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DeepSeek lancia la versione 3.1 del suo modello di intelligenza artificiale con supporto a chip cinesi


C’è stato un giorno in cui DeepSeek ha sorpreso mezzo mondo dimostrando che si poteva fare molto con meno. Oggi torna con la versione 3.1 e un messaggio che non passa inosservato: il modello è stato preparato per il prossimo lotto di chip cinesi.

Non stiamo parlando di un’inversione automatica del mercato, ma piuttosto di una scommessa concreta che punta in una direzione scomoda per NVIDIA e compagnia. Se questa armonia tecnica con l’hardware cinese si traduce in prestazioni, il dibattito su chi alimenta l’intelligenza artificiale in Cina suonerà molto diversamente.

Secondo la dichiarazione dell’azienda stessa , la versione V3.1 introduce l’inferenza ibrida nel più puro stile GPT-5 : un unico sistema con due percorsi, Think (ragionamento approfondito) e Non-Think (risposta rapida), commutabili dal sito web e dall’app. La formulazione è chiara: “Inferenza ibrida: Think e Non-Think, un modello, due modelli”. L’azienda sottolinea inoltre che la versione Think “ottiene risposte in meno tempo” rispetto alla sua predecessora. In altre parole, non cambiano solo i pesi, ma anche le modalità di inferenza già in uso.

La frase che riassume tutto: un FP8 “progettato per chip domestici”


In un commento appuntato sul suo ultimo post su WeChat, DeepSeek scrive: “UE8M0 FP8 è per la prossima generazione di chip nazionali”. Questo è il punto spinoso: suggerisce che l’azienda abbia adattato il formato dei dati, apparentemente un FP8 etichettato UE8M0, alla prossima ondata di processori cinesi.

Bloomberg e Reuters riprendono il messaggio e lo riassumono: la V3.1 è “personalizzata per funzionare con i chip di intelligenza artificiale cinesi di prossima generazione “. In altre parole, un’ottimizzazione orientata all’ecosistema locale.

FP8 è un formato a 8 bit che occupa la metà delle dimensioni di FP16/BF16. Grazie al supporto nativo, consente maggiori prestazioni per ciclo e meno memoria, a condizione che il ridimensionamento sia calibrato correttamente.

La scheda modello ufficiale Hugging Face afferma che DeepSeek-V3.1 “è stato addestrato utilizzando il formato di ridimensionamento UE8M0 FP8“, il che indica che non si tratta semplicemente di un processo di weight packing, ma che l’addestramento e l’esecuzione sono stati specificamente adattati a tale precisione. La parte difficile, e vale la pena essere cauti, è che tutto fa presagire che in futuro verranno implementati diversi chip, in grado di sfruttare questo schema in modo nativo.

Quindi, si tratta di una cattiva notizia per NVIDIA?

I dati dell’anno fiscale conclusosi il 26 gennaio indicano che la Cina ha rappresentato circa il 13% del fatturato dell’azienda guidata da Jensen Huang. Se parte dell’intelligenza artificiale in Cina dovesse passare dal classico ecosistema GPU + CUDA di NVIDIA a soluzioni nazionali basate sul fattore di forma UE8M0 FP8 e in grado di fornire buoni risultati (presumibilmente i chip Ascend di Huawei), la domanda di soluzioni occidentali potrebbe erodersi nel tempo.

La Cina ha rappresentato circa il 13% del fatturato di Nvidia nell’ultimo anno fiscale


Tutto questo avviene sullo sfondo dei controlli sulle esportazioni statunitensi: restrizioni volte a limitare l’accesso della Cina a chip all’avanguardia e che hanno anche accelerato la sua corsa all’autosufficienza.

Quest’anno, l’amministrazione Trump ha ripristinato condizionatamente le esportazioni di H2O, un chip progettato per la Cina. Da allora, lo status di H2O ha subito oscillazioni: tra permessi, pressioni normative cinesi e i piani di NVIDIA di introdurre alternative basate su Blackwell.

Il messaggio di fondo è che il quadro è politico e in evoluzione, e qualsiasi percorso che consenta alla Cina di diventare meno dipendente da queste finestre acquisisce valore strategico.

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Microsoft indaga su un’interruzione di Exchange Online che colpisce l’app mobile Outlook


Un grave problema del servizio Exchange Online, contrassegnato come EX1137017, è attualmente oggetto di indagine da parte di Microsoft.

A causa di questo problema, una serie di utenti risulta impossibilitata a inviare o a ricevere messaggi di posta elettronica attraverso l’applicazione Outlook per dispositivi mobili.

Interessa soprattutto coloro che si avvalgono dell’autenticazione ibrida moderna (HMA), spesso utilizzata dalle organizzazioni che combinano server Exchange interni con Exchange Online.

L’interruzione ha impedito agli utenti mobili interessati di accedere a nuovi messaggi o di inviare posta in uscita dai propri dispositivi, causando notevoli ritardi nelle comunicazioni per coloro che dipendono dall’accesso mobile. L’interruzione è dovuta a un aggiornamento di build difettoso recentemente inviato all’ambiente di produzione.

Dall’analisi preliminare delle cause principali effettuata da Microsoft risulta che la nuova build ha causato l’introduzione di un errore critico.

Questa eccezione attiva impropriamente uno stato di quarantena per il processo di sincronizzazione della posta. Di conseguenza, il processo responsabile della sincronizzazione della posta in entrata e in uscita viene sospeso per un intervallo completo di 12 ore, interrompendo di fatto il flusso di posta elettronica verso l’app mobile dell’utente.

I team di ingegneri Microsoft hanno identificato la causa e sviluppato una soluzione. Al momento dell’ultimo aggiornamento, venerdì 22 agosto 2025 alle 8:50, l’implementazione di questa soluzione era in corso sull’infrastruttura interessata.

L’azienda ha dichiarato di monitorare attivamente la saturazione del sistema per garantire che il problema venga risolto senza ulteriori complicazioni. Tuttavia, non è ancora stata fornita una tempistica definitiva per la risoluzione completa.

L’impatto è limitato ad alcuni utenti dell’app mobile Outlook in un ambiente ibrido. Le versioni desktop e web di Outlook non sembrano essere interessate da questo specifico incidente.

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Truffe online e sextorsion: il lato oscuro delle organizzazioni criminali asiatiche


È stato scoperto che le organizzazioni criminali del Sud-est asiatico, note per le loro truffe basate su criptovalute e le truffe sentimentali, sono coinvolte in attività ancora più losche. Una nuova ricerca dell’International Justice Mission (IJM) ha scoperto un legame diretto tra le organizzazioni criminali in Cambogia, Myanmar e Laos e l’aumento della sextorsion ai danni di minori.

Questi centri di truffe operano come campi di lavoro forzato, dove decine di migliaia di persone provenienti da diversi paesi sono trattenute contro la loro volontà e costrette a ingannare le vittime in tutto il mondo. Secondo IJM, da gennaio 2022 ad agosto 2024, oltre un milione di casi di abusi online sono stati segnalati al National Center for Missing and Exploited Children (NCMEC) degli Stati Uniti.

Un’analisi di oltre tre milioni di indirizzi IP ha rilevato che almeno 493 episodi di ricatto sessuale contro minori erano collegati a dispositivi appartenenti a 44 reti fraudolente note. Inoltre, circa 18.000 messaggi contenevano indirizzi precedentemente registrati in queste sedi.

I ricercatori hanno utilizzato non solo i dati del NCMEC, ma anche gli identificatori di pubblicità mobile per confermare la connessione tra i luoghi delle truffe e specifici casi di estorsione. Secondo gli analisti, questa è la prima prova convincente che le truffe coercitive online nella regione siano interconnesse con i reati sessuali su minori. Tuttavia, la portata della minaccia potrebbe essere significativamente sottostimata, dati i dati limitati disponibili e la concentrazione di messaggi provenienti principalmente da servizi statunitensi.

L’estorsione sessuale segue solitamente uno schema simile: i criminali si fingono conoscenti attraenti sui social network, convincono la vittima a condividere materiale intimo e poi minacciano di distribuire il contenuto, chiedendo denaro. Negli ultimi anni, le vittime sono state prevalentemente adolescenti e il numero di esiti tragici, incluso il suicidio, è in aumento. In precedenza, tali schemi erano associati principalmente a gruppi africani, ma ora è stata dimostrata la loro diretta integrazione nel modello di business delle strutture criminali asiatiche.

