Vulnerabilità critiche in NetScaler ADC e Gateway. Aggiorna subito! Gli attacchi sono in corso!
NetScaler ha avvisato gli amministratori di tre nuove vulnerabilità in NetScaler ADC e NetScaler Gateway, una delle quali è già utilizzata in attacchi attivi. Sono disponibili aggiornamenti e il fornitore invita a installarli immediatamente: exploit per CVE-2025-7775 sono stati individuati su dispositivi non protetti.
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I bug includono un overflow di memoria con rischio di esecuzione di codice e di negazione del servizio, un secondo bug simile con crash del servizio e comportamento imprevedibile e un problema di controllo degli accessi nell’interfaccia di gestione. I bug interessano sia le release standard sia le build conformi a FIPS/NDcPP. Gli aggiornamenti sono già stati distribuiti per i servizi cloud gestiti dal fornitore, ma le installazioni client richiedono aggiornamenti manuali.
Le versioni interessate sono: NetScaler ADC e Gateway 14.1 (precedentemente alla versione 14.1-47.48), 13.1 (precedente alla versione 13.1-59.22), nonché NetScaler ADC 13.1-FIPS/NDcPP (precedente alla versione 13.1-37.241) e 12.1-FIPS/NDcPP (precedente alla versione 12.1-55.330).
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Si segnala inoltre che le versioni 12.1 e 13.0 non sono più supportati e devono essere trasferiti alle versioni correnti. Gli aggiornamenti sono disponibili sia per i gateway standard sia per le distribuzioni Secure Private Access on-prem e ibride che utilizzano istanze NetScaler.
Citrix consiglia di effettuare l’aggiornamento alle seguenti build:
- 14.1-47.48 e versioni successive per la riga 14.1;ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(613); });
- 13.1-59.22 e versioni successive per 13.1;
- 13.1-37.241 e versioni successive per 13.1-FIPS/NDcPP;
- 12.1-55.330 e versioni successive per 12.1-FIPS/NDcPP.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(614); });
Non ci sono soluzioni alternative.
Sono già state implementate delle correzioni per i cloud gestiti da Citrix e per l’Autenticazione Adattiva.
Per valutare la propria installazione, gli amministratori possono verificare la presenza nella propria configurazione delle stringhe rivelatrici elencate nel bollettino. Citrix ha inviato una notifica a clienti e partner tramite il sito di supporto di NetScaler. I problemi sono confermati anche dai bollettini di settore e dai database delle vulnerabilità.
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La Democratizzazione della Criminalità informatica è arrivata! “Non so programmare, ma scrivo ransomware”
I criminali informatici stanno rapidamente padroneggiando l’intelligenza artificiale generativa, e non stiamo più parlando di lettere di riscatto “spaventose”, ma di sviluppo di malware a tutti gli effetti. Il team di ricerca di Anthropic ha riferito che gli aggressori si affidano sempre più a modelli linguistici di grandi dimensioni, fino all’intero ciclo di creazione e vendita di strumenti di crittografia dei dati.
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Parallelamente, ESET ha descritto un concetto di attacco in cui i modelli locali, dal lato dell’aggressore, assumono le fasi chiave dell’estorsione. La totalità delle osservazioni mostra come l‘intelligenza artificiale rimuova le barriere tecniche e acceleri l’evoluzione degli schemi ransomware.
Secondo Anthropic, i partecipanti alla scena dell’estorsione utilizzano Claude non solo per preparare testi e scenari di negoziazione, ma anche per generare codice, testare e pacchettizzare programmi e lanciare servizi secondo il modello “crime as a service”. L’attività è stata registrata da un operatore del Regno Unito, a cui è stato assegnato l’identificativo GTG-5004.
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Dall’inizio dell’anno, l’operatore offre kit di attacco su forum underground a prezzi compresi tra 400 e 1.200 dollari, a seconda del livello di configurazione. Le descrizioni includevano diverse opzioni di crittografia, strumenti per aumentare l’affidabilità operativa e tecniche per eludere il rilevamento. Allo stesso tempo, secondo Anthropic, il creatore non ha una conoscenza approfondita della crittografia, delle tecniche di controanalisi o dei meccanismi interni di Windows: ha colmato queste lacune con l’aiuto di suggerimenti e della generazione automatica di Claude.
