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La Nato di domani? Si allarghi anche in Asia. La versione di Pelanda
@Notizie dall'Italia e dal mondo
La Nato di domani si allarghi, anche in Asia, per contrastare chi sta lavorando ad allargare i solco tra America ed Europa, spiega a Formiche.net il prof. Carlo Pelanda, economista e uno degli analisti più attenti delle relazioni internazionali. Alla vigilia dell’uscita del suo pamphlet “L’Italia globale” per Rubbettino, l’analista riflette sul presente ma soprattutto sul futuro della Nato, su come l’Alleanza deve programmare postura e iniziative per immaginare nuove traiettorie e sopratutto per impedire il disegno “esterno” che vorrebbe gli alleati atlantici in crisi. “Prima di sostenere che ci sia il bisogno di una nuova Nato, occorre valutare come funziona quella che esiste: da tempo ha commissionato molte analisi su vari temi interconnessi all’impiego della forza, compresi i contorni economici, finanziari e psicologici. Per cui sostenere che la Nato deve allargare lo sguardo secondo me non è corretto”.
Nato e guerra ibrida: è corretto dire che l’Alleanza dovrà immaginare un percorso di riforma che contempli le leve economiche, quelle energetiche e il confronto con le milizie paramilitari?
Da sempre la Nato ha previsto dei programmi civili e così non ha mai fatto l’errore di essere un’organizzazione solo militare. Ricordo personalmente quando ero giovanissimo di aver partecipato a borse Nato per fare ricerca civile, quindi pensare che la Nato sia un’organizzazione lontana dagli aspetti civili di sicurezza nel senso esteso o che non stia affrontando i problemi della guerra ibrida è una mancanza di informazione. Aggiungo che la Nato è un’organizzazione molto evoluta e sofisticata che non cura solo l’aspetto della difesa o della deterrenza militare: ricordo che negli anni ’90 era una struttura già piuttosto evoluta che guardava il mondo a 360 gradi, non soltanto dal punto di vista militare.
In quali altri ambiti ad esempio?
Vi erano alcune associazioni civili legate alla Nato che analizzavano tutti i problemi di sicurezza in maniera molto ampia. Pensi che ho conosciuto mia moglie in uno di questi seminari a Castelfranco Veneto, dove lei era notaio e vicepresidente dell’associazione Nato. Per cui non facciamo l’errore di pensare che la Nato sia un luogo che non pensa, tutt’altro. Nel 1989 con il crollo del Muro è cambiato lo scenario, perché è venuto a mancare il nemico. Ma prima di sostenere che ci sia il bisogno di una nuova Nato, occorre valutare come funziona quella che esiste.
Quale è il suo giudizio?
Confermo che, dalla fine degli anni ’80 in poi, si sono manifestati dei problemi di riduzione di rilevanza, ma ha sempre mantenuto un impianto, consapevole che i conflitti vanno analizzati nel senso più ampio. La Nato presenta due caratteristiche: una è l’interoperabilità, cioè non esistono al mondo altre alleanze militari dove tanta diversità viene integrata grazie a standard comuni. La mia raccomandazione è quella di analizzare meglio come è fatta la Nato prima di proporre una riforma che, magari, è già nelle sue corde o anche nel suo Statuto e nelle sue operazioni. La seconda è la comunicazione: la Nato, come è ovvio, non comunica tutto quello che fa in una maniera aperta dal momento che è un’alleanza militare. Durante il governo Ciampi nel 1993, da consigliere per gli affari speciali del ministro degli Esteri Andreatta, accompagnai alcune aziende italiane in un vertice Nato dedicato al problema delle armi non letali.
Ovvero?
Si poneva il problema di costruire in sicurezza e senza eccessi, limitando la violenza dell’esercizio della forza e il caso era quello dei Balcani, in particolare, perché in una democrazia vi sono dei limiti all’impiego della forza. E dal momento che esiste una varietà di opinioni e un gran pezzo di queste varietà è fatta da persone belligeranti, i militari fecero una ricerca per spiegare che era più rischioso l’uso di armi non letali, sia sul sul piano legale che su quello operativo. Il tema è poi rimasto in sospeso, ma servì a ribadire che la Nato ha commissionato molte analisi su vari temi interconnessi all’impiego della forza, compresi i contorni economici, finanziari e psicologici. Per cui sostenere che la Nato deve allargare lo sguardo secondo me non è corretto.
Dove invece, secondo la sua opinione, dovrebbe migliorare?
Potrebbe invece essere interessante lavorare su un passaggio che personalmente raccomando da più di trent’anni: unire sempre di più una rete fatta di economia e alleanza militare, mantenendo sempre la Nato come alleanza militare. Si possono immaginare nuovi accordi economici perché non è possibile mantenere un’alleanza che non abbia conseguenze economiche. Mi riferisco ad una strutturazione come il G7, che è un’alleanza estesa anche al Pacifico.
Cosa pensa rispetto ai ragionamenti che vengono fatti sull’allargamento a Paesi gravati da una contingenza eccezionale, come ad esempio l’Ucraina?
Questo è francamente il pensiero debole a cui sono contrario. La Nato deve allargarsi, penso soprattutto alle piccole nazioni, come previsto dal consolidamento dei Balcani. Sì, la Nato è uno strumento di pace ottenuto attraverso deterrenza e tale strumento realistico disturba non poche ideologie convinte che la pace sia più facile da ottenere, mentre l’aspetto positivo della Nato si ritrova nella citazione “Si vis pacem, para bellum”. Quel para bellum fa parte del realismo, perché per evitare una guerra occorre disincentivare l’avversario, mostrando superiorità oppure una maggiore capacità distruttiva. Per cui credo che la Nato debba continuare ad estendersi anche nel centro Asia.
Per quali ragioni?
Penso al Giappone, un Paese che fa parte già di quel cono di interesse che gravita attorno a Usa, Australia, Usa, Regno Unito e Italia. Il progetto di caccia di sesta generazione lo dimostra una volta di più. Aggiungo che una nostra portaerei sta andando in Giappone dove arriverà anche la Amerigo Vespucci: il tutto rientra in una tendenza direi naturale ad esserci, in un mondo dove c’è un confronto tra sistemi autoritari capeggiati dalla Cina e seguiti in una maniera molto più lenta dalla Russia, dall’Iran e dalla Corea del Nord. Perché dunque si dovrebbe limitare l’estensione della Nato? Chi lo sostiene ha altri obiettivi.
