loro figli piccoli, morti sotto le macerie. Secondo il gruppo per i diritti umani B’Tselem, quel giorno il bombardamento ha distrutto decine di edifici, ucciso decine di persone e sepolto centinaia di persone sotto le rovine delle loro case.
Intere famiglie sono state uccise
Fonti dell’intelligence hanno dichiarato a +972 e Local Call di aver preso parte ad attacchi ancora più letali. Per assassinare Ayman Nofal, il comandante della Brigata Centrale di Gaza di Hamas, una fonte ha detto che l’esercito ha autorizzato l’uccisione di circa 300 civili, distruggendo diversi edifici in attacchi aerei sul campo profughi di Al-Bureij il 17 ottobre, sulla base di una localizzazione imprecisa di Nofal. Le immagini satellitari e i video della scena mostrano la distruzione di diversi alti edifici di appartamenti a più piani.
“Nell’attacco sono state spazzate via tra le 16 e le 18 case”, ha dichiarato Amro Al-Khatib, un residente del campo, a +972 e Local Call. “Non riuscivamo a distinguere un appartamento dall’altro, erano tutti confusi tra le macerie e abbiamo trovato parti di corpi umani ovunque”.
In seguito, Al-Khatib ha ricordato che sono stati estratti dalle macerie 50 cadaveri e circa 200 feriti, molti dei quali gravi. Ma questo era solo il primo giorno. I residenti del campo hanno trascorso cinque giorni a tirare fuori i morti e i feriti, ha detto.
Nael Al-Bahisi, un paramedico, è stato uno dei primi ad arrivare sul posto. Ha contato tra le 50-70 vittime in quel primo giorno. “A un certo punto abbiamo capito che l’obiettivo dell’attacco era il comandante di Hamas Ayman Nofal”, ha detto a +972 e Local Call. “Hanno ucciso lui e anche molte persone che non sapevano fosse lì. Sono state uccise intere famiglie con bambini”.
Un’altra fonte dell’intelligence ha dichiarato a +972 e Local Call che l’esercito ha distrutto una torre residenziale a Rafah a metà dicembre, uccidendo “decine di civili”, per cercare di eliminare Mohammed Shabaneh, il comandante della Brigata Rafah di Hamas (non è chiaro se sia stato ucciso o meno nell’attacco). Spesso, ha detto la fonte, gli alti comandanti si nascondono in tunnel che passano sotto edifici civili, e quindi la scelta di assassinarli con un attacco aereo uccide necessariamente dei civili.
“La maggior parte dei feriti erano bambini”, ha dichiarato Wael Al-Sir, 55 anni, che ha assistito all’attacco su larga scala che alcuni gazawi ritengono sia stato un tentativo di assassinio. Ha dichiarato a +972 e Local Call che il bombardamento del 20 dicembre ha distrutto “un intero isolato residenziale” e ucciso almeno 10 bambini.
“C’era una politica completamente permissiva riguardo alle vittime delle operazioni [di bombardamento] – così permissiva che a mio parere aveva un elemento di vendetta”, ha affermato D., una fonte di intelligence. “Il fulcro di questa politica era l’assassinio di alti comandanti [di Hamas e della JIP] per i quali erano disposti a uccidere centinaia di civili. Avevamo un calcolo: quanti per un comandante di brigata, quanti per un comandante di battaglione e così via”.
“C’erano dei regolamenti, ma erano molto indulgenti”, ha detto E., un’altra fonte dell’intelligence. “Abbiamo ucciso persone con danni collaterali a due cifre, se non a tre cifre. Sono cose che non erano mai successe prima”.
Un tasso così elevato di “danni collaterali” è eccezionale non solo rispetto a ciò che l’esercito israeliano considerava accettabile in precedenza, ma anche rispetto alle guerre condotte dagli Stati Uniti in Iraq, Siria e Afghanistan.
Il generale Peter Gersten, vicecomandante per le operazioni e l’intelligence nell’operazione di lotta all’ISIS in Iraq e Siria, ha dichiarato a una rivista di difesa statunitense nel 2021 che un attacco con danni collaterali di 15 civili si discostava dalla procedura; per portarlo a termine, ha dovuto ottenere un permesso speciale dal capo del Comando centrale degli Stati Uniti, il generale Lloyd Austin, che ora è segretario alla Difesa.
“Con Osama Bin Laden, si aveva un NCV (Non-combatant Casualty Value) di 30, ma se si aveva un comandante di basso livello, il suo NCV era tipicamente zero”, ha detto Gersten. “Per molto tempo abbiamo avuto un valore pari a zero”.
Ci è stato detto: “Bombardate tutto quello che potete”.
Tutte le fonti intervistate per questa indagine hanno affermato che i massacri di Hamas del 7 ottobre e il rapimento degli ostaggi hanno influenzato notevolmente la politica di attacco dell’esercito e i livelli di danni collaterali ritenuti accettabili. “All’inizio l’atmosfera era dolorosa e vendicativa”, ha detto B., che è stato arruolato nell’esercito subito dopo il 7 ottobre e ha prestato servizio in una sala operativa. “Le regole erano molto indulgenti. Hanno abbattuto quattro edifici quando sapevano che l’obiettivo era in uno di essi. Era una follia”.
“C’era una dissonanza: da un lato, la gente qui era frustrata perché non stavamo attaccando abbastanza”, ha continuato B.. “Dall’altro, alla fine della giornata si vede che sono morti altri mille gazawi, la maggior parte dei quali civili”.
“C’era isteria nei ranghi professionali”, ha detto D., anche lui arruolato subito dopo il 7 ottobre. “Non avevano la minima idea di come reagire. L’unica cosa che sapevano fare era bombardare come pazzi per cercare di smantellare le capacità di Hamas”.
- ha sottolineato che non gli è stato detto esplicitamente che l’obiettivo dell’esercito è la “vendetta”, ma ha espresso che “non appena ogni obiettivo collegato ad Hamas diventa legittimo, e con l’approvazione di quasi tutti i danni collaterali, è chiaro che migliaia di persone saranno uccise”. Anche se ufficialmente ogni obiettivo è collegato ad Hamas, quando la politica è così permissiva, perde ogni significato”.
- ha anche usato la parola “vendetta” per descrivere l’atmosfera all’interno dell’esercito dopo il 7 ottobre. “Nessuno ha pensato a cosa fare dopo, quando la guerra sarà finita, o a come sarà possibile vivere a Gaza e cosa ne faranno”, ha detto A.. “Ci è stato detto: ora dobbiamo distruggere Hamas, a qualunque costo. Tutto ciò che si può, si bombarda”.