L’azienda ha bloccato gli account coinvolti e implementato filtri aggiuntivi sulla sua piattaforma, tra cui regole per il riconoscimento di pattern di codice distintivi e controlli basati sulle firme dei campioni caricati, per impedire in anticipo i tentativi di trasformare l’IA in una fabbrica di malware . Ciò non significa che l’IA stia già producendo in serie tutti i moderni trojan crittografici, ma la tendenza è allarmante: anche gli operatori immaturi stanno ottenendo un acceleratore che in precedenza era disponibile solo per gruppi esperti di tecnologia.
Il contesto del settore non fa che gettare benzina sul fuoco. Negli ultimi anni, gli estorsori sono diventati più aggressivi e inventivi, e i parametri di valutazione all’inizio del 2025 indicavano volumi record di incidenti e profitti multimilionari per i criminali. Alle conferenze di settore, è stato riconosciuto che i progressi sistemici nella lotta contro l’estorsione non sono ancora visibili. In questo contesto, l’intelligenza artificiale promette non solo un adattamento estetico dell’estorsione, ma un ampliamento dell’arsenale, dalla fase di penetrazione all’analisi automatizzata dei dati rubati e alla formulazione delle richieste.
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Un capitolo a parte è la dimostrazione di ESET chiamata PromptLock(del quale abbiamo parlato ieri). Si tratta di un prototipo in cui un modello distribuito localmente può generare script Lua al volo per inventariare i file di destinazione, rubare contenuti e avviare la crittografia. Gli autori sottolineano che si tratta di un concetto, non di uno strumento visto in attacchi reali, ma illustra un cambiamento: i modelli di grandi dimensioni non sono più solo un “prompt” basato sul cloud e stanno diventando una componente autonoma dell’infrastruttura di un aggressore.
Certo, l’intelligenza artificiale locale richiede risorse e occupa spazio, ma i trucchi per ottimizzare e semplificare l’inferenza rimuovono alcune delle limitazioni, e i criminali informatici stanno già esplorando queste possibilità.
Il rapporto di Anthropic descrive anche un altro cluster, identificato come GTG-2002. In questo caso, Claude Code è stato utilizzato per selezionare automaticamente i bersagli, preparare strumenti di accesso, sviluppare e modificare malware e quindi esfiltrare e contrassegnare i dati rubati. Alla fine, la stessa IA ha contribuito a generare richieste di riscatto basate sul valore di quanto trovato negli archivi. Nell’ultimo mese, l’azienda stima che almeno diciassette organizzazioni del settore pubblico, sanitario, dei servizi di emergenza e delle istituzioni religiose siano state colpite, senza rivelarne i nomi. Questa architettura mostra come il modello diventi sia un “consulente” che un operatore, riducendo il tempo tra la ricognizione e la monetizzazione.
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Alcuni analisti osservano che la totale “dipendenza dall’intelligenza artificiale” tra i ransomware non è ancora diventata la norma e che i modelli sono più comunemente utilizzati come primo step di sviluppo, per l’ingegneria sociale e l’accesso iniziale. Tuttavia, il quadro emergente sta già cambiando gli equilibri di potere: abbonamenti economici, sviluppi open source e strumenti di lancio locali rendono lo sviluppo e la manutenzione delle operazioni ransomware più accessibili che mai.
Se questa dinamica continua, i difensori dovranno considerare non solo i nuovi file binari, ma anche le catene decisionali delle macchine che questi file binari producono, testano e distribuiscono.
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Receiving Radio Signals from Space Like It’s 1994
For certain situations, older hardware is preferred or even needed to accomplish a task. This is common in industrial applications where old machinery might not be supported by modern hardware or software. Even in these situations though, we have the benefit of modern technology and the Internet to get these systems up and running again. [Old Computers Sucked] is not only building a mid-90s system to receive NOAA satellite imagery, he’s doing it only with tools and equipment available to someone from this era.
Of course the first step here is to set up a computer and the relevant software that an amateur radio operator would have had access to in 1994. [Old Computers Sucked] already had the computer, so he turned to JV-FAX for software. This tool can decode the APT encoding used by some NOAA satellites without immediately filling his 2 MB hard drive, so with that out of the way he starts on building the radio.
In the 90s, wire wrapping was common for prototyping so he builds a hardware digitizer interface using this method, which will be used to help the computer interface with the radio. [Old Computers Sucked] is rolling his own hardware here as well, based on a Motorola MC3362 VHF FM chip and a phase-locked loop (PLL), although this time on a PCB since RF doesn’t behave nicely with wire wrap. The PCB design is also done with software from the 90s, in this case Protel which is known today as Altium Designer.