Quali?
Dividere Usa ed Europa. L’autonomia strategica dell’Europa è piuttosto irrealistica perché l’Europa è piccola con i suoi 500 milioni di abitanti e, quindi, ha bisogno dell’America e l’America ha bisogno dell’Europa. Quello che sta avvenendo oggi è che l’America non è più così grande da poter gestire due o tre fronti in contemporanea. Per cui resta pericolosissima l’idea di perseguire una autonomia difensiva post Nato, come predicato da Macron, perché sarebbe l’obiettivo della Cina: separare America ed Europa. Non mi sfugge, inoltre, che il mondo stia cambiando e che anche la guerra stia cambiando. Ma la Nato se ne è resa conto da tempo quando, ad esempio, ha analizzato due scenari bellici nuovi: lo spazio extra terrestre per il dominio dell’orbita e il condizionamento dei cervelli. Oggi però ci sono più strumenti innovativi in questo senso, per questa ragione l’Alleanza persegue il modello di una grande organizzazione, certamente con tante varietà di opinioni per capire come riuscire a fare deterrenza, ma con l’obiettivo unitario di mantenere la pace in una situazione dove la guerra possiede più strumenti per esprimersi.
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Un’alleanza di democrazie. Il segreto del successo della Nato per Minuto-Rizzo
I dodici ministri degli Esteri, tra cui il conte Carlo Sforza per l’Italia, che il 4 Aprile 1949, riuniti a Washington, firmarono il Trattato dell’Alleanza Atlantica sarebbero molto sorpresi se fossero qui. Oggi l’Alleanza ha raggiunto il numero record di 32 Paesi membri e circa quaranta partner con varie formule. In un incontro di chi scrive con la commissione Esteri della Dieta giapponese qualche anno fa, alla domanda “perché vi interessa la Nato?” la risposta fu “perché è un’organizzazione di successo”.
In passato l’Alleanza ha avuto sostenitori e avversari, ma non vi è dubbio che si sia rivelata molto efficiente. In realtà è l’unica organizzazione politico-militare al mondo in grado di operare a lunga distanza riunendo forze di Paesi anche molto diversi fra loro. Molti ne parlano, nelle contingenze attuali di crisi, ma pochi la conoscono da vicino. Di solito passa per uno strumento militare che interviene con la forza in certe occasioni controverse.
In realtà è molto di più! Parliamo di una organizzazione che unisce le grandi democrazie che si riconoscono nei valori Occidentali. È quindi una realtà innanzi tutto politica, con uno strumento militare. Ha un rapporto fra civili e militari con caratteristiche uniche per il rispetto dei ruoli di ciascuno. Non è una organizzazione internazionale in senso proprio e ha la caratteristica di agire “per consenso”. Lo abbiamo visto nella recente adesione della Svezia dove il processo non si è concluso fino a quando, la Turchia prima, l’Ungheria dopo, non hanno dato il loro assenso. In altre parole nella Nato non esiste il voto per decidere, ed è una caratteristica unica che vale la pena di sottolineare.
Anche per quanto riguarda il bilancio ci sono dei malintesi. Perché? Nel dibattito pubblico si fa spesso riferimento a percentuali del Pil da destinare alla difesa. Gli Stati Uniti, sia pure con toni diversi a seconda dell’amministrazione, spingono gli europei ad aumentare il loro contributo perché ritengono di sopportare un peso finanziario sproporzionato. Non si può comunque negare che la Nato abbia reso storicamente servizio all’Europa, che ha potuto progredire e svilupparsi nel corso dei decenni della guerra fredda, proprio per l’ombrello protettore dell’Alleanza garantito dagli Stati Uniti.
Fatta questa digressione, il bilancio della Nato è molto modesto e serve per coprire i costi delle spese comuni per la sede, il suo personale, pochi comandi e alcune attività operative comuni. In altre parole la struttura dell’Organizzazione costa poco. Cosa vuol dire? Che trattandosi propriamente di un’alleanza, sono i Paesi stessi ad assumersi i propri costi. Non vi è un importante bilancio comune, come è nel caso della Ue. Ogni Paese membro sostiene il peso di quello che effettivamente fa nel caso specifico. Non vi è alcuna dimensione sovranazionale. In questo senso Unione europea e Nato sono molto diverse, il che non vuol dire che siano disarmoniche. Anzi, con l’andare del tempo, si registrano sempre maggiori aree di convergenza, per interessi e valori comuni, tenendo conto che i membri sono quasi gli stessi.
Quale futuro? L’aumento dei Paesi rende più complesso il consenso politico data la crescente diversità. Rimane però il fatto che le democrazie alla fine finiscono per convergere su interessi comuni. Per quanto riguarda l’Italia, non si insiste mai abbastanza che il Paese che ha sempre contribuito in modo esemplare sia alle politiche che al funzionamento della Nato, il suo valore aggiunto è stato più volte dimostrato nel corso della storia. Ciò vale per le crisi balcaniche, come per l’Afghanistan e la partecipazione attiva in ogni area.
Complessivamente gli interessi italiani sono ben difesi. Vi è una dimensione di particolare interesse nazionale che è quella del Nord Africa, del Medio Oriente e dei Balcani. Proprio in questi mesi si discute seriamente su come aggiornare la strategia comune e come rinverdire i partenariati storici alla luce delle nuove realtà. Si tratta di un tema che verrà portato per decisione al prossimo vertice dell’Alleanza di Washinton nel mese di luglio.
Investimenti, partnership e IA. La ricetta di Benigni (Elt) per la cyber-security
Il tema della sicurezza informatica è fondamentale e necessario in questo momento storico, e l’obiettivo dell’architettura normativa nel quadro della cyber-security dovrà essere quello di dare una visione di lungo periodo e una strategia chiara per tutte le forze in gioco. A sottolinearlo è stata Domitilla Benigni, presidente di CY4Gate e amministratore delegato e chief operating officer di Elettronica nel corso della sua recente audizione informale davanti alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati, nell’ambito del riesame del disegno di legge sulla sicurezza informatica differenziata, il cosiddetto ddl Cyber-sicurezza, presentato dal governo.