B., la fonte senior dell’intelligence, ha detto che, a posteriori, ritiene che questa politica “sproporzionata” di uccidere i palestinesi a Gaza metta in pericolo anche gli israeliani, e che questo è stato uno dei motivi per cui ha deciso di farsi intervistare.
“Nel breve termine siamo più sicuri, perché abbiamo danneggiato Hamas. Ma credo che a lungo termine saremo meno sicuri. Vedo come tutte le famiglie in lutto a Gaza – che sono quasi tutte – aumenteranno la motivazione per cui [le persone si uniranno] ad Hamas tra 10 anni. E sarà molto più facile per [Hamas] reclutarli”.
In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, l’esercito israeliano ha smentito gran parte di quanto raccontato dalle fonti, sostenendo che “ogni obiettivo viene esaminato singolarmente, mentre viene fatta una valutazione individuale del vantaggio militare e dei danni collaterali attesi dall’attacco… L’IDF non esegue azioni quando i danni collaterali attesi dall’attacco sono eccessivi rispetto al vantaggio militare”.
Medics transport an injured Palestinian child into Al-Shifa hospital in Gaza City following an Israeli airstrike on October 11, 2023, as raging battles between Israel and the Hamas movement continued for the fifth consecutive day. Medical supplies, including oxygen, were running low at Gaza’s overwhelmed Al-Shifa hospital as the death toll from five days of ferocious fighting between Hamas and Israel rose sharply on October 11 with Israel keeping up its bombardment of Gaza after recovering the dead from the last communities near the border where Palestinian militants had been holed up. Photo by Atia Darwish apaimages
FASE 5: IL CALCOLO DEI DANNI COLLATERALI
Il modello non era collegato alla realtà
Secondo le fonti di intelligence, il calcolo da parte dell’esercito israeliano del numero di civili che si prevedeva venissero uccisi in ogni casa dove c’era un obiettivo – una procedura esaminata in una precedente indagine di +972 e Local Call – è stato condotto con l’aiuto di strumenti automatici e imprecisi. Nelle guerre precedenti, il personale dell’intelligence dedicava molto tempo a verificare quante persone si trovassero in una casa destinata a essere bombardata, e il numero di civili suscettibili di essere uccisi veniva elencato come parte di un “dossier obiettivo”. Dopo il 7 ottobre, tuttavia, questa verifica approfondita è stata ampiamente abbandonata a favore dell’automazione.
In ottobre, il New York Times ha riportato di un sistema gestito da una base speciale nel sud di Israele, che raccoglie informazioni dai telefoni cellulari nella Striscia di Gaza e fornisce ai militari una stima in tempo reale del numero di palestinesi fuggiti dal nord della Striscia di Gaza verso sud. Il generale di brigata Udi Ben Muha ha dichiarato al Times che “non è un sistema perfetto al 100% – ma fornisce le informazioni necessarie per prendere una decisione”. Il sistema funziona in base ai colori: il rosso indica le aree in cui ci sono molte persone, mentre il verde e il giallo indicano le aree che sono state relativamente liberate dai residenti.
Le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno descritto un sistema simile per il calcolo dei danni collaterali, utilizzato per decidere se bombardare un edificio a Gaza. Hanno detto che il software calcolava il numero di civili che risiedevano in ogni casa prima della guerra – valutando le dimensioni dell’edificio e rivedendo la lista dei residenti – e poi riduceva questi numeri per la percentuale di residenti che presumibilmente avevano evacuato il quartiere.
Per esempio, se l’esercito stimava che la metà dei residenti di un quartiere se ne fosse andata, il programma avrebbe contato una casa che di solito aveva 10 residenti come una casa con cinque persone. Per risparmiare tempo, hanno detto le fonti, l’esercito non ha controllato le case per verificare quante persone vi abitassero effettivamente, come aveva fatto in precedenti operazioni, per scoprire se la stima del programma fosse effettivamente accurata.
“Questo modello non era collegato alla realtà”, ha affermato una fonte. “Non c’era alcun collegamento tra coloro che si trovavano nella casa ora, durante la guerra, e coloro che erano indicati come abitanti della casa prima della guerra. [In un’occasione] abbiamo bombardato una casa senza sapere che all’interno c’erano diverse famiglie, nascoste insieme”.
La fonte ha detto che, sebbene l’esercito sapesse che tali errori potevano verificarsi, questo modello impreciso è stato comunque adottato, perché era più veloce. Per questo motivo, ha detto la fonte, “il calcolo dei danni collaterali era completamente automatico e statistico” – producendo anche cifre che non erano intere.
FASE 6: BOMBARDARE LA CASA DI UNA FAMIGLIA
Avete ucciso una famiglia senza motivo
Le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno spiegato che a volte c’era un notevole divario tra il momento in cui i sistemi di localizzazione come Where’s Daddy? avvisavano un ufficiale che un bersaglio era entrato in casa, e il bombardamento stesso – portando all’uccisione di intere famiglie anche senza colpire l’obiettivo dell’esercito. “Mi è capitato molte volte di attaccare un’abitazione, ma la persona non era nemmeno in casa”, ha detto una fonte. “Il risultato è che si è uccisa una famiglia senza motivo”.
Tre fonti dell’intelligence hanno raccontato a +972 e Local Call di aver assistito a un incidente in cui l’esercito israeliano ha bombardato l’abitazione privata di una famiglia, per poi scoprire che l’obiettivo dell’assassinio non era nemmeno all’interno della casa, poiché non erano state condotte ulteriori verifiche in tempo reale.
“A volte [l’obiettivo] era a casa prima, e poi la sera è andato a dormire da qualche altra parte, per esempio sottoterra, e non lo sapevi”, ha detto una delle fonti. Ci sono volte in cui si ricontrolla la posizione e altre in cui si dice semplicemente: “Ok, era in casa nelle ultime ore, quindi puoi bombardare””.
Un’altra fonte ha descritto un incidente simile che lo ha colpito e che lo ha spinto a farsi intervistare per questa indagine. “Abbiamo capito che l’obiettivo era tornato a casa alle 20. Alla fine l’aviazione ha bombardato la casa alle 3. Poi abbiamo scoperto che [in quel lasso di tempo] era riuscito a trasferirsi in un’altra casa con la sua famiglia. Nell’edificio che abbiamo bombardato c’erano altre due famiglie con bambini”.