In the end, [Old Computers Sucked] was able to receive portions of imagery from weather satellites still using the analog FM signals from days of yore, but there are a few problems with his build that are keeping him from seeing perfectly clear imagery. He’s not exactly sure what’s wrong but he suspects its with the hardware digitizer as it was behaving erratically earlier in the build. We admire his dedication to the time period, though, down to almost every detail of the build. It reminds us of [saveitforparts]’s effort to get an 80s satellite internet experience a little while back.
youtube.com/embed/xVsBt21cs8Q?…
FreePBX sotto attacco: exploit zero-day già in uso, rilasciata una patch di emergenza
Il mondo della telefonia VoIP è finito ancora una volta nel mirino dei criminali informatici. Questa volta tocca a FreePBX, la piattaforma open-source costruita su Asterisk e diffusissima in aziende, call center e provider di servizi.
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La Sangoma FreePBX Security Team ha lanciato l’allarme: una vulnerabilità zero-day sta colpendo i sistemi che espongono in rete l’Administrator Control Panel (ACP). E non si tratta di una minaccia teorica: da giorni l’exploit è già attivamente sfruttato, con conseguenze pesanti per chi non ha preso adeguate contromisure.
L’attacco: comandi arbitrari e compromissioni di massa
Secondo le prime segnalazioni, l’exploit permette agli aggressori di eseguire qualsiasi comando con i privilegi dell’utente Asterisk. In altre parole, controllo totale del PBX e possibilità di manipolare configurazioni, deviare chiamate, compromettere trunk SIP e persino generare traffico internazionale non autorizzato.
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Un utente del forum FreePBX ha dichiarato:
“Abbiamo riscontrato compromissioni multiple all’interno della nostra infrastruttura, con circa 3.000 estensioni SIP e 500 trunk impattati.”
Non si tratta di un caso isolato: altri amministratori, persino su Reddit, hanno confermato di aver subito la stessa sorte.
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Indicatori di compromissione (IoC) da monitorare
Sangoma non ha divulgato i dettagli tecnici della vulnerabilità, ma la community ha condiviso una serie di segnali da cercare nei propri sistemi:
- File
/etc/freepbx.conf
mancante o modificato. - Presenza dello script
/var/www/html/.clean.sh
, caricato dagli attaccanti.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(614); }); - Log Apache sospetti legati a
modular.php
. - Chiamate insolite verso l’estensione 9998 nei log di Asterisk (a partire dal 21 agosto).
- Voci non autorizzate nella tabella
ampusers
del database MariaDB/MySQL, con la comparsa di un utente sospettoampuser
.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(615); });
Chi riscontra anche uno solo di questi IoC deve considerare il proprio sistema già compromesso.
Patch di emergenza (ma non per tutti…)
La Sangoma FreePBX Security Team ha rilasciato un fix EDGE per proteggere le nuove installazioni, in attesa della patch ufficiale prevista a stretto giro. Tuttavia, la correzione non risolve i sistemi già infetti.
Comandi per installare l’EDGE fix:
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FreePBX v16/v17:
fwconsole ma downloadinstall endpoint --edge
PBXAct v16:
fwconsole ma downloadinstall endpoint --tag 16.0.88.19
PBXAct v17:
ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(617); });
fwconsole ma downloadinstall endpoint --tag 17.0.2.31
C’è però un problema non da poco: chi ha un contratto di supporto scaduto rischia di non poter scaricare l’aggiornamento, restando così con il PBX esposto e senza difese.
Cosa fare subito
Gli amministratori che non riescono ad applicare il fix devono bloccare immediatamente l’accesso all’ACP da internet, limitandolo solo a host fidati.
In caso di compromissione, le indicazioni di Sangoma sono chiare:
- Ripristinare i sistemi da backup antecedenti al 21 agosto.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(618); });
- Reinstallare i moduli aggiornati su ambienti puliti.
- Cambiare tutte le credenziali di sistema e SIP.
- Analizzare call detail records e fatturazione per traffico sospetto, soprattutto internazionale.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(619); });
Conclusione
Esporre pannelli di amministrazione su internet rappresenta un rischio critico che non dovrebbe mai essere sottovalutato. La vicenda FreePBX dimostra come una vulnerabilità zero-day, combinata con configurazioni poco accorte, possa rapidamente trasformarsi in una compromissione su larga scala.