Collaborazione pubblico-privata
Benigni è intervenuta sul tema sempre più centrale dell’intelligenza artificiale “risorsa indispensabile per la sicurezza nazionale”, in particolare sull’articolo 7 contenuto nel Ddl, che interviene sulla materia delle partnership pubblico-privato e definisce il ruolo dell’Agenzia per la cybersecurity nazionale (Acn) nazionale) nella valorizzazione dell’IA. Benigni ha auspicato “un’estensione di questa collaborazione a tutti gli altri aspetti della cybersecurity dove il pubblico, in particolare l’Acn, ha un ruolo chiave di indirizzo e guida e le aziende possono esprimere capacità tecnologica ed umana”.
Spingere sull’IA
I benefici di questa collaborazione, ha sottolineato ancora la manager di Elt Group, sono evidenti innanzitutto “nella capacità di gestione degli incidenti e delle crisi, laddove si auspica che siano condivisi ancora di più obiettivi quali lo sviluppo di ulteriori tecnologie e competenze per la gestione delle minacce”. Sul tema, inoltre, ha anche auspicato un allargamento del partenariato privato anche alle Pmi e al mondo dell’università e della ricerca. Sempre in materia di intelligenza artificiale, secondo Benigni il Paese può puntare alla leadership tecnologica nel settore, in un ambito “dove siamo stati precursori con un regolamento europeo, ma dove dobbiamo spingerci oltre, investendo e mobilitando ogni risorsa e competenza per realizzare l’IA”.
Il capitale umano
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare per Benigni è quello delle competenze: “Dobbiamo essere in grado, come sistema-Paese, di esprimere un potenziale di competenze in grado di colmare l’enorme gap tra domanda e offerta creatosi nel dominio cibernetico”. Per affrontare questa sfida, ha continuato l’ad di Elettronica, servono “piani strutturati e politiche di incentivazione che mirino ad un ampio coinvolgimento delle donne e dei giovani e agevolino l’accesso al lavoro nel dominio cyber anche a chi risiede in aree del Paese caratterizzate da basso tasso di industrializzazione e minor presenza di Istituzioni pubbliche con esigenze di competenze cyber.”
Servono gli investimenti
Benigni è anche intervenuta sull’articolo18 del Ddl, sull’invarianza di bilancio. In questo senso, per la manager, c’è la necessità di “uno stanziamento di risorse finanziarie aggiuntive, considerando che quelle già destinate non sono sufficienti a colmare i fabbisogni connessi alle esigenze di tutela degli interessi strategici della nazione”. Nonostante nel 2023 sia aumentato dello 0,12% il rapporto tra la spesa cybersecurity e il Pil italiano, infatti, il nostro Paese rimane ancora fanalino di coda nel G7 in materia di investimenti in cybersecurity.
7 ottobre 2023 – 7 aprile 2024. Sei mesi di morte e distruzione
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della redazione
Pagine Esteri, 7 aprile 2024 – Sono passati sei mesi dall’attacco di Hamas nel sud di Israele e dall’inizio dell’offensiva militare dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza. Israele non mostra alcun segno di fermarsi e i colloqui in Egitto e Qatar non indicano ancora alcuna possibilità di un cessate il fuoco definitivo. La guerra a Gaza, dice Israele, è una rappresaglia per gli attacchi sul suo territorio da parte di gruppi armati, guidati dalle Brigate Qassam di Hamas, che hanno ucciso circa 1.200 persone e ne hanno fatte prigioniere circa 250. Ma il costo di questa ritorsione senza fine è stato eccezionalmente alto per tutta la popolazione di Gaza.
Almeno 33.137 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti aerei e dall’offensiva di terra di Israele, riferisce il Ministero della Sanità di Gaza. Altre migliaia di persone risultano disperse e si presume siano morte sotto le macerie di case ed edifici distrutti.
Bambini e donne costituiscono la stragrande maggioranza delle persone uccise. Save the Children denuncia che sono stati uccisi più di 13.800 bambini. La Mezzaluna Rossa Palestinese afferma che circa 1.000 bambini hanno perso una o entrambe le gambe. L’UNICEF stima che almeno 17.000 minori palestinesi siano attualmente non accompagnati o siano stati separati dai loro genitori. Migliaia sono gli orfani. Oltre 75 mila persone sono rimaste ferite e non possono essere assistite perché il sistema sanitario di Gaza è in gran parte distrutto o danneggiato.
La situazione umanitaria a Gaza è peggiorata notevolmente nel 2024 poiché l’esercito israeliano limita l’arrivo degli aiuti alla popolazione, in particolare nel nord della Striscia. L’Unrwa, la principale e meglio organizzata delle agenzie delle Nazioni Unite che operano a Gaza, non riesce a svolgere il suo ruolo perché boicottata e ostacolata da Israele che la accusa di essere “collusa” con Hamas. 2,3 milioni di persone, perciò, rischiano la fame: l’Onu avverte che la carestia si diffonderà in varie parti di Gaza entro maggio. Una trentina di persone, in prevalenza neonati e bambini, sono già morte per disidratazione e malnutrizione. Diverse organizzazioni e centri per i diritti umani accusano Israele di usare la fame come arma di guerra.
La condizione degli sfollati, l’80% della popolazione, è drammatica. L’esercito israeliano ha intimato agli abitanti del nord della Striscia di andare al sud già all’inizio dell’offensiva di terra. Da allora nessuno è più stato in grado di tornare alle proprie case poiché l’esercito israeliano ha creato un corridoio militare che da est e ovest taglia a metà la Striscia. La maggior parte degli sfollati si trova in installazioni delle Nazioni Unite come scuole e ospedali o in tendopoli a Rafah, la città più meridionale di Gaza, al confine con l’Egitto, che Israele minaccia di invadere come le altre città palestinesi, allo scopo, afferma il premier Netanyahu di eliminare “l’ultimo bastione di Hamas”. Molti degli sfollati vivono in strada o e in edifici distrutti solo in parte.