Gli esperti di Infoblox e di altre organizzazioni sottolineano che i centri di truffa stanno diversificando attivamente le loro attività criminali, includendo nel loro arsenale non solo frodi finanziarie, ma anche ricatti tramite deepfake, malware e pornografia. Secondo gli esperti, sono i centri regionali al confine tra Vietnam e Cambogia a essere la fonte delle campagne di estorsione sessuale contro i giovani, e l’uso di tecnologie di intelligenza artificiale rende la pressione sulle vittime ancora più distruttiva.

Nonostante i periodici raid della polizia, gli arresti, le deportazioni e le chiusure delle infrastrutture , la rete di questi campi continua ad espandersi. I criminali sfruttano le connessioni corrotte, la debolezza delle forze dell’ordine e la comodità delle piattaforme digitali che consentono loro di creare profili falsi e ospitare risorse per gli attacchi. IJM sottolinea che, sebbene governi e aziende tecnologiche considerino i centri di truffa esclusivamente come reati finanziari, le misure efficaci rimangono limitate.

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Un nome di un file può compromettere un sistema Linux? Gli hacker cinesi dicono di sì


I ricercatori di Trellix hanno scoperto un insolito schema di attacco su Linux, in cui l’elemento chiave non è un allegato con contenuto dannoso, ma il nome del file all’interno dell’archivio stesso. La campagna inizia con un invio di massa di email progettate come invito a partecipare a un sondaggio sui cosmetici con la promessa di un bonus in denaro.

La particolarità di questo attacco è che il codice dannoso è incorporato direttamente nel nome del file, non nel suo contenuto. Quando si tenta di elaborare un nome del genere con script non sicuri, vengono iniettati dei comandi. Il trucco funziona grazie alla vulnerabilità nell’utilizzo di costrutti shell come eval o echo senza un filtro adeguato. Le soluzioni antivirus di solito non analizzano i nomi dei file, il che rende questo metodo particolarmente insidioso.

Per lanciare codice dannoso, non è sufficiente estrarre semplicemente un file da un archivio. Il pericolo si verifica quando la shell o uno script automatico tenta di analizzarne il nome. Quindi, dalla stringa viene estratto un loader codificato in Base64, che scarica e avvia un binario ELF per l’architettura di sistema corrispondente, che sia x86_64, i386, i686, armv7l o aarch64. Il modulo caricato contatta il server di controllo, riceve la backdoor VShell crittografata, la decrittografa e la esegue nella RAM.

VShell è uno strumento di amministrazione remota basato su Go, utilizzato attivamente da gruppi cinesi, tra cui UNC5174. Supporta reverse shell, gestione dei file, gestione dei processi, port forwarding e comunicazione crittografata con il server C&C. Il programma viene eseguito interamente in memoria, senza lasciare tracce sul disco, il che ne complica notevolmente il rilevamento. Un’altra minaccia è la capacità di infettare un’ampia gamma di dispositivi Linux.

Trellix sottolinea che la tecnica di creazione di tali nomi è impossibile da eseguire manualmente: vengono utilizzati strumenti o script esterni per bypassare il controllo di input standard nella shell. Questo indica un’infrastruttura di attacco ben preparata.

Parallelamente, Picus Security ha presentato un’analisi del nuovo strumento di post-sfruttamento RingReaper, che utilizza il meccanismo di input/output asincrono io_uring nel kernel Linux.

A differenza delle chiamate standard di lettura, scrittura, invio e connessione, questo metodo si basa su primitive asincrone, che gli consentono di bypassare gli strumenti di monitoraggio basati sull’intercettazione delle funzioni di sistema. RingReaper è in grado di raccogliere informazioni su processi, sessioni, connessioni di rete e utenti, ottenere dati da /etc/passwd, utilizzare binari SUID per aumentare i privilegi e cancellare le tracce della sua attività.

Entrambi gli sviluppi dimostrano la rapida evoluzione dei metodi di attacco Linux, dallo sfruttamento dei nomi dei file negli archivi all’utilizzo occulto di funzioni kernel di basso livello. Dimostrano inoltre che le difese tradizionali si stanno rivelando sempre più inefficaci contro i nuovi approcci di mimetizzazione e implementazione.

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Trump, stallo sulla pace in Ucraina: “Deciderò tra due settimane”


@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/08/trump-s…
Due settimane. È l’espressione che Donald Trump usa quando vuole prendersi tempo, perché le cose non stanno andando come vorrebbe. La pace in Ucraina è una di queste. Dopo i toni

Alfonso reshared this.



Mario Tozzi: «Le spiagge, da ottobre ad aprile, dovrebbero essere libere. Tutto dovrebbe essere rimosso, e invece al massimo si tolgono solo gli ombrelloni. Sulle nostre spiagge date in concessione per decenni, praticamente a vita, ci hanno appunto costruito strutture stabili. Questo doveva essere vietato e oggi andrebbero abbattute. Sulla spiaggia deve esserci solo ciò che è removibile, e niente di più. Invece ci hanno messo ristoranti, trattorie, cabine, passerelle, docce, servizi. Non va bene. E, di fronte alla possibile opposizione “Ma come? Io ho investito in tutto questo!”, io non posso che replicare: “Sì, ma hai fatto male: va buttato giù”. Il fatto di aver investito non ti dà automaticamente ragione, c’è il rischio d’impresa. Anzi, sappi che fin dall’inizio si è trattato di un abuso edilizio, perché sulla spiaggia non si può costruire. Non esiste condono che tenga, lo dice anche il codice della navigazione. Quindi andrebbe demolito tutto».

micromega.net/mario-tozzi-si-d…



Iddio delle separazioni - zulianis.eu/journal/iddio-dell…
Una vignetta e una nota a margine sul prompt: "un personaggio con una moralità molto diversa dalla mia"


facebook.com/share/v/1B1AGks4x…
: a ogni immagine o video come questo, e alle migliaia e migliaia di testimonianze simili e rapporti sul #genocidio che abbiamo visto e registrato in questi ultimi due anni e nei 75 precedenti, la domanda è sempre la stessa: #israele , che giustificazione, che diritto hai di esistere, se il tuo esistere è QUESTO?

#Gaza #Cisgiordania #Palestina

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Riflessione sulla mobilità, l’ambiente urbano e la qualità della vita a Lugano

Negli ultimi anni, osservando le strade e i quartieri di Lugano, ho percepito una certa rassegnazione nelle abitudini quotidiane: traffico, rumore e inquinamento vengono spesso accettati come inevitabili. La cultura della mobilità resta fortemente centrata sull’automobile, una vera e propria motonormatività, che condiziona le scelte urbane e rallenta la diffusione di alternative più sostenibili, come la mobilità lenta o la micromobilità.

Ciò che colpisce è la difficoltà delle istituzioni nel favorire un cambiamento reale: interventi per ridurre il traffico, migliorare la sicurezza o rafforzare la sensibilità ecologica sono spesso limitati o tardivi. Al contempo, parte della popolazione ha adottato stili di vita rumorosi e motorizzati, poco integrati nelle abitudini locali, generando comportamenti che non rispecchiano la tradizione ticinese di rispetto dell’ambiente urbano e della quiete.

Un altro problema importante riguarda la presa di decisioni basata su statistiche e misurazioni obsolete o incomplete. Ad esempio, la misurazione del rumore urbano spesso considera solo medie generali e due fasce orarie, senza valutare i picchi né le condizioni reali dei quartieri. Questo approccio può portare a interventi inefficaci o mal calibrati. Inoltre, raramente vengono adottati criteri chiari per verificare a posteriori il successo delle misure implementate: diventa quindi difficile capire se le politiche adottate migliorino davvero la qualità della vita.

Accanto a questi aspetti, ritengo fondamentale la presenza della polizia nei quartieri e la qualità dello spazio urbano. Studi sul community policing in Svizzera evidenziano che una presenza stabile e visibile delle forze dell’ordine può rafforzare la percezione di sicurezza. Insieme a una progettazione urbana attenta — con riduzione del rumore, spazi verdi e percorsi per la mobilità lenta — questi elementi contribuiscono in modo significativo al benessere dei residenti.

Mi chiedo quindi se il problema non sia solo culturale, legato alla motonormatività o alla scarsa sensibilità ecologica, ma anche organizzativo e strutturale: senza interventi mirati, basati su dati aggiornati e criteri verificabili, la città rischia di restare ostaggio di abitudini consolidate, senza migliorare realmente la vita dei suoi abitanti.

È necessario un approccio integrato: ridurre il traffico motorizzato, promuovere una cultura più consapevole, garantire la sicurezza e valorizzare gli spazi urbani. Solo così Lugano potrà diventare una città in cui la vita quotidiana non sia solo tollerabile, ma davvero piacevole e sicura per tutti.