Nelle guerre precedenti a Gaza, dopo l’uccisione di obiettivi umani, l’intelligence israeliana eseguiva procedure di valutazione dei danni da bomba (BDA) – un controllo di routine dopo l’attacco per verificare se il comandante senior fosse stato eliminato e quanti civili fossero stati uccisi insieme a lui. Come rivelato in una precedente indagine di +972 e Local Call, ciò comportava l’ascolto delle telefonate dei parenti che avevano perso i loro cari. Nella guerra attuale, tuttavia, almeno per quanto riguarda i militanti più giovani marcati con l’IA, le fonti affermano che questa procedura è stata abolita per risparmiare tempo. Le fonti hanno affermato di non sapere quanti civili siano stati effettivamente uccisi in ogni attacco e, per i sospetti militanti di Hamas e della JIP di basso rango contrassegnati dall’IA, non sanno nemmeno se il bersaglio stesso sia stato effettivamente ucciso.
“Non sai esattamente quanti ne hai uccisi e chi hai ucciso”, ha detto una fonte dell’intelligence a Local Call per una precedente inchiesta pubblicata a gennaio. “Solo quando si tratta di alti funzionari di Hamas si segue la procedura BDA. Nel resto dei casi, non ci si preoccupa. Si riceve un rapporto dall’aeronautica sul fatto che l’edificio sia stato fatto saltare in aria, e questo è tutto. Non si ha idea di quanti danni collaterali ci siano stati; si passa immediatamente all’obiettivo successivo. L’enfasi era quella di creare il maggior numero possibile di obiettivi, il più rapidamente possibile”.
Ma mentre l’esercito israeliano può andare avanti con ogni attacco senza soffermarsi sul numero di vittime, Amjad Al-Sheikh, il residente di Shuja’iya che ha perso 11 membri della sua famiglia nel bombardamento del 2 dicembre, ha detto che lui e i suoi vicini stanno ancora cercando i cadaveri.
“Fino ad ora ci sono corpi sotto le macerie”, ha detto. “Quattordici edifici residenziali sono stati bombardati con i loro residenti all’interno. Alcuni dei miei parenti e vicini sono ancora sepolti”.
*Yuval Abraham è un giornalista e regista basato a Gerusalemme.
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Grazie all’attivazione dei canali di cooperazione giudiziaria di #EPPO, le indagini interessano diversi Paesi europei, con il coinvolgimento delle forze di polizia slovacche, rumene e austriache.
Le attività di frode, attribuite ad un sodalizio criminale con il coinvolgimento di svariati prestanome e l’ausilio di 4 professionisti, hanno in una prima fase riguardato iniziative progettuali per decine di milioni di euro, finanziate a valere sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e hanno poi permesso di far emergere come la medesima organizzazione, utilizzando spesso le stesse società, fosse dedita anche alla creazione di crediti inesistenti nel settore edilizio (bonus facciate) e per il sostegno della capitalizzazione delle imprese (A.C.E.), per circa 600 milioni di euro.
Le attività di polizia giudiziaria svolte dalla #GuardiadiFinanza #GdF di Venezia hanno consentito di individuare condotte ritenute di riciclaggio e autoriciclaggio di ingenti profitti illeciti attuate attraverso un complesso reticolato di società fittizie artatamente costituite anche in Austria, Slovacchia e Romania.
👉 gdf.gov.it/it/gdf-comunica/not…
Riordinare le sedie a sdraio sul Titanic: l’ultima mossa del Belgio non risolve i problemi critici con il regolamento CSA dell’UE
Riportiamo la traduzione del post pubblicato oggi sul sito di EDRi Avviso sui contenuti: contiene riferimenti all’abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori La rete EDRi sollecita da tempo i legislatori dell’Unione Europea (UE) a garantire che gli sforzi per combattere l’OCSEA (sfruttamento e abuso sessuale di minori online) siano legali, efficaci e tecnicamente fattibili.
TicketZon: un bridge per portare concerti e mostre nel fediverso (compatibile con gli eventi di Friendica)
TicketZon è l'istanza Mobilizon creata da @Roberto Guido che ripubblica eventi attingendo dalle piattaforme di vendita online di ticketing.
Per ciascuna provincia esiste un “gruppo”, followabile con un qualsiasi account nel fediverso per ricevere le notifiche di nuovi concerti, spettacoli teatrali, mostre o altre attività nella propria zona.
Qui il post sul forum di @Italian Linux Society
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Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 30 marzo 2024. Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.
Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.
Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco temporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.
Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali sono forza e vastità della deflagrazione piuttosto che precisione nel colpire il bersaglio.
Foto aerea di una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972
Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.
I 25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.
La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.
Ma non sono democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia. E che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv.
Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.
La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.
In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.
Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.
Forze di interposizione ONU presenti in Libano
Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri
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STORIA. Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (quarta parte)
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di Patrizia Zanelli* –
Pagine Esteri, 4 aprile 2024. Fleischmann spiega che, in Palestina, discorsi femministi cominciarono a comparire sui giornali arabi verso il 1890, quando la rivoluzione educativa iniziata a metà ‘800 aveva determinato importanti cambiamenti sociali nel paese che, tuttavia, era ancora povero, poiché privo di risorse minerarie, nonché conservatore. Questo conservatorismo era dovuto sia alle istituzioni religiose e ai notabili locali sia alla volontà del Sultano di mantenere lo status quo nell’Impero.
Erano state prima le famiglie moderniste palestinesi cristiane e poco dopo quelle musulmane a permettere alle proprie figlie – e ai propri figli – di frequentare le scuole missionarie moderne occidentali impiantate in Palestina, dove, per via della povertà, non esistevano università. Essendo le chiese locali conservatrici, molti giovani di rito greco-ortodosso desiderosi di libertà si convertirono all’anglicanismo, scatenando crisi familiari a non finire, tipiche del divario generazionale che caratterizzava le società arabe durante la Nahḍa. Benché considerassero l’istruzione femminile una necessità della vita moderna, le famiglie moderniste di tutte le comunità religiose permettevano solo ai figli maschi di andare a studiare all’università a Beirut, al Cairo o a Istanbul. Abituate sin da bambine a uscire di casa per andare a scuola, le giovani dell’élite urbana non erano disposte né costrette a vivere segregate; la loro presenza, in maggioranza a volto scoperto, in pubblico era ormai normale; indossavano cappellini e un abbigliamento sobrio all’europea; e per le occasioni speciali, talvolta, il tradizionale thobe ricamato palestinese; alcune musulmane non abbandonarono subito il velo. Tutte, però, sapevano che, a differenza dei loro fratelli e altri ragazzi della loro generazione, non potevano studiare all’università; fu anche per questa discriminazione di genere che cominciarono a maturare una consapevolezza femminista; in diversi casi studiavano in un istituto di formazione pedagogica.