Gli attacchi aerei, di terra e anche dal mare hanno danneggiato o distrutto circa il 62% di tutte le case di Gaza lasciando più di un milione di persone senza un tetto. Ad oggi ci sono 26 milioni di tonnellate i detriti e le macerie che dovranno essere rimosse prima di poter avviare la ricostruzione se e quando terminerà la guerra. I danni stimati dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite sono di 18,5 miliardi di dollari. Colpite anche le infrastrutture pubbliche. Oltre al nord, i danni più gravi si registrano nel capoluogo Gaza city e a Khan Younis, nel sud, dove gli attacchi israeliani hanno distrutto migliaia di case e infrastrutture civili. Otto scuole su dieci a Gaza sono danneggiate o distrutte. Oltre 625mila studenti non hanno accesso all’istruzione.
Solo 10 dei 36 ospedali, cliniche e centri sanitari sono in grado di funzionare parzialmente, in condizioni di eccezionale difficoltà. La maggior parte dei pazienti non può ricevere ricevere cure adeguate per la carenza di medicine e attrezzature e per la stanchezza degli operatori sanitari esausti dopo sei mesi di lavoro incessante. Molte operazioni e amputazioni sono state eseguite senza anestesia. Di recente, un assedio durato due settimane dentro e intorno all’ospedale Shifa di Gaza city, il più grande di Gaza, ha lasciato il complesso sanitario in gran parte distrutto. L’esercito israeliano ha ucciso almeno 400 persone nello Shifa durante l’assedio e ne ha arrestate altre centinaia.
Infine gli attacchi militari hanno ucciso il maggior numero di operatori dell’informazione di qualsiasi conflitto moderno. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti stima in 90 il numero di reporter e cameraman uccisi. L’Ufficio stampa governativo di Gaza parla di 140 giornalisti uccisi. Pagine Esteri
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Si legge ovunque delle preoccupazioni di Israele relative a un probabile attacco iraniano. Gli Usa stanno in ogni modo cercando di esacerbare i toni rilanciando minacce a destra e sinistra qualora dovesse arrivare una risposta da parte dell'Iran.
Questo accade dopo che Israele ha deciso di bombardare l'ambasciata Iraniana in Siria, una roba gravissima sia dal punto di vista del diritto internazionale sia dal punto di vista simbolico. In questo caso servirebbe una netta condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per questo atto, ma come spesso accade, quando c'è da proteggere Israele, gli Usa si oppongono con tutte le loro forze. Infatti si sono opposti a una bozza di risoluzione proposta dalla Russia la quale condannava questo attacco e la violazione della sovranità di un Paese.
Solo una volta nel corso della storia è successa una cosa simile, fu quando nel 1999, durante i bombardamenti in Jugoslavia da parte della Nato, gli Usa bombardarono l'ambasciata Cinese senza alcuna motivazione valida. Resta il fatto che la propaganda sta concentrando tutti i suoi sforzi su una potenziale risposta da parte dell'Iran dimenticando del perché questa risposta potrebbe arrivare. Hanno già messo le mani avanti riportando a reti unificate la propaganda sionista, la quale recita che qualora venissero attaccati dall'Iran, avrebbero il diritto di difendersi. Immaginate se qualcuno avesse bombardato un'ambasciata Usa. Chi avrebbe avuto il diritto di difendersi? Gli Usa o chi li ha attaccati?
Ovviamente nessuna menzione sul fatto che l'unico Paese, in questa specifica situazione, che eserciterebbe il diritto di difendersi, sarebbe proprio l'Iran. Tutto ciò perché è stato deliberatamente attaccato da Israele. Preparano il terreno per giustificare un'eventuale contro risposta israeliana facendo in modo che qualora dovesse accadere quanto sopra riportato, avrebbero campo libero per venirci a raccontare del "diritto di Israele di difendersi". Israele, l'ho sempre detto, è uno dei paesi più furbi e subdoli al mondo, tanto che li ho sempre definiti le "stelle e strisce del Medio Oriente". Infatti anche la mossa di chiudere una trentina di ambasciate all'estero, tra cui anche quella in italia, sventolando il pericolo Iran, lo dimostra ampiamente e serve solo ed esclusivamente per alimentare la propaganda.
L'azione israeliana di bombardare l'Iran serve per due motivi, il primo perché a Gaza hanno fallito su tutti i fronti: militare, tattico, strategico, umanitario e hanno perso faccia e quel piccolissimo pizzico di credibilità che ancora avevano. Il secondo perché a fronte di quanto precedentemente espresso, hanno bisogno come il pane di tirare dentro gli Stati Uniti d'America e allargare la guerra. Nel caso dovesse intervenire l'Iran, gli Usa non potrebbero stare a guardare perché sarebbe seriamente a rischio la loro influenza nell'area proprio perché la minaccia su Israele, che è una specie di pentagono o base della Cia in Medio Oriente, stavolta diventerebbe concreta.
Questa vicenda è la fotografia di come si è sempre comportato Israele, di ciò che ha sempre fatto e di come venga rigirata la frittata per consentire a questi criminali di dettare legge in Medio Oriente per salvaguardare gli interessi degli Stati Uniti d'America. Israele provoca, bombarda in barba a qualsiasi legge, occupa territori, pratica apartheid e quando gli rispondono esercitando realmente il diritto di autodifesa, allora quei quattro fanatici messianici danno il via alla carneficina dicendoci che devono difendersi. Vi rendete conto di cosa sono, vero? Oltre che veri terroristi, questi sono un pericolo per il mondo intero. Perché pur di rimanere lì per fare gli interessi a stelle e strisce, gli stanno consentendo di fare tutto, a partire da una pulizia etnica e finire con bombardamenti deliberati ovunque ne abbiano voglia. Salvo poi fare le vittime...
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T.me/GiuseppeSalamone
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ECUADOR. La polizia irrompe nell’ambasciata messicana
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Nella notte tra venerdì e sabato la polizia ha fatto irruzione nell’ambasciata messicana a Quito, in Ecuador, portando via con la forza l’ex vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, che aveva chiesto asilo politico nella sede diplomatica.