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Ieri a Santa Sofia d'Epiro (CS) ultima serata di questo interminabile filotto di concertini e concertoni in giro per il profondo sud 😋 In questa ospitale cittadina #Arbereshe ho incontrato un sacco di gente in piazza, c'era il mondo proprio, e tra tante persone anche il mio vecchio amico #ToninoCarotone, ospite d'onore di diverse edizioni del #ReggaeCircus, imbattibile campione di simpatia e artista sopraffino. L'ho trovato in forma smagliante, si preparava a una giornata di mare e di snorkeling (senza il fucile ha tenuto a precisare, da #antimilitarista renitente alla leva qual è) per l'indomani, e abbiamo anche improvvisato un pezzo insieme sul palco. Insomma, degna conclusione di questo minitour davvero memorabile, grazie Fjutur Aps per l'invito e grazie Santa Sofia d'Epiro tutta per l'accoglienza ♥️ Ora si può tornare a casetta davvero, che pure io mio cagnolone King non vede l'ora, è stanchissimo poretto 🐺🙌😅
in reply to Adriano Bono

Due uomini sorridono e si abbracciano in un'atmosfera festosa. L'uomo a sinistra indossa una camicia nera con ricami bianchi e pantaloncini mimetici, tenendo una bottiglia di soda verde. L'uomo a destra ha una barba folta e indossa una camicia azzurra con disegni colorati, un paio di jeans e una baseball cap con un logo. Entrambi sono in un'area urbana notturna, con edifici e altre persone in lontananza.

Fornito da @altbot, generato localmente e privatamente utilizzando Ovis2-8B

🌱 Energia utilizzata: 0.157 Wh



la vicenda di Bibbiano poteva aver almeno insegnato qualcosa. e invece encefalogramma piatto...


Il Massacro dei Cinesi in Perù

@Arte e Cultura

Introduzione La Guerra del Pacifico (1879-1884) è ricordata soprattutto come il conflitto che oppose Cile, Perù e Bolivia per il controllo delle ricchissime province di Antofagasta e Tarapacá, fonte di nitrati e guano, risorse strategicheContinue reading
The post Il Massacro



no dico... ma da 1 a 10 quanto si può riuscire a essere imbecilli? selezione naturale. per la protezione della specie.

informapirata ⁂ reshared this.

in reply to simona

ho dei dubbi che le generazioni precedenti non facessero queste cose. nelle versioni dell'epoca


Il Massacro dei Cinesi in Perù

@Arte e Cultura

Introduzione La Guerra del Pacifico (1879-1884) è ricordata soprattutto come il conflitto che oppose Cile, Perù e Bolivia per il controllo delle ricchissime province di Antofagasta e Tarapacá, fonte di nitrati e guano, risorse strategicheContinue reading
The post Il Massacro




Tiranni e dinastie in America Latina


altrenotizie.org/spalla/10760-…



Cos’ha davvero in mente Trump con l’AI Action Plan

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Con l’AI Action Plan, Trump propone una strategia per dominare il settore dell’intelligenza artificiale, fondata su deregulation, supremazia militare e controllo ideologico, ridisegnando i confini tra tecnologia e potere.



L’intelligenza artificiale non è (ancora) così intelligente

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Nonostante le grandi promesse, l'intelligenza artificiale delude sul campo: nuovi studi evidenziano cali di produttività, fallimenti operativi e un divario crescente tra percezione e realtà. La Nota di James Hansen

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The Oscilloscope from 1943


[Thomas] comes up with some unusual gear. In his latest teardown and repair video, he has a vintage 1943 Danish oscilloscope, a Radiometer OSG32 on the bench. It isn’t lightweight, and it certainly looks its age with a vintage cracked finish on the case. You can check out the tubes and high-voltage circuitry in the video below.

If you’ve only seen the inside of a modern scope, you’ll want to check this out with giant condensers (capacitors) and a slew of tubes. We love seeing the workmanship on these old chassis.

There was a significant amount of burned residue, likely from a capacitor inside the case. A visit to Radiometer headquarters netted a pile of old manuals, including one for this scope, along with schematics. However, the schematics may not have been totally accurate.

With power the CRT somewhat lit up, which was a good sign, although it had a smell. But there was at least one voltage deficiency. He eventually made partial progress with some modern substitutes helping out, but it looks like there’s still more to go. Given the appearance of the outside, we were surprised he got as far as he did.

This was actually a very nice scope for its day, if you compare it to some other typical examples. Did you ever wonder what people did for scopes before the CRT? We did too.

youtube.com/embed/S7MgHSlVTKQ?…


hackaday.com/2025/08/23/the-os…



Il lucroso (e inquietante) sottobosco dei creator di video con l’IA. Report Wp

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Si moltiplicano come funghi i video surreali e low-cost realizzati con l’IA da creator improvvisati, spesso senza alcuna competenza artistica, sollevando sconcerto tra i professionisti e

in reply to Informa Pirata

@informapirata ⁂

Molti gridano all'IA che "porterà via il lavoro".

Quella è solo una conseguenza, temo.

Il problema principale è che abbasserà terribilmente lo standard, la qualità.

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

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Perché sono sconcertato (e sgomento) per alcune pubblicità

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In un’epoca in cui si moltiplicano campagne contro stereotipi, sessismo e “body shaming”, certi settori pubblicitari - vedi quelli di prodotti sanitari e parafarmaceutici - sembrano immuni a queste sensibilità e

in reply to Informa Pirata

Onestamente... mi pare una cavolata. Non vedo body shaming e non vedo offesa per un uomo in slip che soffre d'incontinenza o una donna sul water che ha il ciclo... è una cosa naturale.

Questa mi sembra una proposta molto molto tirata con le pinze.

Vorrei capire quale e quanti utenti comuni se ne sono lamentati, cosa che nell'articolo viene omessa.

in reply to versodiverso

@versodiverso Sono d'accordo con te: l'intervento in questione che è rilevante solo in considerazione del personaggio che scrive ma ha un tono benpensante con un carattere più orientato al proibizionismo che alla proposta


l'invasione militare della cisgiordania e l'insediamento illegale di "coloni" è precedente a questa vicenda del rapimento di ostaggi e di gaza, per cui su quale base israele ritiene di essere, o di essere mai stata, dalla parte della ragione?


le piattaforme online non sono la soluzione. ci sono decine di serie che vorrei rivedere ma che non sono disponibili su nessuna piattaforma.

nonostante questo però non ho spazio per ampie collezioni di DVD o altro materiale.



MooneyGo, vieni qui che dobbiamo parlare!


@Privacy Pride
Il post completo di Christian Bernieri è sul suo blog: garantepiracy.it/blog/moneygo/
Venerdì sera, penultima di agosto, famiglia in spiaggia a giocare con le onde, io lavoro tranquillo in terrazza cercando di riempirmi l’anima con il panorama e gli odori della pineta. Bello, bellissimo. Voglio restare qui! Quasi quasi chiudo e faccio ape “bidong” 🔔 Ok,

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Un giovane informatico attivista degli USA, nello stile di Julian Assange, ci offre sul suo sito una rivelazione scottante che chiama “Meta Leaks”.


La «bussola» (smarrita?) di Draghi e la nuova stagione europea


@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/08/la-buss…
Partiamo da un virgolettato attribuito a Mario Draghi (su «La Stampa»,23 agosto 2025) durante il suo intervento al Meeting di Rimini: «Il mio europeismo non parte dai grandi principi che lo hanno



Per la prima volta nella sua storia, la Settimana liturgica nazionale approda a Napoli, dal 25 al 28 agosto, raggiungendo la sua 75ª edizione. Un appuntamento che quest’anno assume un valore particolare grazie alla presenza del card.




L’Eucaristia è guarigione per il mondo ferito nella fraternità. Questa la convinzione profonda che attraversa le pagine di “Radunate i pezzi avanzati – L’Eucaristia Sacramento di fraternità”, l’ultima opera dell’abate di Montecassino, dom Luca Fallic…


Scientists filmed a bat family in their roost for months, capturing never-before-seen (and very cute) behaviors.#TheAbstract


Scientists Discovered Bats Group Hugging and It’s Adorable


Welcome back to the Abstract! Here are the studies this week that ruled the roost, warmed the soul, and departed for intergalactic frontiers.

It will be a real creature feature this week. First, we will return to the realm of bats and discover that it is, in fact, still awesome. Then: poops from above; poops from the past; a very special bonobo; and last, why some dead stars are leaving the Milky Way in a hurry.

Bat hugs > Bear hugs

Tietge, Marisa et al. “Cooperative behaviors and social interactions in the carnivorous bat Vampyrum spectrum.” PLOS One.