È fondamentale adottare un approccio proattivo: limitare l’accesso agli ACP esclusivamente da host fidati, monitorare costantemente gli indicatori di compromissione e mantenere aggiornati moduli e componenti. Solo così è possibile ridurre l’impatto di minacce che, come in questo caso, possono colpire senza preavviso e con conseguenze rilevanti per la continuità operativa e la sicurezza delle comunicazioni aziendali.
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Leone XIV: a delegazione di personalità politiche dalla Francia, “solo uniti a Cristo i responsabili pubblici trovano il coraggio” - AgenSIR
“Solo l’unione con Gesù – Gesù crocifisso – può dare a un responsabile pubblico il coraggio di soffrire per il suo nome”.Riccardo Benotti (AgenSIR)
Datenweitergabe an die Polizei: Eure Chats mit ChatGPT sind nicht privat
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Perché gli studi cinematografici rimangono cauti sull’uso dell’AI generativa
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Alcuni studi hollywoodiani stanno esplorando l’uso dell’intelligenza artificiale generativa (GenAI) per ridurre i costi nella creazione di film e serie, ma questioni legate
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Il Fondo Sovrano del paese scandinavo ha deciso di disinvestire dalla multinazionale americana Caterpillar e da cinque banche israeliane, ritenute complici dell'occupazione
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NetScaler: sfruttata Zero-Day tra tre nuove criticità
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La storia si ripete, ma i conti da pagare sono sempre più salati. Citrix ha rilasciato un bollettino d’emergenza che suona come un déjà-vu: tre nuove vulnerabilità critiche affliggono i suoi prodotti NetScaler ADC e Gateway, e una di queste, CVE-2025-7775, è già stata sfruttata attivamente in attacchi
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L’esempio di pace dei camalli di Genova, che stanno per salpare con la Global Sumud Flotilla
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Che bella l’altra Italia, quella che in queste ore sta facendo di tutto per aiutare e sostenere la
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A Trapani la Cgil e molti attivisti sono scesi in in piazza per chiedere la liberazione della nave Mediterranea Saving Humans, ferma da giorni a seguito di un provvedimento disposto
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SIRIA. Tra diplomazia e stragi. La transizione ancora al punto di partenza
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La Siria vive una doppia realtà, scrive l'analista Giovanna Cavallo. Da un lato c'è l’immagine internazionale di un Paese che cerca legittimità attraverso conferenze e incontri diplomatici; dall’altro, la realtà di un territorio frammentato, scosso da
Ben(e)detto del 28 agosto 2025
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L'articolo Ben(e)detto del 28 agosto 2025 proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Storm-0501: Quando il Ransomware si sposta nel Cloud
Microsoft lancia l’allarme: il gruppo di cybercriminali Storm-0501 si è evoluto. Niente più attacchi “classici” alle macchine on-premise, niente più ransomware che cripta file locali. Ora la minaccia si sposta direttamente sopra di noi, nel cloud, là dove molte aziende pensavano di essere al sicuro.
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Il passaggio è epocale: non servono più gli eseguibili malevoli che infettano server e PC. Storm-0501 oggi sfrutta le stesse funzionalità native del cloud per fare il lavoro sporco. Si parla di:
- Esfiltrazione massiva di dati direttamente da Azure.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(612); });
- Distruzione di backup e snapshot per impedire qualsiasi tentativo di recupero.
- Criptazione cloud-based tramite la creazione di nuovi Key Vault e chiavi gestite, rendendo i dati inaccessibili alle vittime.
Il risultato? Una pressione feroce, che non passa per il solito “decryptor a pagamento”, ma per un ricatto diretto: o paghi, o i tuoi dati nel cloud spariscono o rimangono cifrati per sempre.
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L’evoluzione del cyber crimine
Storm-0501 non è un nome nuovo. Attivo almeno dal 2021, è passato per diversi ecosistemi RaaS (Ransomware-as-a-Service): Hive, BlackCat (ALPHV), Hunters International, LockBit, fino al recente Embargo. Ma ora la metamorfosi è completa: non più ransomware tradizionale, ma estorsione digitale 100% cloud-native.
Gli analisti Microsoft hanno osservato tecniche inquietanti:
- Compromissione di Directory Synchronization Accounts per muoversi lateralmente negli ambienti Azure.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(614); });
- Scoperta di account Global Administrator senza MFA, resettati per ottenere il pieno controllo.