“Quello che è appena accaduto è un oltraggio al diritto internazionale e all’inviolabilità dell’ambasciata messicana in Ecuador. Totalmente inaccettabile”. È la barbarie. Non è possibile che violino i confini diplomatico come hanno fatto. È vergognoso per uno stato”, ha detto dichiarato Roberto Canseco, ambasciatore incaricato.
“Mi hanno picchiato. Sono stato colpito mentre ero a terra. Ho fisicamente cercato di impedire loro di entrare. Hanno fatto irruzione come criminali nell’ambasciata messicana in Ecuador. Questo non è possibile. Non può essere. È pazzesco”, ha aggiunto Canseco.
Proprio ieri le tensioni tra i due Paesi avevano raggiunto l’apice. A seguito di alcune dichiarazioni del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador in merito alle ultime elezioni in Ecuador, il presidente Noboa ha dichiarato l’ambasciatore messicano “persona non gradita”.
Jorge Glas, condannato per casi di corruzione, è rimasto all’interno dell’ambasciata messicana a Quito dal 17 dicembre 2023 al momento del raid.
Aveva due ordini di arresto, uno dei quali legato ad un processo per peculato.
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Ecco la vista più dettagliata (finora) sulla storia dell'Universo in espansione l AstroSpace
"I risultati confermano le basi del modello cosmologico standard dell’Universo, e forniscono uno sguardo senza precedenti sulla natura dell’energia oscura e sui suoi effetti sulla struttura su larga scala dell’Universo."
Ministero dell'Istruzione
A 15 anni dal tragico terremoto che il #6aprile del 2009 colpì #LAquila e i territori limitrofi il pensiero del #MIM è rivolto alle 309 vittime di quella notte, ai familiari e a tutte le persone coinvolte.Telegram
CINA. Rottamazione di macchinari e automobili, il piano di Pechino per sostenere la crescita
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di Michelangelo Cocco
Pagine Esteri, 6 aprile 2024 – Il Consiglio di stato di Pechino ha avviato una campagna nazionale per incoraggiare un massiccio aggiornamento di macchinari e attrezzature e la sostituzione di beni durevoli obsoleti, un progetto definito “strategico” che, nelle intenzioni dichiarate dal governo della Rpc, dovrebbe sostenere l’economia (nel 2024 si punta a una crescita del Pil del 5 per cento), le imprese e le famiglie.
Il piano annunciato dall’esecutivo prevede l’aumento del 25 per cento entro il 2027 (rispetto al valore del 2023) degli investimenti in macchinari e attrezzature per l’industria, l’agricoltura, l’edilizia, i trasporti, l’istruzione, la cultura, il turismo e l’assistenza medica.
Il sostegno (fiscale e finanziario) del governo punterà anche all’accelerazione della sostituzione dei beni durevoli, a cominciare dalle automobili (BYD ha al momento cinque modelli in vendita a meno di 100.000 RMB, equivalenti a meno di 13.000 euro). Entro il 2027 dovrebbe raddoppiare il tasso di rottamazione degli autoveicoli e aumentare del 30 per cento quello di sostituzione degli elettrodomestici.
Secondo le stime della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (Ndrc), la sostituzione di macchinari e attrezzature potrebbe creare un mercato di oltre 5.000 miliardi di RMB all’anno (circa 704,19 miliardi di dollari USA). Insomma una soluzione per sostenere la domanda interna nel medio periodo, che tuttavia non affronta le cause della sua debolezza, tra le quali spiccano le disuguaglianze sociali e la scarsa fiducia degli imprenditori privati nelle prospettive dell’economia nazionale.
Secondo le stime della Banca centrale, il programma varato dal Consiglio di stato farà aumentare la domanda di automobili ed elettrodomestici rispettivamente di 629,3 miliardi di RMB e 210,9 miliardi di RMB e contribuirà a una crescita del Pil che potrà oscillare tra gli 0,16 e gli 0,5 punti percentuali.
Il governo di Pechino lanciò un’iniziativa simile durante la crisi finanziaria del 2008, rendendo elettrodomestici come televisori e frigoriferi più accessibili ai consumatori delle aree rurali, attraverso massicci sussidi, riuscendo in tal modo a compensare con l’aumento della domanda interna la riduzione delle esportazioni.
Secondo i dati della Banca centrale, i 40 miliardi di RMB di sussidi di allora stimolarono la crescita del Pil di 0,33 punti percentuali nel 2010 e di 0,32 nel 2011.Pagine Esteri
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AFRICA. Trent’anni fa, il genocidio in Ruanda
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di Geraldina Colotti
Pagine Esteri, 6 aprile 2024 – L’aereo privato su cui il 6 aprile 1994 viaggiavano il presidente ruandese Juvenal Habyarimana e il suo omologo burundese, Cyprien Ntaryamira – un jet Falcon 50 regalo del primo ministro francese, Jacques Chirac – fu abbattuto da un missile mentre stava atterrando all’aeroporto di Kigali, capitale del Ruanda. Insieme ai due presidenti, di etnia hutu, morirono anche il capo dell’esercito ruandese e i 12 passeggeri. Tempo prima, Habyarimana aveva chiesto aiuto all’allora presidente di Francia, François Mitterrand per far fronte all’offensiva tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr), che attaccava dall’Uganda.
La Francia era il grande alleato di Habyarimana, figlio di una ricca famiglia hutu, andato al potere con un colpo di stato nel 1973: lo considerava un baluardo contro le mire espansionistiche statunitensi nella regione. Parigi sosteneva il governo degli hutu contro il “complotto anglofono” che, dall’Uganda, intendeva creare un “Tutsi-land” di lingua inglese che ne riducesse l’influenza. Per questo, dal 1990, intervenne per fermare l’avanzata dei tutsi e si adoperò per armare e addestrare l’esercito ruandese. Nel 1993, sotto l’egida delle Nazioni unite, erano stati firmati gli Accordi di Arusha tra il Fpr e Habyarimana, contestato anche all’interno dell’hutu power per aver assunto un atteggiamento più moderato.