Welcome to The Real World: Bat Roost. Scientists installed a camera into a tree hollow in Guanacaste, Costa Rica to film a tight-knit family of four spectral bats (Vampyrum spectrum) over the course of several months. The results revealed many never-before-seen behaviors including bats hugging, playing with cockroaches, and even breaking the fourth wall.

“We provide the first comprehensive account of prey provision and other social behaviors in the spectral bat V. spectrum,” said researchers led by Marisa Tietge of Humboldt University in Berlin. “By conducting extensive video recordings in their roost, we aimed to document and analyze key behaviors.”

Spectral bats are the biggest bats in the New World, with wingspans that can exceed three feet. They are carnivorous—feasting on rodents, birds, and even other species of bat—and they mate in monogamous pairs, which is unusual for mammals. But while huge flesh-eating bats sound scary, the new study revealed that these predators have a soft side.

For example, the footage captured a “greeting” ritual that included “a hugging-like interaction between a bat already in the roost and a newly arrived bat,” according to the study.

“The resident bat may actively approach or greet the newcomer as it reaches close proximity in the main roosting area,” the team said. “The greeting behavior is comparable to the initiation to social roosting, where at least one bat wraps its wings around the other, establishing a ball-like formation for several seconds. This behavior is often accompanied by social vocalizations.”
youtube.com/embed/NF4hOKhdCOA?…
There’s nothing like coming home after a graveyard shift to a warm welcome in a fuzzy ball-like formation. In keeping with their gregarious nature, the footage also showed that the bats are very generous with sharing prey, with only a single instance of a “tug-of-war” breaking out over dinner.

“Prey provision was a clearly cooperative social behavior wherein a bat successfully captured prey, brought it to the roost where group members were present, and willingly transferred the prey to another bat,” the researchers said. “Audible chewing noises are a distinctive feature of this process.”

Loud chewers in any other context are profoundly irritating, but these bats get a pass because it’s kind of hard to be quiet while crunching through mouse bones perched upside-down.

In addition to all the hugging and prey-sharing, the bats were also observed playing together by chasing cockroaches or, in one case, messing with the camera by altering its position. I can’t wait for the next season!

In other news…

Skyward scat


Uesaka, Leo and Sato, Katsufumi. “Periodic excretion patterns of seabirds in flight.” Current Biology.

Speaking of putting cameras in weird places, why not strap them to the bellies of seabirds? Scientists went ahead and did this, ostensibly to examine the flight dynamics of streaked shearwaters, which are Pacific seabirds. But the tight focus on the bird-bums produced a different revelation: Shearwaters almost exclusively poop while on the wing.
youtube.com/embed/SnJLvNyMjUA?…
“A total of 195 excretions were observed from 35.9 hours of video data obtained from 15 streaked shearwaters,” said authors Leo Uesaka and Katsufumi Sato of the University of Tokyo. “Excretion immediately after takeoff was frequent, with 50 percent of the 82 first excretion events during the flying periods occurring within 30 seconds after take-off and 36.6 percent within 10 seconds.”

“Occasionally, birds took off, excreted, and returned to the water within a minute; these take-offs are speculated to be only for excretion,” the team continued. “These results strongly suggest that streaked shearwaters intentionally avoid excretion while floating on the sea surface.”

This preference for midair relief might allow seabirds to lighten their load, prevent backward contamination, and avoid predators that sniff out excrement. Whatever the reason, these aerial droppings provide nutrients to ocean ecosystems, so bombs away.

Please clean up after your 9,000-year-old dog


Slepchenko, S.M. et al. “Early history of parasitic diseases in northern dogs revealed by dog paleofeces from the 9000-year-old frozen Zhokhov site in the New Siberian Islands of East Siberian Arctic.” Journal of Archaeological Science.

Hold onto your butts, because we’re not done with scatological science yet. A study this week stepped into some very ancient dog doo recovered from a frozen site on Siberia’s Zhokhov Island, which was inhabited by Arctic peoples 9,000 years ago.

By analyzing the “paleofeces,” scientists were able to reconstruct the diet of these canine companions, which were bred in part as sled dogs. The results provide the first evidence of parasites in Arctic dogs of this period, suggesting that the dogs were fed raw fish, reindeer, and polar bear.

“The high infection rate in dogs with diphyllobothriasis indicates a significant role of fishing in the economic activities of Zhokhov inhabitants, despite the small amount of direct archaeological evidence for this activity,” said researchers led by S.M. Slepchenko of Tyumen Scientific Center. “The presence of Taeniidae eggs indicates that dogs were fed reindeer meat.”

The team also noted that after excavation, the excrement samples were “packaged entirely in a separate hermetically sealed plastic bag and labeled.” It seems even prehistoric dog poop ends up in plastic bags.

Kanzi the unforgettable bonobo


Carvajal, Luz and Krupenye, Christopher. “Mental representation of the locations and identities of multiple hidden agents or objects by a bonobo.” Proceedings of the Royal Society B.

Playing hide-and-seek with bonobos is just plain fun, but it also doubles as a handy experiment for testing whether these apes—our closest living relatives—can track the whereabouts of people, even when they are out of sight.

Kanzi, a bonobo known for tool use and language skills, participated in experiments in which his caretakers hid behind screens. He was asked to identify them from pictures or voices and succeeded more than half the time, above chance (here’s a video of the experiment).

”Kanzi presented a unique and powerful opportunity to address our question in a much more straightforward way than would be possible with almost any other ape in the world,” said authors Luz Carvajal and Christopher Krupenye of Johns Hopkins University. “He exhibited not only strong engagement with cognitive tasks but also rich forms of communication with humans—including pointing, use of symbols, and response to spoken English.”
Kanzi was also a gamer who played Pac-Man and Minecraft. Image: William H. Calvin, PhD -
Sadly, this was one of Kanzi’s last amazing feats, as he died in March at the age of 44 in his long-time home at the Ape Initiative in Des Moines, Iowa. But as revealed by this posthumous study, Kanzi’s legacy as a cognitive bridge between apes lives on. RIP to a real one.

Zero to 4.5 million mph in a millisecond


Glanz, Hila and Perets Hagai B. et al. “The origin of hypervelocity white dwarfs in the merger disruption of He–C–O white dwarfs.” Nature Astronomy.

We will close with dead stars that are careening out of the galaxy at incomprehensible speeds. These objects, known as hypervelocity white dwarfs, are corpses of stars similar in scale to the Sun, but it remains unclear why some of them fully yeet themselves into intergalactic space.

“Hypervelocity white dwarfs (HVWDs) are stellar remnants moving at speeds that exceed the Milky Way’s escape velocity,” said researchers co-led by Hila Glanz and Hagai B. Perets of the Technion–Israel Institute of Technology. “The origins of the fastest HVWDs are enigmatic, with proposed formation scenarios struggling to explain both their extreme velocities and observed properties.”

The team modeled a possible solution that involves special white dwarfs with dense carbon-oxygen cores and outer layers of helium, known as hybrid helium-carbon-oxygen (HeCO) white dwarfs. When two He-CO white dwarfs merge, it may trigger a “double-detonation explosion” that launches one of the objects to speeds of about 4.5 million miles per hour.

“We have demonstrated that the merger of two HeCO white dwarfs can produce HVWDs with properties consistent with observations” which “provides a compelling explanation for the origin of the fastest HVWDs and sheds new light on the diversity of explosive transients in the Universe,” the researchers concluded.

With that, may you sail at hypervelocity speeds out of this galaxy and into the weekend.

Thanks for reading! See you next week.




“Tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato”.



“Il futuro della prosperità umana dipende da quale ‘amore’ scegliamo per organizzare la nostra società: un amore egoistico, l’amore per sé stessi o l’amore per Dio e per il prossimo. Noi, naturalmente, conosciamo già la risposta.



Nuovo articolo su giardino-punk.it: Le mucche se non le mungi esplodono (di gioia) // Teodora Mastrototaro
giardino-punk.it/le-mucche-se-…
L'antispecismo raccontato in versi, umani e non umani.


Un fantasma si aggira per le Americhe


altrenotizie.org/spalla/10761-…




Per ricordare Joe Hickerson…
freezonemagazine.com/news/per-…
Vogliamo ricordare una figura storica, che andrebbe forse definita come leggendaria del cantante folk, cantautore e archivista Joe Hickerson, scomparso domenica 17 agosto all’età di ottantanove anni. Hickerson è stato bibliotecario e direttore dell’Archivio delle canzoni popolari della Library of Congress dal 1963 al 1998, ha


Un articolo di @Peter Gleick che ho trovato su Internazionale.
È una recensione del libro di Glenn Adamson A century of tomorrows: how imagining the future shapes the present (Bloomsbury 2024).