Grazie alla scolarizzazione di massa lanciata dalla riforma ottomana e alla presenza delle scuole missionarie russe nei villaggi della Galilea, inoltre, molte giovani del proletariato rurale e urbano erano ormai istruite; quindi, potevano svolgere nuove professioni, come per esempio le impiegate negli uffici municipali, e aiutare economicamente le proprie famiglie. La rivoluzione educativa stava generando gradualmente in Palestina tre novità parallele: la mobilità sociale, la dissoluzione della dicotomia città/campagna e un lento smantellamento della segregazione di genere.
Intanto, spiega Masalha, si era registrata nel paese una forte crescita demografica, dovuta a una fioritura di strutture sanitarie moderne pubbliche, fondate dall’amministrazione ottomana, e private; da qui un notevole calo della mortalità infantile, l’aumento del numero di bambine e bambini da istruire, e della richiesta di docenti, medici e infermiere. Nei centri urbani teatro delle narrazioni evangeliche – Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e Tiberiade – i missionari europei e americani crearono inoltre ospedali, alcuni destinati alla formazione medica e infermieristica, e ospizi per le cure sia dei pellegrini sia della popolazione locale. Quindi, anche la modernizzazione della sanità offrì nuove opportunità di lavoro per la società palestinese, donne incluse.
Come spiega Salim Tamari [14], infatti, è storicamente dimostrato che intorno al 1895, infermiere palestinesi e straniere lavoravano nel Muristan, l’ospedale pubblico di Gerusalemme; venivano assunte tramite la Società Ottomana della Mezzaluna Rossa. Dunque, stava emergendo nella società urbana palestinese un proto-femminismo, di cui è però difficile capire esattamente la genesi, per la già indicata dispersione delle fonti storiche disponibili al riguardo, dovuta alla Nakba, nonché per la rigida censura sulla stampa imposta dalla Porta in Palestina.
Gli scontri di Affula (al-Fūla), avvenuti nel 1884, dopo che il proprietario libanese del villaggio lo aveva venduto all’agenzia sionista, e citati da Fleischmann per rilevare la partecipazione delle contadine alla resistenza esplosa contro la fondazione della colonia, sono significativi soprattutto in termini di diffusione popolare dell’autocoscienza anti-colonialista. Sanbar nota, infatti, che l’opposizione palestinese al sionismo nacque prima dalla pubblicazione, nel 1896, de Lo Stato ebraico di Theodore Herzl (1860-1904). Il rischio di una sostituzione etnica era l’argomento di un dibattito generale sulle pagine dei giornali arabi; uno dei dirigenti che presero iniziative importanti in merito è il gerosolimitano Yusuf Diyā‘ al-Din al-Khalidi (1842-1906), deputato di Gerusalemme al Parlamento ottomano del 1877 e per due mandati sindaco della città, il quale, nel 1889, scrisse al gran rabbino di Francia, Zadok Kahn: “In nome di Dio, lasciate in pace la Palestina”. Sin dal 1891 petizioni simili per richiedere il controllo dell’immigrazione ebraica e l’interdizione delle vendite dei terreni agli immigranti saranno rivolte invano alle autorità di turno. Perciò lo stesso evento di Affula del 1884 è ritenuto emblematico; lo cita infatti anche Masalha, confermando il parere di altri storici, come Rashid Khalidi, Beshara Doumani, Ilan Pappé, Baruch Kimmerling e Joel S. Migdad, che collocano la nascita di un proto-nazionalismo territoriale locale e di una percepita identità nazionale palestinese a fine ‘800, prima della comparsa del sionismo politico (sancita dal congresso di Basilea del 1897). Come già detto, tale percezione era dovuta anzitutto alla massiccia presenza di stranieri occidentali e orientali in Palestina, dove, per via della crescita economica, risiedevano, solo per esempio, immigrati egiziani, libanesi e siriani. In quel contesto, le immigrazioni ebraiche, materializzatesi in colonie sioniste, non generavano nelle menti delle donne e degli uomini palestinesi più di tanto riflessioni sulla questione identitaria bensì seri timori per la loro stessa sopravvivenza nel loro paese.
Pur non essendo famosa, la vera pioniera della Nahḍa femminile palestinese è la scrittrice nazarena cristiana greco-ortodossa Kulthum Odeh (1892-1965), che, in un breve testo autobiografico, dice: “Il mio arrivo in questo mondo è stato accolto dalle lacrime, poiché tutti sanno come gli arabi, quali siamo pure noi, si sentono quando viene annunciata loro la nascita di una femmina, specialmente se questa bambina sfortunata è la quinta delle sue sorelle, e la famiglia non è stata benedetta da un maschietto. Tali sentimenti di odio mi accompagnavano sin dalla tenera età. Non ricordo che mio padre sia mai stato compassionevole con me. La cosa che aumentava l’odio dei miei genitori nei miei confronti è il fatto che pensavano che fossi brutta. Perciò sono cresciuta, evitando di parlare, eludendo gli incontri con persone e concentrandomi solo sulla mia istruzione”.
In questo breve testo autobiografico – uno dei rarissimi della Nahḍa femminile palestinese -, Odeh spiega bene cosa significasse essere una giovane in Palestina e altrove nel mondo arabo all’epoca. Aveva frequentato una scuola a Nazareth e poi l’istituto di formazione pedagogica di Beit Jala, dove uno dei suoi docenti era il già citato letterato Khalil al-Sakakini. Era una studentessa eccellente. Appena diplomata all’età di 16 anni, lei stessa insegnò arabo in una scuola russa a Nazareth. Iniziò inoltre a pubblicare articoli in alcune delle quasi 50 testate palestinesi esistenti all’epoca. A un certo punto, si innamorò del medico russo, Ivan Vasilev, che ricambiava i suoi sentimenti, ma la sua famiglia non voleva che sposasse uno straniero. Quindi, lei e lui andarono a sposarsi a Gerusalemme. Quando rientrarono a Nazareth, non ebbero vita facile; perciò, nel 1914 circa, si trasferirono in Russia. Odeh avrà tre figlie ma, nel 1919, durante la guerra civile seguita alla Rivoluzione d’ottobre, suo marito, allora volontario nell’Armata Rossa, morirà di tifo. Lei continuerà a studiare e, per esigenze economiche, lavorerà come infermiera. Nel 1928, ottenne il dottorato presso l’Università di Leningrado, dove poi insegnò; fondò anche un istituto di studi di dialetti arabi a Mosca. Odeh fu la prima donna del mondo arabo a laurearsi e a diventare un’accademica. L’autrice palestinese condusse una brillante carriera professionale in Russia, ma a livello personale non ebbe mai vita facile. Fu importante come letterata, e per i suoi studi di dialettologia e letteratura araba; era anche un’attivista marxista.