L’abbattimento dell’aereo, attribuito ai tutsi, innescò 100 giorni d’inferno. Fino al 19 luglio, quando il Fronte Patriottico Ruandese, guidato da Paul Kagame, prese il potere, venne massacrato circa un milione di tutsi, e anche di hutu moderati: un genocidio, durante il quale il mondo rimase a guardare. Si può valutare la proporzione del massacro, considerando che il Ruanda, piccolo stato dell’Africa centrale che si trova nella regione dei Grandi Laghi. è un territorio poco più grande della Sicilia. Allora era abitato da circa 7,5 milioni di persone, appartenenti a tre gruppi etnici: i Twa (circa l’1% della popolazione), di ceppo pigmoide, gli hutu (tra l’85 e il 90%), provenienti dal ceppo bantù, e i tutsi o watussi (meno del 14%), del ceppo nilotico.
Quello che venne descritto come la conseguenza incontrollata di un odio interetnico (quindi dell’incapacità dei popoli africani di governarsi da soli), fu invece principalmente un retaggio della dominazione coloniale (e anche dell’”evangelizzazione”), alimentato ad arte nel contesto dello scontro fra potenze per la rapina del continente dopo la caduta del muro di Berlino.
foto wikimedia commons
Come hanno provato documenti declassificati, l’Operation Turquoise, ufficialmente una missione “umanitaria” francese per proteggere i propri cittadini, servì a coprire (o a foraggiare) l’azione di due gruppi paramilitari principalmente responsabili del massacro, le milizie Interahamwe e gli Impuzamugambi. Nonostante l’allarme sull’incombere del genocidio, preparato dagli incitamenti all’odio razziale lanciati dalla Radio delle Mille Colline, fossero già arrivati alle istituzioni internazionali, nulla di tutto questo giunse, pare, sulla scrivania dell’allora presidente socialista François Mitterrand.
Eppure la Francia, unica potenza oltre agli Usa a mantenere una forte influenza sul continente africano anche dopo la caduta dell’Urss, dal 1959 aveva firmato oltre 60 accordi di cooperazione militare che interessavano 24 nazioni. Otto di questi accordi, obbligavano Parigi a intervenire qualora avesse riscontrato una minaccia. Un potere di cui la Francia, tra il 1959 e il 1996, ha fatto uso per 28 volte: 14 per difendere i governi in carica da “minacce interne”, 7 per “aggressioni esterne”, e 7 per “motivi umanitari”, come l’Operation Turquoise, o nel quadro di operazioni multilaterali.
I prodromi del genocidio in Ruanda vanno rintracciati nella spartizione dell’Africa e nelle conseguenze prodotte dalla creazione di frontiere artificiali decise alla Conferenza di Berlino del 1885; e nell’imposizione di concetti politici, istituzioni e norme sociali tarate su visioni esterne, avulse dalle strutture preesistenti nel continente africano.
Come hanno rilevato diversi storici africani (Ki-Zerbo, M’Bokolo, Kagabo…), e come si ricava dalle testimonianze dei primi esploratori europei, popolazioni appartenenti a differenze etnie convivevano all’interno di società feudali dotate di strutture anche sofisticate, condividendo usanze e religioni. Come hanno analizzato, in Italia, gli studi di Michela Fusaschi (ripresi anche da Alberto Sciortino), la società ruandese della cosiddetta epoca dei regni (tra il XV e il XVI secolo) mostrava una complessa scala gerarchica del potere.
Al vertice c’era un mwami, che regnava mediante famiglie vassalle tutsi a cui distribuiva la terra. I capi del suolo e del bestiame esistenti in ogni provincia erano sia hutu che tutsi. Il re, che possedeva tutto il bestiame e tutto il suolo, era anche garante dell’unità del popolo, mentre un collegio di abiiru, a sua volta composto sia da hutu che da tutsi, garantiva la trasmissione delle funzioni reali. Nel vicino Burundi, altro teatro del genocidio di trent’anni fa, non c’era scontro tra pastori e contadini per l’uso della terra, erano diffusi i matrimoni misti fra hutu e tutsi, e gli stessi tutsi erano divisi al loro interno in due classi sociali.
foto di Gil Serpereau
Dopo la Conferenza di Berlino, chiamata a dirimere forti rivalità fra potenze coloniali per il controllo delle risorse, ai regni del Ruanda e dell’Urundi (come veniva chiamato allora l’odierno Burundi) toccò essere dominati dal colonialismo tedesco. I diversi livelli di accettazione o resistenza ai regimi coloniali avranno la loro influenza anche in futuro quando, durante la Prima guerra mondiale, con un mandato dell’allora Società delle Nazioni, Ruanda e Urundi verranno poi consegnati al Belgio, nel 1919.
Le potenze coloniali, specialmente l’impero britannico, usavano un sistema amministrativo di governo indiretto per dominare i popoli sottomessi mediante le loro istituzioni. A differenza dei tedeschi che avevano sostanzialmente lasciato inalterato sia il potere tradizionale che la gerarchizzazione sociale ruandese in cambio dell’accettazione del loro Protettorato, i belgi applicarono a modo loro l’indirect rule: senza delegare completamente neanche una parte del governo locale ai capi tradizionali, si riservarono di ratificare ogni decisione.
Occorre ricordare che, nel 1885, il re Leopoldo II del Belgio era riuscito a impossessarsi del Congo, un territorio immenso grande 76 volte il Belgio, rendendosi protagonista del genocidio di circa 10 milioni di persone nell’arco di un ventennio. Uno sterminio abilmente mascherato sotto la patina della ricerca scientifica, del progresso e della filantropia, e della lotta ai mercanti di schiavi arabi.
Dieci anni dopo la morte di Leopoldo II, con il mandato fiduciario ricevuto dalla Società delle Nazioni, il Belgio si trovò ad amministrare sia l’allora Congo belga che i due piccoli regni di Ruanda e Urundi, unificati sotto il comando di un Governatore generale e di un Consiglio generale con sede a a Bujumbura, odierna capitale del Burundi.
Fu l’amministrazione coloniale belga a dare una connotazione etnica alle differenze sociali fra tutsi e hutu. E fu sempre il colonialismo a usare quelle disuguaglianze per fini politici, sia nella fase dell’indipendenza che in quella successiva. Dal 1928, venne imposta e istituzionalizzata la superiorità del gruppo tutsi, anche attraverso gli insegnamenti nelle scuole “d’elite” gestite dai missionari, orientati a convertire quelle élite per “convertire l’intero Ruanda”. I contadini hutu erano sottoposti al lavoro forzato.