I profeti del domani


Nel 1939, all’esposizione mondiale di New York, Albert Einstein fu invitato a scrivere un messaggio per la posterità da rinchiudere in una capsula del tempo e rileggere a distanza di cinquecento anni. “Chiunque pensi al futuro deve vivere nella paura e nel terrore”, fu la sua cupa risposta.

Tanta mestizia avrà sicuramente deluso lo sponsor, la Westinghouse electric corporation, che insieme ad altri campioni dell’industria statunitense presentava il tema dell’esposizione: il mondo di domani. La Ford motor company annunciava “la strada di domani”, la Borden dairy company presentava “il mondo caseario di domani”, mentre la General motors, la più famosa di tutte, aveva allestito il Futurama, dove i visitatori si mettevano in fila per fare un giro di diciotto minuti su un nastro trasportatore attraverso un paesaggio immaginario che mostrava le meraviglie che attendevano il mondo nel 1960. Il settimanale Life scrisse che l’esposizione era “piena di gente abbronzata e vigorosa, che in vent’anni ha imparato a divertirsi”. Uscendo, ogni visitatore riceveva una spilla con la scritta “Ho visto il futuro”. In realtà non era vero.

Einstein, ovviamente, pensava alla guerra imminente, come Thomas Mann, che nel suo messaggio per la capsula del tempo aveva scritto: “Oggi sappiamo che l’idea del futuro come ‘un mondo migliore’ era un inganno della dottrina del progresso”. Piuttosto imbarazzante, considerato che il progresso era il tema centrale di mille e più espositori della fiera. L’intera manifestazione celebrava il futuribile. I partecipanti sostenevano di “vendere idee”, non solo prodotti. Come osserva acutamente Glenn Adamson nel suo saggio A century of tomorrows (Un secolo di domani), si erano imbarcati in “una specie di futurologia”. La loro sfera di cristallo era a tinte rosa, la loro visione utopica. Al giorno d’oggi gli utopisti sono fuori moda, per usare un eufemismo.

Quella raccontata dall’esposizione mondiale era una storia bianca. Gli statunitensi neri erano invisibili, implicitamente omessi dagli “abbronzati e vigorosi” ed esplicitamente esclusi dalla forza lavoro della fiera se non come camerieri e facchini. La stampa bianca non aveva nulla da dire a riguardo, ma i militanti neri sì, tanto che organizzarono una contro­manifestazione, la American negro exposition di Chicago, per celebrare il settantacinquesimo anniversario dell’emancipazione e proiettare una visione contrastante del futuro, radicata in una diversa consapevolezza del passato. Passando in rassegna gli artisti neri dai tempi della schiavitù al presente, la Exhibition of the art of the american negro metteva l’accento su un realismo sociale che andava “oltre lo spettacolo sgargiante e superficiale delle cose”, secondo le parole dello scrittore e filosofo Alain Locke. Alla mostra erano rappresentati i linciaggi e la fame. Si ricordava ai visitatori che il futuro non è una destinazione che aspetta il nostro arrivo, ma piuttosto, come scrive Adamson, “un perpetuo campo di battaglia d’idee”.

Il futuro annunciato all’esposizione di New York era un posto dove la tecnologia era compagna e aiutante dell’umanità. Partiva dal presupposto “che una macchina ben progettata e ben oliata, una volta messa in moto, non potesse che contribuire a creare un mondo migliore”, scrive Adamson. Alla contromanifestazione di Chicago, gli organizzatori davano voce a un altro tipo di futurologia, che si sviluppava parallelamente al pensiero meccanicistico, lo controbilanciava e in una certa misura lo contraddiceva. Una macchina è autonoma, è definita dal suo funzionamento interno, si autoregola e si autoalimenta. Se però facciamo un passo indietro, quella che ci appare come una meraviglia comincia ad assumere sembianze mostruose.

Mai come oggi scrivere la storia del futuro in anticipo è sembrato così difficile. In un presente turbolento, l’angoscia e il disagio hanno affievolito lo spirito utopistico. Ossessionati dal guardare avanti, vediamo idee che si sgretolano e si trasformano da un giorno all’altro. “Dobbiamo esaminare non solo le emozioni che accompagnano il futuro in quanto forma culturale”, ha scritto l’antropologo Arjun Appadurai, “ma anche le sensazioni che produce: meraviglia, vertigine, entusiasmo, disorientamento”.

Adamson prende sul serio questo impegno. Ex direttore del museo delle arti e del design a New York, si definisce più un curatore che uno storico. Racconta una storia eclettica e non sempre lineare. I fermenti culturali, le rivolte politiche e i risvegli spirituali si sono sempre basati su visioni del futuro. Adamson collega l’ottimismo tecnologico agli incantamenti psichedelici degli anni sessanta e all’afrofuturismo degli anni novanta, con i rispettivi profeti e profezie. Salta liberamente tra modelli di previsione scientifici, religiosi e fantastici, che si sono influenzati a vicenda più di quanto sospettassero i rispettivi sostenitori. Nessuno dei futurologi ha la certezza in tasca. I futuri che descrivono sono prodotti dell’immaginazione collettiva, continuamente rigenerati e riveduti. Sono importanti perché ridefiniscono il presente.

A century of tomorrows, dunque, non è un’analisi del futuro, ma un’analisi delle analisi del futuro. Adamson racconta la storia di una categoria specifica di narratori, i divinatori del futuro: “Possiamo chiamarli futurologi: quelli che scrutano avanti e cercano di scorgere ciò che verrà”. Ci sono sempre stati futurologi di vario tipo, e questo già dice molto sull’umanità. Nei tempi antichi erano oracoli, profeti, indovini e astrologi. Leggevano il futuro nelle viscere degli animali e nelle foglie di tè. Non importa quante volte venissero screditati: il bisogno dell’umanità di sapere cosa sarebbe successo rimaneva.

I futurologi dei giorni nostri predicono i risultati delle elezioni e gli uragani. Amplificano l’immaginazione con la scienza, il che li rende rispettabili. Accettano l’incertezza e costruiscono modelli probabilistici. Il ritmo della vita moderna rende il loro lavoro redditizio e necessario. Tutte le grandi aziende assumono dei futurologi, anche se poi li chiamano ricercatori di mercato o trend analysts. Anche gli scrittori di fantascienza sono futurologi, e spesso anticipano gli scienziati. A quali profeti affidarsi, quali seguire, è la sfida del nostro tempo.

Con il suo suffisso pretenzioso, la parola inglese futurology, futurologia, è relativamente nuova. L’Oxford English Dictionary dice che il primo a usarla fu Aldous Huxley nel 1946: probabilmente la intendeva in senso ironico, come ironico era il titolo del suo libro Il mondo nuovo. Un secolo prima, quando inventò le macchine del tempo, H.G. Wells considerava il suo interesse per il futuro un fatto eccezionale. La maggior parte della gente, spiegò nel 1902, non pensa minimamente al futuro, se non come a “una sorta di non-esistenza vuota su cui il presente che avanza scrive di volta in volta gli eventi”. Nelle generazioni precedenti la norma era una relativa stasi. La scienza, però, stava cambiando la prospettiva, portando una nuova consapevolezza della stratificazione geologica e dell’evoluzione biologica, accelerando le trasformazioni tecnologiche e il ritmo stesso della vita.

Pochi anni prima di Wells, un giornalista del Massachusetts, Edward Bellamy, evocò un futuro utopico nel romanzo Guardando indietro: 2000-1887. Il protagonista del libro entra nel futuro nel sonno e scopre che la fame, la guerra, la povertà e la disoccupazione sono state abolite. Il denaro è superato: a ogni uomo e donna viene rilasciata una “carta di credito” sufficiente a soddisfare le sue esigenze. I manufatti fuoriescono da un magazzino centrale attraverso tubi pneumatici. L’intrattenimento musicale arriva in ogni casa con un sistema di cavi elettrici (una tecnologia allora nuova e sconvolgente). Tutti gli uomini e le donne fanno parte di “un vasto partenariato industriale, grande come la nazione, grande come l’umanità: il monopolio finale da cui tutti i monopoli precedenti e più piccoli sono stati inghiottiti”. L’utopia è particolarmente rigida e regolamentata; nulla cambia; il progresso è completo, perché la perfezione è stata raggiunta. Tutti sembrano contenti e appagati. Guardando indietro fu un grande best seller internazionale, che ispirò politici e attivisti.