- Persistenza ottenuta con domini federati malevoli, capaci di impersonare utenti e aggirare l’autenticazione a più fattori.
- Abuso dell’API Microsoft.Authorization/elevateAccess/action per diventare Owner e prendersi l’intera infrastruttura cloud.ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(615); });
Una volta al comando, i criminali hanno mano libera: spegnere difese, svuotare storage, cancellare Recovery Services Vaults, oppure, quando non è possibile eliminare, cifrare tutto con nuove chiavi gestite da loro.
Estorsione 2.0: la minaccia arriva via Teams
Come se non bastasse, Storm-0501 ha trovato un nuovo canale per comunicare con le vittime: Microsoft Teams. Usando account compromessi, i criminali recapitano direttamente in chat le loro richieste di riscatto, rendendo l’attacco ancora più destabilizzante.
Immaginate: la piattaforma di collaborazione interna, dove i dipendenti si scambiano file e messaggi di lavoro, che diventa improvvisamente il megafono del ricatto. Un colpo al cuore della fiducia aziendale.
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Conclusione
Il ransomware non è morto. È semplicemente salito di livello.
Storm-0501 ce lo mostra chiaramente: non serve più un malware per piegare un’azienda, basta il cloud stesso trasformato in arma contro di noi.
I backup? Eliminati.
I dati? Cifrati con chiavi che non possediamo.
La comunicazione interna? Usata per recapitare minacce e ricatti.
Siamo di fronte a un salto evolutivo che non lascia spazio all’improvvisazione: chi non alza ora le proprie difese cloud, rischia di svegliarsi domani con l’infrastruttura e i dati aziendali ostaggio di un click.
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Le aziende che credono di essere al sicuro solo perché hanno spostato i dati su Azure o su altri cloud provider, si sbagliano: la sicurezza non si delega, si costruisce giorno per giorno.
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Tentativo di phishing contro PagoPA? Ecco come ho fatto chiudere in 3 ore il sito malevolo
Grazie alla nostra community recentemente sono venuto a conoscenza di un tentativo di phishing contro PagoPA e ho deciso di fare due cose. Per prima cosa attivarmi in prima persona per arrecare un danno alla campagna ed ai suoi autori. Come seconda, scrivere questo articolo per condividere con la community quello che ho fatto, sperando di riuscire a sensibilizzare più persone ad agire spiegando la strategia e la metodologia che ho adottato
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Come possiamo vedere l’email risulta molto scarna di contenuti facendo riferimento ad un non meglio specificato “biglietto”, il che suggerisce una doppia strategia da parte dell’attaccante, da un lato utilizza un contenuto generico così da cercare di colpire un pubblico decisamente più vasto, dall’altro l’email è talmente scarna da poter spingere l’utente medio a cliccare sul bottone “Vedi il biglietto”, anche io ho cliccato sul loro URL ma, come vedremo tra poco, ciò ha rappresentato una brutta esperienza per l’attaccante.
Entriamo nel vivo dell’attacco
Cliccando sul link (strutturato con username@dominio) si viene reindirizzati ad un finto blog su blogspot che serve solo come secondo redirect verso il sito di phishing vero e proprio:
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Qui scopriamo che il nostro “biglietto” non è altro che una finta sanzione e che, quindi, la campagna di phishing è rivolta verso PagoPA, una realtà di cui ci siamo già occupati in precedenza e che recentemente ha subito un aumento degli attacchi.
Come si evince dall’immagine, si tratta del classicophishing volto a spingere l’utente ad effettuare rapidamente un pagamento minacciandolo di un incremento della somma richiesta in caso di mancato pagamento entro 20 ore ma, come ben sappiamo, il mettere fretta è tipico delle campagne di phishing che tendono a massimizzare il risultato con il minimo sforzo.
A questo punto avevo davanti a me due strade: ignorare la campagna o attivarmi per contrastarla, ho scelto la seconda e, ora, vi spiegherò cosa e come ho fatto arrivando a far chiudere il sito in meno di 3 ore da quando sono venuto a conoscenza dello stesso.
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Strategia adottata e servizi utilizzati
La prima cosa da fare quando si viene a conoscenza di un URL sospetto è sicuramente quello di analizzarlo con VirusTotal e questo è il risultato della mia prima analisi:
Come si può vedere al momento della mia prima analisi risultava un’ultima analisi effettuata 22 ore prima e solamente un vendor che segnalava l’URL come “Phishing”.