Gli archivi di quel periodo riportano alcune dichiarazioni del vescovo francese Léon Classe, il quale, nel 1930, manifestava il timore che, se il governo belga avesse eliminato “la casta tutsi”, questo avrebbe portato il paese “verso l’anarchia e il comunismo odiosamente antieuropeo”. Alla fine degli anni Venti sulle carte di identità comparve allora l’appartenenza etnica. Dove l’aspetto non consentiva una distinzione sicura, si decise che chi possedeva più di dieci vacche veniva catalogato tutsi, chi ne aveva meno, era hutu.
Nel mix di oppressione di classe e oppressione coloniale, la crisi economica mondiale, iniziata nel 1929, esacerbò le contraddizioni anche in Ruanda e in Burundi. Per evitare che le aspirazioni indipendentiste incendiassero le élite tutsi, più istruite, le autorità coloniali pigiarono sul pedale delle differenze etniche cambiando le pedine. E appoggiarono gli hutu nell’esplosione sociale del 1959, che porterà all’indipendenza del 1962.
foto di Pierre-Yves Beaudouin / Wikimedia Commons / CC BY-SA 4.0
La prima rivolta dei contadini hutu, nel 1959, trovò base in un “manifesto”, redatto da un gruppo di intellettuali vicini alla chiesa cattolica, anch’essa dedita a una svolta “politica”. Un testo che costituirà poi, con successivi aggiornamenti, un punto di partenza per le politiche di repressione contro i tutsi. In quella temperie, gli hutu formarono il Mouvement Démocratique Républicain, Parti pour l’émancipation du Peuple Hutu, e l’Association pour la Promotion de la Masse, che avevano come obiettivo principale quello di liberarsi dall’oppressione interna.
I tutsi fondarono l’Union National du Rwanda (che appoggiava la monarchia, ma si definiva di orientamento marxista) e il Rassemblement Démocratique du Rwanda, la cui priorità era la lotta di liberazione anticoloniale.
Allora, nel contesto del mondo diviso in due blocchi, una gran parte d’umanità si organizzava dietro le bandiere del comunismo e alimentava le speranze della rivoluzione bolscevica del 1917. Fra il 13 marzo e il 7 maggio del 1954, l’esercito popolare vietnamita, guidato dal mitico generale Vo Nguyen Giap, aveva sconfitto le forze coloniali francesi nella battaglia di Ðiện Biên Phủ.
Una vittoria che determinò la fine del dominio francese in Indocina e pesò sugli accordi di pace firmati durante la conferenza di Ginevra il 21 luglio del 1954. Una vittoria di importanza storica, che ha simboleggiato la sconfitta irreversibile del colonialismo occidentale nel cosiddetto Terzo mondo. E in quell’anno cominciò anche la guerra di liberazione algerina, condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale (Fln).
Il vento delle indipendenze stava spirando con forza, influenzato dal contesto della “guerra fredda” fra Stati Uniti e Unione sovietica. Il colonialismo belga cercava di interferire nelle spinte indipendentiste, e di pesare, imponendo il modulo già usato dalla Francia con Haiti. Nel 1804, Haiti diventò la prima repubblica di schiavi liberi. Uno schiaffo a cui la Francia, per “compensare” la perdita di entrate determinate dal suo sistema schiavista e dalle piantagioni di zucchero e caffè, rispose imponendo alla repubblica, sotto la minaccia di un intervento armato, un debito di 150 milioni di franchi d’oro, equivalente al bilancio annuale della Francia dell’epoca.
Il governo haitiano dovette persino chiedere in prestito denaro alle banche francesi, pagando un alto tasso di interesse, riuscendo a saldare il “debito” solo intorno al 1950, a scapito del proprio sviluppo interno. Anche il Congo, la cui indipendenza diventerà effettiva il 30 giugno del 1960, sarà obbligato a pagare il debito estero del Belgio e a rimborsare un prestito mai ricevuto, in cambio dell’indipendenza. E il grande Patrice Lumumba, dirigente anticolonialista e Primo ministro della Repubblica democratica del Congo verrà ucciso nel 1961 con la complicità dell’ex potenza coloniale.
Ruanda e Burundi divennero indipendenti nel 1962. Tra il 1959 e il ’62, circa 500.00 tutsi vennero obbligati a fuggire, prevalentemente in Uganda, dove prese forma il Fronte Patriottico Ruandese, composto da tutsi e hutu moderati. Da allora, la dominazione coloniale nel continente africano continuò con altre forme.
Il dopo ’89 ha fatto emergere nuove rivalità fra potenze e nuovi intrecci di interesse. A distanza di trent’anni, il genocidio in Ruanda resta un “paradigma”. Nel 2006, la parlamentare statunitense, Cynthia Mc Kinney, che fu inviata speciale del presidente Bill Clinton in Africa, dichiarò in una intervista: “Quanto successo in Ruanda non è un genocidio pianificato dagli hutu. È un cambiamento di regime. Un colpo di stato terrorista perpetrato da Kagame con l’aiuto di forze straniere. Scrissi personalmente a Bill Clinton per dirgli che la sua politica era un fallimento in Africa”.
Il 6 aprile del 1992, con la “guerra umanitaria” contro l’allora Jugoslavia era iniziato il processo di “balcanizzazione del mondo”, che avrebbe visto il ruolo dei media e degli apparati ideologici di controllo occidentale, attori sempre più presenti nei conflitti. Il genocidio in Ruanda, preparato a lungo nei circoli di potere e alimentato dai media che hanno soffiato sul conflitto etnico, appare oggi come un “laboratorio” di quella strategia del “caos controllato” con cui l’imperialismo costellerà di massacri il sud globale.