Le utopie letterarie precedenti erano spostate non nel tempo, ma nello spazio. L’Utopia originale di Thomas More, del 1516, era un’isola sperduta nel nuovo mondo. Oggi, collocare l’utopia nel futuro può sembrare ovvio, ma fu un’innovazione di Bellamy. “Il risultato” scrive Adamson, è una sorta di montaggio temporale in cui un presente reale e un futuro immaginato sono messi a fuoco alternativamente. Il futuro può quindi essere concettualizzato come un paesaggio in movimento, con molteplici orizzonti temporali che interagiscono l’uno con l’altro.

Veggenti e ciarlatani a parte, il mestiere della profezia era storicamente stato appannaggio della religione, organizzata e no. I primi futurologi moderni si proponevano come profeti laici, rivendicando un diritto razionale alla verità. Dato che il futuro arriva sempre alla spicciolata, dovevano guadagnarsi la loro credibilità. La prima innovazione a portare le previsioni basate sui dati nella vita quotidiana fu il bollettino meteorologico, una invenzione scientifica dell’ottocento, di cui il telegrafo era una condizione necessaria. Adamson osserva che la svolta concettuale fondamentale era in realtà un trucco: “Il futuro era incorporato nel presente. Sappiamo già che tempo farà domani perché è qui. È solo da qualche altra parte, di solito un po’ più a ovest”. Come tutta la futurologia, la meteorologia era, ed è, notoriamente soggetta a errori, ma anche i suoi bollettini probabilistici erano preziosissimi, perciò i governi nazionali, a cominciare da quello britannico, istituirono gli uffici del servizio meteorologico, e i giornali cominciarono a pubblicare le previsioni del tempo. “I metodi popolari più antichi – gli almanacchi, l’osservazione della luna, le dita al vento – erano diventati inutili”, scrive Adamson. “Era come vedere una magia”.

A cos’altro poteva essere applicata questa magia? Per esempio al marketing, in particolare alla pubblicità, che si basava su idee sempre più sofisticate su come prevedere i desideri dei consumatori ancora prima che si formassero. La moda cambiava come le stagioni, con i suoi temporali occasionali. La pionieristica agenzia J. Walter Thompson, che alla svolta del secolo vendeva più della metà degli spazi pubblicitari negli Stati Uniti, nel 1909 dichiarò che “il compito principale della civiltà è eliminare la casualità, e l’unico modo è fare previsioni e pianificare”. I designer industriali come Norman Bel Geddes, che in seguito progettò il padiglione del Futurama per la General motors, consigliavano alle aziende di “modernizzare” i loro prodotti, di razionalizzarli, di non limitarsi ad abbracciare la nuova era ma di spingerla in avanti. I cosiddetti color forecasters, esperti nel prevedere le tendenze nell’uso dei colori, avevano lo stesso compito nel campo della moda e dell’arredamento. A partire dagli anni venti, l’influente Textile color card association di Margaret Hayden Rorke si specializzò nel prevedere quali colori sarebbero andati di moda per poi standardizzarli e promuoverli, non solo nell’abbigliamento ma anche nel design automobilistico e nella nascente industria cinematografica. Questi nuovi professionisti stavano creando “una nuova idea della futurologia stessa”, scrive Adamson, “riformulandola come un mestiere per tecnici specializzati”. Peccato che le loro fossero profezie che si autoavveravano.

Questi nuovi chiaroveggenti erano ferventi sostenitori del cambiamento per il cambiamento, il più veloce possibile. “Oggi la velocità è la passione della nostra era, e uno degli obiettivi di domani è una velocità ancora più grande”, proclamò Bel Geddes. Consapevolmente o no, le sue parole riecheggiavano quelle di Filippo Tommaso Marinetti, il protofascista italiano che nel suo Manifesto del futurismo del 1909 scriveva: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità”. Nello specifico, Marinetti si riferiva alle auto da corsa, per lui un vero e proprio feticcio. Il futurismo ispirò movimenti simili in altri paesi, avanguardie rivolte sempre avanti e mai indietro che si proiettavano verso il futuro dopo essersi liberate del passato. “Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!”, diceva Marinetti. “Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile?”. Era un tratto tipico dei ribollenti movimenti nati nel giovane secolo: non solo una reazione al passato, ma una teoria del futuro.

Il caso estremo fu quello russo. La rivoluzione bolscevica del 1917 fu un colpo di gong avvertito in tutto il pianeta, e annunciava che il futuro – rivelazione e trasformazione insieme – era arrivato. “Il vertiginoso e terribile salto nell’ignoto che compiva la Russia intera”, lo definì John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo. Dopo un viaggio in Russia nel 1919, il giornalista investigativo Lincoln Steffens proclamò: “Ho visto il futuro e funziona”. Per produrre il futuro in modo ordinato, il regime sovietico varò una serie di piani quinquennali, uno dopo l’altro, su scala nazionale e centralizzati come l’onnipotente azienda di stato di Guardando indietro.

L’illusione di una previsione e di un controllo assoluti portò alla catastrofe: l’industrializzazione e la collettivizzazione forzate provocarono una delle carestie più mortali del secolo, con più di cinque milioni di vittime in Ucraina, in Kazakistan e altrove. In seguito, il linguista Roman Jakobson, uno dei futuristi russi della prima ora, scrisse: “Abbiamo vissuto troppo del futuro, ci abbiamo pensato troppo e creduto troppo, e per noi non c’è un’attualità autosufficiente: abbiamo perso il senso del presente” (Una generazione che ha dissipato i suoi poeti, 1930). Il Cremlino, tuttavia, non perse fiducia nell’efficacia dei piani quinquennali. Il loro utilizzo si estese ad altri paesi e continuò in Unione Sovietica fino agli anni ottanta, con il futuro che arrivava e si allontanava continuamente.

Era una forma di previsione monolitica, cieca di fronte alla diversità e alla complessità delle società reali. “La futurologia profetica è come un obiettivo fotografico”, scrive Adamson, “che mette intensamente a fuoco alcune cose e ne distorce altre, limitando drasticamente il campo visivo. C’è un motivo se le sfere di cristallo sono gli strumenti più usati dai veggenti”. Nonostante questo, l’influenza dei futurologi nel corso del secolo continuò a crescere. Frank Lloyd Wright prometteva una sua versione dell’utopia con le sue piccole abitazioni private. Il tecno-ottimista Richard Buckminster Fuller ribattezzò dymaxion le sue case immaginarie e il suo futurismo visionario diventò un riferimento per i primi pionieri dell’informatica.

I modelli statistici dei futurologi sono migliorati: con l’avvento dell’informatica hanno sviluppato una potenza tecnica formidabile e sembrano vedere cose che gli esperti tradizionali non riuscivano a vedere.

Le previsioni scientifiche raggiungono la perfezione assoluta solo nella narrativa – in particolare nei romanzi del Ciclo della fondazione di Isaac Asimov, in cui un sistema matematico chiamato “psicostoria” riduce il comportamento umano a una serie di equazioni, come se obbedisse a leggi simili a quelle della fisica e le interazioni umane si potessero modellare come quelle atomiche. Gli scienziati sociali in carne e ossa aspiravano a questo traguardo. Daniel Bell, professore di sociologia di Harvard, immaginava una “società post­industriale” guidata, nel bene e nel male, da élite tecniche, e nel suo saggio del 1964 Twelve modes of prediction (Dodici modelli di predizione) provò a sistematizzare diversi metodi di previsione. Un futurologo meno ovvio, osserva Adamson, fu Robert McNamara, il presidente della Ford che aveva mosso i primi passi come uno dei “ragazzi prodigio” del gruppo di controllo statistico dell’azienda. In seguito, come segretario della difesa, applicò i suoi modelli previsionali agli Stati Uniti, affidandosi principalmente agli analisti di sistemi del centro studi della Rand Corporation. Le sue previsioni e quelle degli analisti portarono al disastro della guerra in Vietnam, ma la Rand gode ancora di ottima salute. La sua nuova area di interesse è l’intelligenza artificiale.

L’attuale proliferazione di attività divinatorie è un caso speciale di sovraccarico d’informazioni. Di fronte a un bombardamento di previsioni, il problema è sapere a quali credere. Il ventunesimo secolo si è caratterizzato per una crescente sfiducia nei confronti dei profeti, sia quelli tecnocratici sia quelli spirituali. Alla vigilia delle ultime elezioni negli Stati Uniti, i giornalisti, che pure ormai dovrebbero aver imparato la lezione, per l’ennesima volta hanno trattato i sondaggi come vere e proprie notizie sul futuro. Questa branca perennemente instabile della futurologia ha dominato l’informazione per un anno, fino al suo inevitabile schianto la sera delle elezioni. Tutte le previsioni dei sondaggisti e degli esperti avevano una data di scadenza rigida: alcuni ci hanno azzeccato e altri hanno sbagliato, ma il giorno dopo il loro valore collettivo è crollato a zero. Forse avrebbero fatto meglio a dedicare i loro sforzi a comprendere il presente.