Un risultato decisamente troppo basso per impedire la diffusione della campagna, effettuare una corretta mitigazione dei rischi e, soprattutto, incidere sul fattore più debole della catena, ovvero il fattore umano.
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A questo punto rimaneva solo da agire e così ho segnalato l’URL all’apposito servizio di Google Safe Browsing che lo ha bloccato dopo circa mezz’ora:
Ora tutti gli utenti che utilizzino un browser Chrome o basato su Chromium e che dovessero visitare questo sito si ritroverebbero questo avviso che dovrebbe indurli a non procedere.
Un altro passaggio su VirusTotal ed ecco comparire correttamente Google Safebrowsing
Come secondo vendor a cui segnalare la risorsa di phishing ho scelto Netcraft, tuttavia, devo ammettere che mi ha stupito la loro risposta dove affermano di non aver rilevato minacce:
ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(615); }); La risposta di Netcraft dove afferma di non aver rilevato minacce all’interno del sito e che, quindi, il sito per un utente medio è sicuro, ovviamente come si può vedere dallo screen ho aperto una controversia in merito alla classificazione; controversia che, al momento della stesura di questo articolo, non risulta ancora risolta(ma, come vedremo più avanti, ormai sarebbe totalmente inutile)
Come terza scelta ho utilizzato il servizio di URL Scanner di CloudFlare, dove inizialmente risultava non classificato e, successivamente alla mia segnalazione ho ottenuto questo risultato:
Sito classificato correttamente come phishing
Successivamente, ho utilizzato l’apposito servizio di Fortinet ottenendo questo risultato:
La categoria del sito aggiornata con successo a phishing
Ho utilizzato anche altri servizi che trovate per esteso qui
ezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(616); }); L’ultimo rilevamento VirusTotal relativo al sito di phishing preso in esame
Conclusioni e risultato finale
Ho basato tutta la mia azione su alcune considerazioni:
- Il phishing è una tipologia di attacco avente una motivazione esclusivamente economica, a basso costo ed a bassi rischi
- L’anello debole della catena è il fattore umano, l’unico modo per cui un attacco di phishing possa avere successo è che la gente clicchi il link contenuto nell’emailezstandalone.cmd.push(function () { ezstandalone.showAds(617); });
- Per impedire alla gente di cliccare il link è necessario che il link non sia più attivo e che, quindi, venga reso inoffensivo
Il sito di phishing è stato correttamente eliminato
Ora immaginate una tipologia di attacco basata interamente su fattore umano e tempistiche che venga colpita proprio su questi due fattori, probabilmente dopo un po’ diventerebbe pressoché inutile…
Lo avete immaginato?
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Ora immaginate questo risultato ottenuto da un gruppo di professionisti competenti che, appena individuata una campagna di phishing contro entità del proprio paese, si attivano come descritto in questo articolo: il potenziale impatto, con il minimo sforzo, sarebbe enorme.
Ecco, con questo breve articolo ho cercato di far capire l’importanza di passare dall’ignorare la minaccia al contrastarla visto che, essendo una minaccia verso un target indistinto è fisiologico che qualcuno ne rimanga vittima.
Finché non ci attiveremo le campagne aumenteranno sempre di piú anzichè diminuire perché il phishing è molto semplice da fare, è a basso costo e garantisce risultati.
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Forse è arrivata l’ora di invertire la tendenza e pensare ad un protocollo per segnalare le minacce di phishing di cui dovessimo venire a conoscenza così da stroncarle sul nascere ed incidere sui due fattori su cui si basa il phishing: Il fattore umano e la motivazione economica.
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The (Data) Plot Thickens
You’ve generated a ton of data. How do you analyze it and present it? Sure, you can use a spreadsheet. Or break out some programming tools. Or try LabPlot. Sure, it is sort of like a spreadsheet. But it does more. It has object management features, worksheets like a Juypter notebook, and a software development kit, in case it doesn’t do what you want out of the box.
The program is made to deal with very large data sets. There are tons of output options, including the usual line plots, histograms, and more exotic things like Q-Q plots. You can have hierarchies of spreadsheets (for example, a child spreadsheet can compute statistics about a parent spreadsheet). There are tons of regression analysis tools, likelihood estimation, and numerical integration and differentiation built in.
Fourier transforms and filters? Of course. The title graphic shows the program pulling SOS out of the noise using signal processing techniques. It also works as a front end for programs ranging from Python and Julia, to Scilab and Octave, to name a few. If you insist, it can read Jupyter projects, too. A lot of features? That’s not even a start. For example, you can input an image file of a plot and extract data from it. It is an impressive piece of software.