Tornando alla Palestina, agli inizi del ‘900 alcune palestinesi cristiane greco-ortodosse del ceto medio cominciarono a creare associazioni caritatevoli femminili. Appartenendo a una minoranza religiosa, volevano aiutare la loro comunità, sapendo che era poco tutelata dallo Stato ottomano. Questo attivismo sociale, consentiva loro di emanciparsi, di avere una vita pubblica, aiutando bambine bisognose o/e orfane a istruirsi, e, una volta diplomate, inserirsi nel mondo del lavoro ed essere donne emancipate, almeno economicamente. Nella comunità cristiana palestinese esisteva, poi, una vecchia divisione tra la maggioranza greco-ortodossa, considerata più popolare, e la minoranza cattolica più elitaria, poiché più vicina all’Europa. Tamari spiega che, a prescindere dalla fede di appartenenza, le attiviste di questa prima generazione del proto-femminismo erano state ispirate dal volontarismo delle suore missionarie che le avevano educate. Va da sé che, proprio come i loro fratelli, erano state influenzate sin dall’infanzia dalle idee moderniste e nazionaliste degli uomini adulti delle loro famiglie. Non volevano vivere come le loro madri, di solito dalla mentalità più tradizionalista rispetto ai padri che, però, non permettevano alle figlie di svolgere professioni “inadatte” al loro status sociale, come le infermiere o le impiegate del settore pubblico e privato, appartenenti al proletariato urbano. Il passaggio dalla tradizione alla modernità non fu liscio in Palestina né altrove nel mondo arabo, dove il marxismo era – e rimarrà – un’ideologia marginale, specialmente nella sua espressione comunista; Odeh fu una pioniera anche in tal senso.
In breve, le giovani palestinesi del ceto medio – e dell’alta borghesia –, desiderose di un minimo di libertà e indipendenza, avevano più ragioni per fondare associazioni caritatevoli femminili. Dopo la Società Ortodossa di Aiuto ai Poveri, creata ad Acri, nel 1903, ne nacquero altre simili, tra cui una a Giaffa, nel 1910, un’altra a Haifa, nel 1911, e un’altra ancora a Gerusalemme, nel 1919. Le associazioni caritatevoli nate in questa fase erano confessionali, ma non settarie; erano rivolte alle famiglie bisognose, incluse le persone ammalate, di tutte le comunità religiose. Le attiviste erano appunto giovani docenti, perlopiù ancora single.
Tamari spiega l’esperienza di una figura molto interessante, futura leader famosa, la già citata Adele Azar di Giaffa, autrice di un altro dei rarissimi testi autobiografici rappresentativi del femminismo palestinese della Nahḍa; lo scrisse nel 1963, in un quaderno di appunti e nella forma di una lunga lettera per i/le nipoti. Figlia unica, ad appena due anni d’età, i genitori l’avevano mandata a scuola: la Miss Arnot’s Mission School, dove alle alunne veniva insegnata anche educazione fisica. Come già detto, le missionarie delle scuole femminili britanniche erano, però, piene di preconcetti orientalistici nei confronti delle società arabe, che pensavano di dovere “civilizzare”, secondo la loro mentalità eurocentrica, tramite l’istruzione delle bambine. Finite le medie, Adele, che ormai conosceva l’inglese, fu iscritta alla St. Joseph School (sempre a Giaffa), perché imparasse anche il francese. Nel 1899, ancora studentessa, si fidanzò con Afteem Yaqub Azar, che sposerà nel 1901. Le fonti storiche non offrono informazioni sulla professione di suo marito.
Adele Azar è un po’ un caso eccezionale, perché era appunto già sposata, il 15 febbraio 1910, quando divenne la presidente e una delle fondatrici della Società delle Signore Ortodosse, che, nel suo testo, definisce come “la prima organizzazione femminile nazionale a essere stata fondata in Palestina”; nello stesso segmento testuale poi ripete l’aggettivo “nazionale”. Questa insistenza forse serviva a sottolineare che l’associazione non era settaria e di certo rivela il patriottismo e il linguaggio modernista di Azar e delle altre attiviste che lavoravano per il futuro della loro nazione. Il nazionalismo non era una mera opzione per la società palestinese alle prese con la minaccia sionista e imperialismi vari.
Per avere un’istruzione moderna, le bambine dell’alta borghesia e del ceto medio, cristiane e musulmane, dovevano per forza di cose frequentare le scuole missionarie straniere cattoliche e protestanti, ricevendo un’educazione europea; quindi, non conoscevano la cultura araba. A Gerusalemme molte figlie dell’élite frequentavano la Scuola delle Sorelle di Nostra Signora di Sion, in cui imparavano più che altro economia domestica. Le femministe palestinesi, perciò, volevano realizzare una rivoluzione educativa per le bambine e le ragazze della Palestina.
Azar era, inoltre, stata ispirata da Labiba Jahshan e Zarifa Sarsuq che, nel 1881, avevano fondato a Beirut la tuttora esistente Ecole Zahrat al-Ihsān (Fiore della Carità), che dirigevano insieme nell’ambito della loro associazione femminile che aveva lo stesso nome. In questo istituto scolastico fornivano un’istruzione moderna in materie umanistiche e scientifiche a bambine e ragazze della comunità cristiana ortodossa. Fu la risposta locale libanese alla crescente influenza delle scuole missionarie cattoliche e protestanti straniere in Libano. Divenne poi un modello anche per gli istituti scolastici delle associazioni femminili palestinesi e siriane. Azar lo adottò, infatti, per l’offerta didattica della scuola della Società delle Signore Ortodosse, della quale era la preside; era lei che preparava il programma; lo scriveva nel suo succitato quaderno di appunti. Le lingue insegnate erano l’arabo e l’inglese; le attiviste organizzavano anche corsi di taglio e cucito in un laboratorio allestito appositamente. Ricevevano le risorse finanziarie per le loro attività dalla chiesa e da privati della comunità ortodossa. La vice-preside della scuola era Alexandra Kassab Zarifeh (1897-?), un’attivista per i diritti delle donne, definita la “ribelle” di Giaffa. Per le occasioni speciali, talvolta si vestiva all’ultima moda parigina, considerata osé all’epoca. Aveva studiato alla Ecole Zahrat al-Ihsān di Beirut e iniziato sin da ragazza l’attivismo sociale nella Croce Rossa e nella Mezzaluna Rossa.