Dall’altro lato, nel campo della scienza del clima, una sfiducia ingiustificata ha minato alla base quello che avrebbe dovuto essere un trionfo dei pronostici basati sui modelli informatici. Le previsioni più allarmanti sul clima si sono dimostrate esatte, molte volte. Spesso i dubbi nascono da motivazioni politiche riconducibili agli interessi del mercato del petrolio, ma non sempre.

Alcuni scettici hanno ricordato l’ondata di panico per la sovrappopolazione che si scatenò negli anni sessanta e settanta sulla scorta del best seller The population bomb (La bomba demografica, del 1968; scritto dai ricercatori della Stanford university Paul e Anne Ehrlich, ma attribuito solo al primo). Buona parte del movimento ambientalista diede ampia diffusione alla tesi del libro, cioè che l’aumento esponenziale della popolazione avrebbe inevitabilmente condannato l’umanità alla fame. “La battaglia per sfamare l’umanità è già persa”, scrivevano gli autori, quando la popolazione mondiale era di tre miliardi di persone. I governi, ammonivano, dovevano intervenire urgentemente per limitare i tassi di natalità in modo da far tornare la popolazione a due miliardi o meno. Oggi siamo otto miliardi, e la causa principale della fame e della povertà è la disuguaglianza economica, non la scarsità di risorse.

Nel 1970, un altro libro molto influente fu Lo choc del futuro (scritto da Alvin e Heidi Toffler ma attribuito al solo Alvin). Fin dal titolo, il libro alimentava il panico per il cambiamento in sé, specialmente il cambiamento tecnologico, colpevole di provocare “uno stress e un disorientamento sconvolgenti”. Questo tipo di futurologia non è invecchiato bene. Come gli Ehrlich, scrive Adamson, “i Toffler si sono avventurati in previsioni incredibilmente audaci sulla base di aneddoti selettivi e scenari totalmente immaginari”. Tra le loro proposte c’era quella di addestrare immediatamente “quadri di giovani” da ricollocare in colonie sotto l’oceano o nello spazio. Lo stress e il disorientamento, però, erano reali. Dodici anni dopo Lo choc del futuro fu la volta di Megatrends: le dieci nuove tendenze che trasformeranno la nostra vita, di John (e Doris) Naisbitt, un guazzabuglio di ragionamenti sulla globalizzazione, il decentramento, il networking e altre parole di moda. Gli autori anticipavano l’avanzata benaugurante di una florida economia postindustriale e il volume vendette 14 milioni di copie. Adamson lo definisce “un libro davvero brutto”, il cui effetto principale è stato incoraggiare “molti altri libri altrettanto sciocchi e semplicistici sul futuro, un fenomeno editoriale che continua ancora oggi”.

Nessuno di loro, fino al 1990, era riuscito a prevedere quello che stava per succedere: l’emergere di un luogo astratto, distinto dal “mondo reale”, dove un’approssimazione di tutta l’umanità si sarebbe riunita per interagire alla velocità della luce, con accesso istantaneo a un’approssimazione di tutta la conoscenza umana. I primi ad anticipare questo sviluppo sono stati gli scrittori di fantascienza. William Gibson, in Neuromante, del 1984, lo ha chiamato “ciberspazio” o “la matrice”: “Luminosi reticoli di logica che si dispiegano attraverso quel vuoto senza colori”. Internet così come lo conosciamo ancora non c’era, e Gibson ne dava una versione idealizzata: “Una cosa vasta, oltre la conoscenza, un mare d’informazioni codificate in spirali e feromoni, un intreccio infinito che solo il corpo, alla sua maniera forte e cieca, potrebbe mai riuscire a leggere”. Oggi molti ci trascorrono il tempo, vivendo in una modalità di collegamento costante per mezzo di “telefoni” che non sono veramente telefoni.

Nella fantascienza, naturalmente, gli abitanti del ciberspazio non sono solo gli umani ma anche le intelligenze “artificiali”, che puntualmente sono arrivate. Le ia non sono solo l’argomento preferito dei pronosticatori, ma sono viste anche come i loro potenziali sostituti. È una tentazione troppo grande trattarle come oracoli in sé.

Nel 1950 Alan Turing disse che l’avvento delle macchine pensanti era vicino. Da allora, alcuni scienziati hanno tentato di crearle, avvertendoci allo stesso tempo che un giorno renderanno superflui gli esseri umani. Prima di eliminarci, magari si limiteranno a imitarci, come fanno i “replicanti” in Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick (1968) e nel suo brillante adattamento cinematografico Blade runner, di Ridley Scott, uscito nel 1982. Nemmeno i replicanti sanno per certo se sono umani o macchine. La possibilità di confondere gli uni con le altre è fonte di timori fin da quando Turing ne ha fatto il cardine del suo famoso test d’intelligenza. Oggi è diventato un problema concreto, perché l’ia generativa scrive tesine scolastiche e surrogati di libri, e i bot interagiscono con gli umani sui social media.

La previsione più allarmante sull’intelligenza artificiale è quella della cosiddetta singolarità. La singolarità è lo stadio che si raggiunge quando l’ia diventa autoconsapevole e autosufficiente – una nuova e potente forma di vita – e la storia umana finisce. L’intelligenza artificiale assume il controllo e la nostra specie viene soppiantata o sterminata (scegliete voi). L’idea della singolarità è stata introdotta dallo scrittore di fantascienza Vernor Vinge nel 1993: “È un punto in cui i nostri modelli devono essere abbandonati e domina una nuova realtà… L’uscita dell’umanità dal centro del palcoscenico”. Il momento, secondo Vinge, sarebbe arrivato tra il 2005 e il 2030. I nerd tecnologici si sono innamorati di quest’idea. Il sedicente futurista Ray Kurzweil ha sostenuto l’ipotesi in La singolarità è vicina (2005), proclamando fiducioso, “l’appuntamento, che rappresenterà una trasformazione profonda e dirompente della capacità umana, è fissato al 2045”. Per Kurzweil la singolarità è una buona notizia: una specie d’immortalità, di superamento dell’umanità. Ha addirittura organizzato una serie di “summit della singolarità” con cadenza annuale e ha scritto un sequel, La singolarità è più vicina (2024). Non ha una grande opinione dei semplici umani non aumentati: “Siamo lontani dall’essere ottimali, specialmente rispetto al pensiero”.

Questa è la futurologia nella sua versione più sciocca. Almeno, però, segnerà la fine della futurologia, come osserva Adamson:

La singolarità è come un buco nero astronomico che inghiotte ogni possibilità di speculazione sul futuro all’interno del suo campo gravitazionale. Quando saremo superati delle intelligenze artificiali il velo calerà… e le macchine si siederanno a giudicarci, nuove divinità che noi stessi abbiamo messo sul trono.

Altri hanno deriso la singolarità come “l’estasi dei nerd”. La somiglianza con l’escatologia cristiana è inequivocabile: fedeli attratti dalla promessa della fine dei tempi, l’ora zero, il giudizio universale. Entrambe le estasi si fondano su una resa dei conti morale: i prescelti vanno avanti mentre gli altri vengono lasciati indietro. Ed entrambe rappresentano una forma di escapismo: perché preoccuparsi di problemi come il cambiamento climatico e la disuguaglianza economica quando i superumani stanno per raggiungere la trascendenza e l’immortalità?

La previsione più affidabile sulle macchine di calcolo è che diventeranno sempre migliori, più veloci e più piccole. Per il resto, l’industria che le fabbrica è stata notoriamente incapace di prevedere il futuro dei suoi prodotti. L’intelligenza stessa resta un concetto scivoloso e non ben definito: gli imprenditori tendono a entusiasmarsi facilmente, e gli esseri umani in generale ad antropomorfizzare gli oggetti scintillanti, in particolare quando possono parlare con loro. Ma è inutile chiedere a ChatGpt della OpenAi, a Gemini di Google, o a Oracle Ai (si chiama proprio così) di dirci cosa riserva il futuro. Non sanno neppure niente del presente, hanno solo pagine e pagine di testi e algoritmi preesistenti per manipolarlo e riorganizzarlo.