A good way to get the flavor of it is to watch one of the many videos on the YouTube channel (you can see one below). Or, since you can download it for Windows, Mac, Linux, FreeBSD, or Haiku, just grab it and try it out.
If you’ve been putting off Jupyter notebooks, this might be your excuse to skip them. If you think spreadsheets are just fine for processing signals and other big sets, you aren’t wrong. But it sure is hard.
youtube.com/embed/Ngf1g3S5C0A?…
Garante Privacy: il “guasto informatico” non scusa la mancata risposta all’interessato
Quando si manca nella gestione di una richiesta di accesso ai propri dati personali da parte di un interessato, invocare un “guasto informatico” è una scusante che giustifica in modo analogo a quella del cane che ha mangiato i compiti.
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Questo è quello che, volendo essere prosaici, emerge dal provv. n. 277 del 29 aprile 2025 del Garante Privacy che ha avuto inizio con una richiesta e un reclamo da parte dell’interessato e si è concluso con la constatazione della violazione degli artt. 12 e 15 GDPR e l’applicazione di una sanzione pecuniaria di 2000 euro. Certo, il riscontro alla fine è arrivato all’interessato ma dopo l’invito ad aderire alla richiest da parte del Garante.
Stando alle difese presentate dal titolare del trattamento, il mancato riscontro è stato ricondotto ad un guasto informatico che ha impedito la visualizzazione in tempo reale della richiesta, e che soltanto “un successivo lavoro di ricostruzione e recupero di dati informatici ha consentito il recupero della richiesta” determinando così anche un’impossibilità di fatto. Stando a quanto rappresentato, la causa del disservizio è stata determinata da un’avaria del disco fisso in uso dall’operatore addetto alla ricezione delle PEC, il quale non ha provveduto a scaricarle dopo la conclusione dell’intervento di ripristino.
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La tesi difensiva secondo cui il ritardo è stato incolpevole e derivante da un’impossibilità sopravvenuta per effetto di un evento imprevedibile, non è però stata sufficiente a superare le contestazioni del Garante.
L’art. 12 par. 2 GDPR prevede infatti che:
Il titolare del trattamento fornisce all’interessato le informazioni relative all’azione intrapresa riguardo a una richiesta ai sensi degli articoli 15 a 22 senza ingiustificato ritardo e, comunque, al più tardi entro un mese dal ricevimento della richiesta stessa. Tale termine può essere prorogato di due mesi, se necessario, tenuto conto della complessità e del numero delle richieste. Il titolare del trattamento informa l’interessato di tale proroga, e dei motivi del ritardo, entro un mese dal ricevimento della richiesta. Se l’interessato presenta la richiesta mediante mezzi elettronici, le informazioni sono fornite, ove possibile, con mezzi elettronici, salvo diversa indicazione dell’interessato.
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Questo significa di conseguenza che l’organizzazione deve essere in grado di riscontrare entro un mese ogni richiesta di esercizio dei diritti predisponendo misure tecniche e organizzative adeguate. Altrimenti, non sta garantendo il rispetto del GDPR come prescritto dal principio di accountability.
La conclusione del procedimento
Il Garante ha confermato la condotta negligente del titolare nella vicenda per non aver saputo gestire la propria capacità di riscontrare le richieste degli interessati. Questo perché il fatto sopravvenuto, ovverosia il guasto tecnico, non è stato sufficiente per escludere la colpevolezza. In concreto, infatti, l’accaduto sarebbe stato superabile applicando un’ordinaria diligenza che è venuta a mancare da parte dell’operatore dipendente che avrebbe ben potuto scaricare da webmail le PEC così da riscontare tempestivamente l’istanza di esercizio dei diritti. Né è stata rilevata alcuna istruzione indirizzata all’operatore in tal senso.
Dal momento che il titolare del trattamento ha l’obbligo di coordinare le misure organizzative e tecniche in modo tale da garantire il rispetto della norma, risponde anche per gli errori non scusabili commessi dai propri operatori. A meno che, ovviamente, non possa dimostrare invece che ci sia stato un errore scusabile che neanche l’applicazione di un’ordinaria diligenza avrebbe potuto evitare.
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Motivo per cui, è stata confermata la violazione degli artt. 12 e 15 GDPR, valutando un livello di gravità medio in quanto il tardivo riscontro, successivo all’invito dell’Authority di aderire alla richiesta del reclamante, “per ragioni determinate da una condotta negligente imputabile al titolare medesimo“.