Fleischmann spiega che, per le femministe palestinesi di questa prima generazione, il principale elemento identitario era la femminilità; si associavano alle loro corrispettive egiziane, libanesi e siriane, con le quali aderivano allo stesso movimento, la Nahḍa femminile. D’altro canto, loro avevano problemi specifici locali da affrontare: la crisi nazionale provocata dal sionismo oltre alla povertà ancora predominante nel paese, nonostante la recente crescita economica. Alcune erano mogli o sorelle dei teorici della palestinesità, teorie che tutte conoscevano e in cui si identificavano, così come erano vicine al panarabismo; volevano salvaguardare l’arabicità della Palestina, nonché la cultura ecumenica tipica della loro stessa società palestinese. Perciò, non erano settarie sul piano confessionale né esclusiviste per quanto riguarda il nazionalismo; erano cresciute ricevendo svariati stimoli nelle città cosmopolite in cui vivevano e/o studiavano. Bilingue e talvolta poliglotte, le palestinesi avevano gli strumenti necessari per tenersi aggiornate sugli sviluppi della Nahḍa in Egitto (il Cairo era ormai il cuore propulsivo del movimento), in Libano e Siria, e sulla modernità importata dall’Occidente; erano state esposte a modelli femminili anzitutto francesi e inglesi, con cui sapevano interagire culturalmente, rifiutando di essere mere imitatrici delle donne occidentali. Le docenti diplomate a Beit Jala conoscevano, inoltre, le grandi opere della letteratura russa moderna.
In definitiva, le femministe palestinesi di questa prima generazione sia cristiane che musulmane, le quali emergeranno sulla scena pubblica durante la Grande Guerra, stavano sviluppando sin da giovani un attivismo sociale e culturale comunque legato alla crisi nazionale e, dunque, politico. Varie fonti storiche sottolineano che sono, di fatto, queste pioniere, e soprattutto le già citate più politicizzate leader famose dell’associazione femminile di Gerusalemme, le vere ispiratrici del futuro femminismo panarabo che nascerà proprio per la difesa della Palestina.
[14] Salim Tamari, “Adele Azar: Public Charity and Early Feminism”, Jerusalem Quarterly, 74, 2018.
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba(Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui i romanzi Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).
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Ambasciata Usa: 'Nato impegnata in risoluzione pacifica delle controversie' • Imola Oggi
imolaoggi.it/2024/04/04/ambasc…
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In Cina e Asia: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico
I titoli di oggi: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico Cina, le aziende di Stato guideranno la corsa all’avanguardia tecnologica Uno studio dimostra come la Cina starebbe promuovendo il suo modello politico in Medio Oriente Il nuovo sistema operativo di Huawei può competere contro iOS e Android Hong Kong facilita le condizioni per il cambio di ...
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Terremoto a Taiwan: il racconto da Taipei
Un sisma di magnitudo 7.2 ha colpito l'isola, il più forte degli ultimi 25 anni. Decine di scosse di assestamento fino a tarda notte, danni limitati a Taipei ma più seri altrove. Immagini impressionanti tra Hualien e la costa orientale
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Could the US Government Self-Host a Fediverse Server?
In our report yesterday about President Biden and the White House opting in to ActivityPub federation, there were a number of responses from people wishing that the White House (and other organizations) would simply self-host their own server to be a part of the network. I agree with this sentiment, and have been thinking about the requirements that would make this kind of thing possible.
Here are my thoughts, based on my limited experience working for both tech startups and government.
Why Would Anyone Want This?
There are a number of people in the Fediverse that would like all forms of government to stay the heck away from the network, citing the problems of bringing the military-industrial-complex and surveillance capitalism to our cozy little space on the Internet. Depending on which government we’re talking about, what their policies are, and how they interact with the network, this isn’t necessarily an unreasonable reaction.
However, there are a number of benefits that bringing government to self-hosted infrastructure might bring:
- Government Officials – Communicating with and representing their constituents.
- Service Notifications – Are there outages on certain train lines? Are roads closed down? Has a natural disaster occurred?
- Bureau Interactions – interacting with municipal services, civic organizations, and emergency / non-emergency services for a variety of jurisdictions.
- Department Information – easy promotion and access to studies from, say, the Department of Labor, or the Department of Energy.
- Legislature – coverage of meeting notes, policies passed, votes on the House or Senate floor.
As of today, these things primarily exist within the domain of corporate social media. You’re more likely to see a smattering of accounts across Twitter, Facebook, and Threads, and those accounts might be pretty limited in what they’re able to actually accomplish, since they’re not even running on government infrastructure.
The fact of the matter is, being able to directly access all of the things listed above could be a boon to users of the Fediverse. Rather than trying to rely on a Facebook page or Twitter account to get necessary information, it could be seen from verified accounts on your timeline, with receipts, and would be accessible to journalists, researchers, developers, and citizens alike.
Technical and Organizational Hurdles
There are a number of hoops to jump through, so let’s talk about them. Before diving in: I’m aware of the effort being done by the European Union as well as some EU governments. I think those are great, and give us some kind of playbook to look to for examples. These musings are more focused on the United States.
Funding
The first headache with any government project is setting aside the funds and people to work on it. A political figure could introduce a bill with provisions to set aside a budget for such a program, but then there are questions pertaining to who actually carries out this effort. How much of the work is being contracted out to another business or agency? What’s the criteria for “winning” the contract, and who carries out what tasks?
Procurement
Then there’s the choice of software itself: the platform and its dependencies need to be audited, examined, and vouched for. Off the top of my head, relatively few Fediverse platforms actually fulfill this expectation: I believe that Mastodon may be one of the few that has actually gone through this process, but there may be significant differences between a security audit by a compliance group, and a security audit by a government.
Aside from choosing an official platform to stake operations on, there’s also the matter of finding an ideal third-party vendor. Currently, managed Fediverse hosting services are still in their infancy, and I’m not sure they’re up to scratch for what a government entity demands: comprehensive compliance requirements, service-level agreements, user training and onboarding materials, and promises pertaining to security upgrades and threat mitigations.
There may also be requirements for custom development, for example, integrating federal single sign-on, such as ID.me or something similar. There would also need to be a deployment strategy for various users, departments, and bureaus. It may be possible for an existing government IT provider to adopt Mastodon or another platform and develop everything needed here, but it’s much harder for any business started in the Fediverse today.
Policy
Another relatively grey area here would be the setting of policy for a US Government-run instance. Dealing with hate speech, CSAM, trolling, harassment, and other nastiness is a job and a half for ordinary instance admins, but I would imagine that this could be compounded further by hosting a government server with potentially millions of followers.
How does a government handle that kind of thing without violating the First Amendment? Does moderation even count as violating free speech, as some people believe? Is there perhaps a threshold for what’s tolerated in civil discussion?