Dopo aver passato in rassegna vari filoni di futurologia fallita, Adamson osserva che continueremo comunque a fare le nostre previsioni, com’è giusto che sia, in competizione gli uni con gli altri. Ricorda sempre, però, che ogni previsione è un’affermazione sul presente: “Non possono essere costruite in modo da eliminarsi a vicenda, ma devono essere reciprocamente leggibili e compatibili. Questo, a me sembra, è il compito che la futurologia ha ancora davanti a sé”.

Quattordici anni fa, Wikipedia ha aggiunto una voce chiamata Cronologia del futuro lontano, che è in continuo aggiornamento. Al momento l’incipit è questo: “Mentre le predizioni del futuro non possono mai essere certe in assoluto, l’attuale comprensione scientifica in vari campi permette di delineare, seppure a grandi linee, gli eventi futuri più lontani”. Il progetto è pensato per essere transitorio e in divenire. Recentemente, un redattore che ha inserito un aggiornamento si è giustificato con un commento: “Aggiunge un pochino di speranza”. Dopo pochi secondi, un altro redattore lo ha cancellato.

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in reply to 🄿🄾🄻🄸🄱🅁🄾🄽🅂🄾🄽

nei romanzi del Ciclo della fondazione di Isaac Asimov, in cui un sistema matematico chiamato “psicostoria”


"psicostoriografia" 🙂
E non era neanche così malaccio, l'articolo convenientemente evita di menzionare la presenza nella storia del "Mule", l'entità imprevista che non rientra nei canoni prefissati.

Di Gibson non menziona (e avrebbe dovuto credo) it.wikipedia.org/wiki/Il_conti…

Non nomina neppure Cronache Marziane di Bradbury, che sicuramente valeva la pena menzionare...

Ghost in the Shell ...vabbeh...

Mi sembra che faccia un gran casino in generale con l'idea di "futurologia fallita" per esprimere un concetto ovvio: tutte le nostre previsioni sul futuro si basano necessariamente sui dati in nostro possesso, siccome i dati in nostro possesso sono limitati alle nostre competenze presenti qualsiasi previsione sul futuro è di per sè incerta nonostante i miglioramenti nella capacità di calcolo.
Mi sembra la scoperta dell'acqua calda?

In ogni caso la fantascienza e l'utopia non rientrano nella "futorologia fallita", entrambe non cercano in genere di prevedere il futuro ma di presentare futuri più o meno possibili sia in positivo che in negativo, quindi l'intera scoperta dell'acqua calda mi sembra parta anche da un assunto di base fuorviante a cominciare dal titolo perchè la maggior parte di quelli che nomina non sono profeti.

CC: @petergleick@fediscience.org



La storia infinita di Nvidia in Cina

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
L’azienda fondata da Jensen Huang ha una storia di lunghissimo corso di presenza nel mercato cinese e di collaborazione con gli attori industriali cinesi. Prima che le questioni politiche e di sicurezza nazionale giungessero al centro della scena, Nvidia



Bluesky ha bloccato l'accesso nel Mississippi dopo l'entrata in vigore della legge statale HB 1126, che richiede la verifica dell'età per tutti gli utenti dei social media, con multe fino a 10.000 dollari per violazione.

L'azienda ha affermato che tale conformità obbligherebbe tutti gli utenti del Mississippi a fornire dati personali sensibili e richiederebbe a Bluesky di tracciare i minori, creando problemi di privacy e libertà di parola.

#Bluesky ha sottolineato che la sicurezza dei bambini è una priorità, ma ha sostenuto che la legge svantaggia le piattaforme più piccole; la sua decisione si applica solo all'app Bluesky sul protocollo AT, non ad altre app sulla rete.

Le reti private virtuali, come quelle offerte da NordVPN , ExpressVPN e PureVPN , potrebbero consentire ad alcuni utenti interessati di continuare ad accedere a Bluesky.

thedesk.net/2025/08/bluesky-bl…

@Che succede nel Fediverso?

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New strategies to help journalists in Gaza


Dear Friend of Press Freedom,

For 150 days, Rümeysa Öztürk has faced deportation by the United States government for writing an op-ed it didn’t like, and for 69 days, Mario Guevara has been imprisoned for covering a protest. Read on for more, and click here to subscribe to our other newsletters.

​​New strategies to help journalists in Gaza


Letters and condemnations have their place in press freedom advocacy, especially when dealing with a persuadable audience. But that playbook isn’t working for journalists in Gaza. Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu and his arms supplier, President Donald Trump, don’t care about journalists’ lives, let alone their freedoms.

Freedom of the Press Foundation (FPF) board member and Pulitzer Prize-winning journalist Azmat Khan and her colleagues, Meghnad Bose and Lauren Watson, spoke to over 20 journalists and activists, including FPF Executive Director Trevor Timm, in search of novel ideas to stop Israel’s slaughter of journalists and concealment of war crimes. Read more in Columbia Journalism Review.

FPF complaint opposes U.S. attorney’s retaliation against press


It’d be journalistic malpractice for reporters to ignore a prominent public official listing a boarded-up house as his residence to claim eligibility for his position. But that’s not how John Sarcone III, acting U.S. attorney for the Northern District of New York, sees it.

He was reportedly “incensed” by reporting from the Times Union of Albany and ordered the paper removed from his office’s media list. In response, FPF, Demand Progress Education Fund, and Reinvent Albany filed a complaint with New York’s Attorney Grievance Committee. Read more here.

Oregon cops cosplay as journalists


Eugene police threatened documentary filmmaker Tim Lewis with arrest if he didn’t back up while filming them. But Lewis noticed another reporter wearing a vest marked “PRESS” filming without police harassment.

Turns out he wasn’t a reporter at all — he was a police public information program coordinator. As FPF Advocacy Director Seth Stern told Double Sided Media, “Police officers obstructing lawful journalism and giving their own publicly funded propagandists the exclusive right to record them up close is unconstitutional, un-American, and absurd.”

Eugene police have reportedly said they will replace the word “press” with “videographer.” Read more here.

Kansas school district fails to censor student journalists


A group of students sued Lawrence Public Schools in Kansas over the district’s use of surveillance software against students, including student journalists. Naturally, the student newspaper wanted to report on the case. But the principal ordered them not to, and the students believed their faculty adviser would be fired if they disobeyed.

Major news conglomerates have caved to official pressure, but not these kids. They sought a court order prohibiting the school from censoring them, leading the principal to drop his censorial directive and a judge to remind the district that the adviser was legally protected from retaliation. Then they published their story. Read it here.

Puerto Rico’s fake news law is unconstitutional


A district court rightly struck down Puerto Rico’s “fake news” law, which criminalized raising “false alarms” about public emergencies. Now, FPF and other rights organizations are urging an appellate court to affirm the ruling in a legal brief authored by the University of Georgia School of Law’s First Amendment Clinic.

The brief explained how the law could be selectively enforced to chill reporting that officials dislike. Read more here.

What we’re reading


Pritzker signs bill to protect freedom of press, Illinois journalists (WCIA). A nonsensical court ruling excluded news reporting from the protection of Illinois’ law against strategic lawsuits against public participation. FPF worked with local organizations and lawyers to help fix the mess.

Human rights groups to university administrators: Dismantle surveillance to defend free speech now (Fight for the Future). Surveillance technology has no place on college campuses and especially in student newsrooms. We joined a letter calling on universities to dismantle these dangerous tools.

Lawyers ask judge to order ICE to free Spanish-language journalist from immigration detention (Associated Press). Immigration and Customs Enforcement’s targeting of Mario Guevara — a lawful U.S. resident — based on his journalism is a flagrant First Amendment violation. He must be released.

US: Excessive force against LA protesters (Human Rights Watch). HRW usually focuses on wars and atrocities. Now, they’re investigating LA cops’ violence against protesters and journalists. It’s not because it’s a slow atrocity news week — it’s because the situation in LA really is that bad.

Israel says it killed a Hamas commander. It killed a Pulitzer-winning journalist (The New York Times). “The military made no attempt to obscure this brazen strike on civilians, which is a war crime.” And as +972 Magazine explained, it’s far from the first time Israel smeared journalists as terrorists to justify killing them. Its army has a unit tasked with linking journalists to Hamas.

Watchdog or ‘witch hunt’? Highland releases final review of town clerk’s office (River Reporter). Good for the upper Delaware region’s River Reporter for not letting an embattled town supervisor’s veiled threat of a SLAPP stop it from doing its job.

Journalists planning to cover McCormick, Perry event in Pennsylvania must prove their US citizenship (Penn Live). “Journalists who are citizens should decline to attend if their peers are excluded. They should spend their Tuesday investigating politicians and arms manufacturers rather than covering their photo ops,” Stern said.

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