Sono stati valutati positivamente, e quindi come fattori attenuanti della responsabilità, gli interventi posti in essere da parte del titolare per reagire alla criticità emersa, sia di natura tecnica che organizzativa. Infatti, è stato installato un sistema client operante direttamente su webmail così da evitare il ripetersi dell’accaduto e inoltre il dipendente è stato ammonito per non aver scaricato le PEC dopo il ripristino della postazione, nonché è stato svolto un intervento di sensibilizzazione esteso a tutto il personale su sicurezza e osservanza della normativa in materia di protezione dei dati personali.
La lezione da apprendere.
Quale lezione è possibile apprendere, dunque? A parte la più evidente di non poter contare più di tanto di invocare un guasto informatico come scusa, ci sono due insegnamenti importanti.
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Il primo è che un approccio reattivo a fronte di una contestazione di violazione è ben valutato da parte del Garante Privacy, soprattutto se si è in grado di porre in essere gli interventi per evitare il ripetersi di situazioni analoghe con interventi effettivi.
Il secondo è l’importanza di mettere alla prova le procedure adottate, soprattutto quelle di gestione delle richieste degli interessati, così da individuarne punti deboli e possibili fallimenti. E prevedere che queste debbano comunque continuare a funzionare nonostante qualsiasi imprevisto, inserendo i correttivi del caso (ad esempio istruzioni specifiche).
In modo tale da non doversi preoccupare dopo se (o sperare che) ci possa essere una causa di esclusione della responsabilità.
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Microsoft Teams in panne: bloccata l’apertura dei documenti Office incorporati
Un giovedì nero per milioni di utenti Microsoft Teams in tutto il mondo. Una funzionalità chiave della piattaforma di collaborazione – l’apertura dei documenti Office incorporati – è improvvisamente finita KO, scatenando frustrazione e rallentamenti in aziende e organizzazioni che fanno affidamento quotidiano sul servizio.
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Il cuore della collaborazione si inceppa
Teams nasce con un obiettivo chiaro: fornire un ambiente unico e integrato, dove chat, canali e documenti si fondono per rendere il lavoro più veloce e collaborativo.
Ma oggi, aprire un Word, un Excel o un PowerPoint direttamente da Teams si è trasformato in una missione impossibile: schermate di caricamento infinite, errori criptici, finestre vuote. Un workflow spezzato che costringe gli utenti a cercare strade alternative per portare avanti anche le attività più semplici.
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Immaginate di dover aggiornare un foglio Excel durante una riunione, o di consultare un report in tempo reale con i colleghi: ciò che normalmente richiede un click ora diventa un ostacolo che rallenta interi team.
Microsoft conferma: è un incidente globale
La società di Redmond ha riconosciuto ufficialmente il problema, pubblicando un avviso sul Microsoft 365 Service Health Dashboard con ID TM1143347.
Secondo l’advisory, gli ingegneri Microsoft stanno già analizzando i dati diagnostici per individuare la radice del guasto e ripristinare quanto prima la funzionalità.
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Nel frattempo, la community degli utenti si è mobilitata segnalando workaround temporanei: aprire i documenti direttamente dalle app Office o da OneDrive/SharePoint, aggirando così il malfunzionamento interno di Teams.
Impatti concreti sulle aziende
Se per un singolo utente si tratta di qualche minuto perso, per le aziende che utilizzano Teams come hub centrale di collaborazione il problema ha un impatto diretto sulla produttività.
Riunioni rallentate, decisioni posticipate, presentazioni non accessibili: la disruption colpisce proprio il cuore del lavoro moderno, quello basato sulla condivisione immediata e sull’accesso fluido alle informazioni.
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La lezione dietro il blackout
Incidenti come questo ricordano quanto la nostra quotidianità digitale sia fragile e dipendente da ecosistemi centralizzati. Quando un tassello si rompe, l’intera macchina rallenta.
Per questo diventa fondamentale non solo affidarsi al cloud, ma anche prevedere procedure di continuità, alternative operative e formazione dei dipendenti nell’uso di strumenti paralleli.
Oggi è toccato a Teams, domani potrebbe essere un altro servizio critico. L’unica certezza è che il digitale, per quanto indispensabile, rimane un equilibrio delicato, pronto a incrinarsi con un singolo bug.
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Otttoz
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