I’m not a lawyer, and don’t have a complete answer. They might be able to get away with something similar to the Mastodon Server Covenant, in which ground rules for participation are set. Alternatively, maybe only allowing inbound federation from other government servers is an answer. I don’t know.
Tooling
One final consideration: departments and organizations are unlikely to get very far if they only have a default web interface to rely on. The Fediverse needs tools like Buffer, Fedica, and Mixpost for teams to come together and coordinate their presence in this new space. As the ecosystem evolves, we’ll likely need alternative tools and frontends to deal with emerging challenges.
It’s Still Worth Trying
I’ll be the first to admit that, looking at everything above, there’s a lot of unanswered questions. People asked why President Biden and the White House opted in to using Threads with ActivityPub federation, rather than stand up their own server. For the time being, the cost of setup, onboarding, and training is cheaper. They’re also making a smart bet by migrating to where a lot of people are, in the hopes that they will be heard by the greatest amount of potential followers.
As the Fediverse continues to grow, and both the protocol and platforms continue to evolve, my hope is that government entities might see the Fediverse as viable. One day, we may see a lot of municipal entities and departments setting up their base of operations right here on the network. I think it’s important that we continue thinking about how to get there.
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io penso che tutti gli enti pubblici dovrebbero togliersi da tutte le piattaforme privative e usare esclusivamente il fediverso come sistema di comunicazione diretta, oltre ad offrire il servizio ai cittadini, con tutte le restrizioni che comporta.
Allo stesso modo esorterei tutti i politici a non usare le piattaforme privative per fare annunci istituzionali o politici.
E inviterei gli stessi partiti ad aprire i loro server e a togliersi dalle varie piattaforme privative.
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Israele e la “guerra totale”: attacco ai civili, agli operatori umanitari, all’Iran e ai suoi stessi alleati
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 3 aprile 2024. Sono più di 200 gli operatori umanitari uccisi a Gaza in sei mesi. Quasi tre volte il bilancio delle vittime registrate in un anno in qualsiasi singolo conflitto mondiale.
Secondo l’ONU ne erano 196 fino al 20 marzo, prima quindi del sanguinoso attacco israeliano che ha ucciso martedì 2 aprile sette membri della World Central Kitchen. Un convoglio di 3 autovetture che aveva coordinato il proprio percorso con i militari israeliani, è stato colpito dopo che il gruppo di operatori umanitari, identificabile con il logo della WCK, ha consegnato 100 tonnellate di aiuti alimentari a Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Un attacco mirato, che non ha lasciato scampo agli operatori, tre di nazionalità inglese, uno con doppio passaporto statunitense-canadese, uno polacco, uno australiano e un palestinese. Il secondo veicolo è stato colpito a 800 metri di distanza dal primo. E il terzo a 1 chilometro e 600 metri dal secondo, con estrema precisione. Il premier Netanyahu ha parlato di un “tragico errore”, cose che però “in guerra accadono”. È difficile immaginare che un tale grossolano sbaglio sia riconducibile allo stesso esercito che poche ore prima ha distrutto con chirurgica accuratezza l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria.
Con l’aumentare dello sdegno internazionale, le parole di scusa sono divenute più chiare, accompagnate però dal funambolico tentativo di descrivere il raid come un’azione isolata. Difficile inquadrarla in questo modo ormai anche per gli storici sostenitori d’Israele: le uccisioni di operatori umanitari, di giornalisti, di civili, di donne e bambini hanno raggiunto numeri inimmaginabili, l’orrore della fame è denunciato ovunque come arma di guerra saldamente impugnata da Netanyahu e dal suo governo. “Se Israele sperava che il suo controllo sull’ingresso degli aiuti sarebbe servito come mezzo di pressione per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, ha perso la scommessa” scrive oggi il quotidiano israeliano Haaretz.
I passaporti di alcuni degli operatori umanitari della WCK uccisi da Israele a Gaza
Il dibattito interno inglese è diventato rovente quando è stata ventilata l’ipotesi che i tre cittadini inglesi della WCK possano essere stati uccisi con una delle tante armi che la Gran Bretagna ha consegnato a Israele. L’opinione pubblica era già rimasta scossa da una fuga di notizie: nonostante il governo abbia ricevuto un parere legale secondo cui l’esercito israeliano sta violando il diritto internazionale, il flusso di armi non è stato bloccato. Insieme a Jeremy Corbyn, altri deputati hanno chiesto la sospensione della vendita di armi a Israele: “dobbiamo chiedere un cessate il fuoco immediato, e porre fine alla nostra complicità in questo orrore”, ha dichiarato l’ex leader laburista.
All’indomani dell’attacco drone al convoglio, la World Central Kitchen ha annunciato la sospensione delle proprie attività nella Striscia di Gaza. Secondo il Cogat, l’organismo del ministero della difesa israeliano che controlla l’amministrazione civile dei territori palestinesi occupati, la WCK garantiva circa il 60% degli aiuti non governativi che entrano nel territorio. Altre Organizzazioni non governative hanno seguito l’esempio, dichiarando di aver interrotto il lavoro di supporto alla popolazione sull’orlo della carestia.
L’immagine di Israele che i governi, soprattutto occidentali, stanno tentando disperatamente di difendere e di presentare, a volte oltre ogni evidenza, a un’opinione pubblica con le idee più chiare di quelle dei propri reggenti, sta cadendo a pezzi. Sotto le immagini dell’ospedale al-Shifa, che fatto a pezzi e dato alle fiamme vengono presentate come un successo militare, con le foto dei corpi di decine di palestinesi senza nome sepolti dalle ruspe, come dalle notizie delle centinaia di arresti arbitrari, dalle testimonianze degli anziani pazienti sopravvissuti.
L’ospedale al-Shifa di Gaza, distrutto dopo l’assedio israeliano
Ma anche per la cacciata dei giornalisti di Al Jazeera, il più importante network di notizie del mondo arabo, che potrebbe essere seguito da tanti piccoli pezzi di libertà di stampa tenuti a forza da Israele fuori dai confini propri così come da quelli che forzatamente continua ad occupare. L’annunciata operazione militare israeliana su Rafah, dove è rifugiata la maggior parte della popolazione palestinese, è stata ufficialmente bocciata dagli Stati Uniti d’America. Secondo gli USA evacuare i civili in quattro settimane, come programmato da Tel Aviv, è semplicemente impossibile. Sarebbero necessari, per Washington, non meno di quattro mesi.
Sono ormai 32.975 i morti nella Striscia di Gaza, dei quali 14.500 bambini e 9.560 donne. 75.577 feriti, 30 bambini morti di fame. Il Programma alimentare mondiale (WFP) ha ribadito il suo appello per un cessate il fuoco a Gaza avvertendo dell’avvicinarsi della carestia e della malnutrizione tra i bambini che si diffonde a “ritmo record”: un bambino su tre sotto i due anni è gravemente malnutrito. Un’indagine pubblicata da The Guardian, realizzata dal sito di notizie israeliano Sicha Mekomit rivela che l’esercito israeliano utilizza a Gaza un sistema di intelligenza artificiale che, in base a dati preinseriti indentifica potenziali simpatizzanti di Hamas. 37.000 persone sarebbero state arrestate con l’utilizzo del software.
Familiari degli ostaggi israeliani a Gaza irrompono alla Knesset per protestare contro la gestione della guerra da parte del governo Netanyahu
Eppure, Netanyahu e il suo governo, nonostante le contestazioni interne, godono di un forte sostegno. La narrazione della “vittoria totale” contro Hamas continua a scaldare i cuori di gran parte della popolazione israeliana ma pone sempre più interrogativi sull’avvenire. Gli oppositori lo incolpano di fare la guerra per la guerra, scopo e ultimo obiettivo, senza un reale piano per un futuro di pace. Pace per gli israeliani, sia chiaro, perché i palestinesi rimangono un problema da domare e di cui preferibilmente sbarazzarsi.
Non solo la guerra contro Hamas. Per ritardare l’inevitabile resa dei conti sulle responsabilità del fallimento militare e di intelligence del 7 ottobre, quando il gruppo islamico ha attaccato uccidendo 1200 persone e rapendone circa 250, anche una “guerra totale” potrebbe diventare appetibile. E così la posta in gioco diventa sempre più alta, attacco dopo attacco. “Bibi” sembra sfidare i suoi più forti avversari, testandone i limiti, spinto dal desiderio di marcare il territorio dello scontro ma tentato sempre più a istigare una reazione che, se messi con le spalle al muro, l’Iran e i suoi gruppi alleati potrebbero persino decidere di avere.
L’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, con l’uccisione di sette persone tra le quali Mohammad Reza Zahedi, un comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, è un passo pericoloso.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una riunione di emergenza il 2 aprile. L’Iran “ha esercitato una notevole moderazione, ma è imperativo riconoscere che ci sono limiti a tale tolleranza”, ha detto l’ambasciatore iraniano all’ONU, Zahara Ershadi.
Cina e Russia hanno definito l’attacco “una flagrante violazione della carta delle Nazioni Unite e della sovranità sia della Siria che dell’Iran”. “25 anni fa, l’ambasciata cinese in Jugoslavia è stata bombardata da un attacco aereo della NATO guidato dagli Stati Uniti. Comprendiamo il dolore del governo e del popolo iraniani”, ha detto Geng Shuang, vice rappresentante permanente cinese presso le Nazioni Unite.
La “guerra ombra” tra Tel Aviv e Teheran ha avuto fino ad ora le modalità del “contenimento”. Un “botta e risposta” proporzionale garantisce il rituale di dominanza e sottomissione che può terminare, come da più attori auspicato, in un ritorno alle proprie aree di influenza, con soddisfazione egualmente distribuita. In questa mascolina dimostrazione di muscoli si inserirebbe il supporto occidentale concretamente dimostrato a Israele con la presenza militare nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Dunque, supportare uno degli attori in conflitto nei termini del “contenimento”, significa esaltare la propria presenza e la propria capacità d’armi allo scopo di intimidire l’avversario ed evitare l’escalation. L’azione armata di Israele contro l’ambasciata iraniana rappresenta senza dubbio un atto che trascende il contenimento. Una fuga in avanti, una dimostrazione di forza che mette in difficoltà i propri alleati ma anche e di più l’avversario, in questo caso l’Iran, che deve decidere a questo punto quali carte giocare. Il fatto che gli Stati Uniti, secondo fonti riportate da più parti, si siano affrettati a comunicare a Teheran la propria estraneità all’attacco, conferma questa lettura. Le minacce che hanno presentato all’Iran sono spiegate dal timore che la risposta possa mirare a obiettivi statunitensi in Medio Oriente.
La maggior parte degli analisti in giro per il mondo sostiene che l’Iran vuole evitare una guerra diretta con Israele. Ma concordano tutti sul fatto che dovrà rispondere all’attacco all’ambasciata. In fondo, l’ha promesso. Ma come?
Il presidente Joe Biden ha già minacciato che se saranno attaccate basi, ambasciate, cittadini degli Stati Uniti, il suo esercito risponderà. Potrebbe attaccare un “luogo” estero israeliano. Ma probabilmente è questa l’azione che Netanyahu attende per l’escalation. La risposta allora potrebbe arrivare attraverso il Libano, con un attacco nel nord d’Israele. C’è da chiedersi, a questo punto, se Hezbollah sia disposto, su ordine dell’Iran, a rischiare una controffensiva israeliana massiccia: Tel Aviv ha già più volte dimostrato di poter colpire il Libano dal sud al nord, compresa la capitale Beirut, senza subire particolari ritorsioni. Rinforzare e allargare il programma nucleare potrebbe essere, forse, una risposta. Ma non è da escludere che rappresenterebbe, anche questa, una minaccia considerata da Netanyahu “troppo grave”.
Gli Stati Uniti potrebbero dunque ritrovarsi incastrati in una guerra che non vogliono e che neanche i loro avversari desiderano ma che Israele pare deciso a voler provocare. Il “laissez faire” politico e militare accompagnato solo da deboli ed esitanti frasi ammonitive, potrebbe rappresentare l’effetto fatale di una sottovalutazione dell’indipendenza aggressiva di Netanyahu.
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L'articolo Israele e la “guerra totale”: attacco ai civili, agli operatori umanitari, all’Iran e ai suoi stessi alleati proviene da Pagine Esteri.
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ieri l'app di #BancoPosta mi ha detto che devo "Autorizzare l'app Bancoposta ad accedere ai dati per rilevare la presenza di eventuali software dannosi", avendo poi cura di precisare che "La funzionalità è obbligatoria" e che avrei avuto un numero limitato di accessi dopo i quali non potrò più accedere e operare in app se non mi adeguo.
Ma è legale una cosa del genere?
@Etica Digitale (Feddit)
dday.it/redazione/48945/le-app…
Le app di Poste Italiane pretendono di avere accesso ai dati del telefono. Ma non spiegano cosa ci fanno
In rete aumentano le segnalazioni di utenti obbligati a condividere i dati di utilizzo del telefono per poter accedere ai servizi di Poste Italiane, come PostePay e BancoPosta. La richiesta servirebbe a verificare la presenza di software dannosi.Sergio Donato (DDay.it)
lgsp@feddit.it
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