Il 15 luglio del 2024, in Ruanda – un paese dove almeno il 40% della popolazione è povero – vi saranno le elezioni presidenziali. Paul Kagame, che guida il Fronte Patriottico Ruandese dalla vittoria armata del 1994, si candida per il quarto mandato consecutivo, dopo aver vinto le elezioni nel 2003, nel 2010 e nel 2017 con oltre il 90% dei voti. Nell’ambito degli accordi per inviare i migranti in Ruanda, all’inizio dell’anno Kagame ha incontrato anche il premier israeliano Netanyahu: per accogliere migliaia di palestinesi cacciati dalla Striscia di Gaza, previo un generoso finanziamento. “Non c’è altra soluzione per i residenti di Gaza se non l’emigrazione – hanno affermato i rappresentanti di Israele -. Non hanno nessun posto dove tornare oggi. Gaza è distrutta e non ha futuro perché rimarrà così”.
Il Ruanda sta vivendo un boom nel settore edile, a prezzo dell’espulsione massiccia della popolazione povera dalle vecchie abitazioni, ma deve far fronte a una carenza di manodopera. L’arrivo di migliaia di palestinesi viene quindi visto come una possibile soluzione. Anche il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby, a sua volta in ottimi rapporti con Tel Aviv, ha mostrato attenzione alla proposta. Il Ciad, la cui popolazione è musulmana sunnita per il 60%, ha stabilito relazioni diplomatiche con Israele nel 2019 e Benjamin Netanyahu si è recato lì per l’occasione. Nel febbraio dello scorso anno è stata la volta del presidente ciadiano di ricambiare, recandosi in Israele.
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Perché Israele non riconosce la Palestina come nazione?
A Israele non stanno bene i confini attuali. Riconoscere lo stato arabo significherebbe rinunciare a tutte le mire territoriali attuali. A tornare nei confini originali del 1948. E questo a loro non conviene. Questo è il motivo per cui alimentano e coccolano il terrorismo, come se fosse l'unico strumento per mantenere questo stato di guerra perenne, che permette, poco alla volta, di continuare a strappare territori. E intanto sfoltire la popolazione locale. La decimazione. Ma anche peggio… ben oltre il 10%. Questo fa israele da 50 anni. E la cosa davvero triste è per quanto cinico sta pure funzionando. E' il tipo caso in cui dai una mano a qualcuno e quello si prende l'intero braccio. Appena i locali impazziscono e fanno lo stesso ecco la giustificazione per altre violenze. Se stanno buoni e zitti succede lo stesso. L'esistenza di israele non può più essere messa in discussione, ma la loro politica ovviamente si. E dubito che sia essere antisemiti. Gli israeliani sono in parte di etnia semita, come i palestinesi, quindi essere antisemiti significa anche essere contro i palestinesi. Anche chi è contro i palestinesi è antisemita. E gli israeliani sono essi stessi anti-semiti. Personalmente la parte israeliana che trovo più difficile giustificare moralmente sono i "coloni". ma la loro risposta agli USA è stata "Ma voi lo avete fatto con i pellerossa…" quindi sanno quello che stanno facendo. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni. A Israele non stanno bene i confini attuali. Riconoscere lo stato arabo significherebbe rinunciare a tutte le mire territoriali attuali. A tornare nei confini originali del 1948. E questo a loro non conviene. Questo è il motivo per cui alimentano e coccolano il terrorismo, come se fosse l'unico strumento per mantenere questo stato di guerra perenne, che permette, poco alla volta, di continuare a strappare territori. E intanto sfoltire la popolazione locale. La decimazione. Ma anche peggio… ben oltre il 10%. Questo fa israele da 50 anni. E la cosa davvero triste è per quanto cinico sta pure funzionando. E' il tipo caso in cui dai una mano a qualcuno e quello si prende l'intero braccio. Appena i locali impazziscono e fanno lo stesso ecco la giustificazione per altre violenze. Se stanno buoni e zitti succede lo stesso. L'esistenza di israele non può più essere messa in discussione, ma la loro politica ovviamente si. E dubito che sia essere antisemiti. Gli israeliani sono in parte di etnia semita, come i palestinesi, quindi essere antisemiti significa anche essere contro i palestinesi. Anche chi è contro i palestinesi è antisemita. E gli israeliani sono essi stessi anti-semiti. Personalmente la parte israeliana che trovo più difficile giustificare moralmente sono i "coloni". ma la loro risposta agli USA è stata "Ma voi lo avete fatto con i pellerossa…" quindi sanno quello che stanno facendo. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni.Ma chi conosce chi vive sul posto sa cosa sta succedendo. Diciamo che gli invasori israeliani non si comportano come i romani 2000 anni fa.
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rag. Gustavino Bevilacqua reshared this.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta dei laboratori digitali per la #scuola 4.0 e delle attività di mentoring contro la dispersione scolastica all’IIS Lazzaro Spallanzani di Castelfranco Emilia e all’IC Sassuolo 4 Ovest di Sassuolo, grazie ai …Telegram
Il Consiglio per il commercio e la tecnologia Ue-Stati Uniti porta buoni frutti. Ma ora è in pausa per le rispettive elezioni
Il punto sui principali dossier prima delle rispettive elezioni alla sesta riunione del Consiglio per il commercio e la tecnologia Ue-Stati UnitiFederico Baccini @federicobaccini (Eunews)
Sdh - A Mickey Finn at the Nemo Point Hotel
Veniamo dunque a quelli che la band stessa definisce gli ingredienti: si comincia con due pezzi fragorosi in stile Touch and Go come The Ponytail e Nothing Keep You Sound, per passare poi a Shut Up!
@Musica Agorà
iyezine.com/sdh-a-mickey-finn-…
Sdh - A Mickey Finn at the Nemo Point Hotel
L'ultima volta che io e il mio socio abbiamo passato in radio gli Sdh, mi chiesi piuttosto oziosamente quali fossero le parole che si nascondono dietro l'acronimo, la sigla Sdh.In Your Eyes ezine
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Il procuratore Gratteri :“dark web, la nuova frontiera della mafia
Al Palazzo di Vetro dell’ONU, giovedì 4 aprile si è tenuta la conferenza: “Le sfide imposte dalla criminalità organizzata nell’era dell’intelligenza artificiale e di internet”, promossa dalla Fondazione Magna Grecia, in collaborazione con la Rappresentanza Permanente d’Italia alle Nazioni Unite. Partecipava un relatore d’eccezione: il magistrato Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica a Napoli. Con lui anche il Prof. Antonio Nicaso, esperto accademico di criminalità organizzata alla Queen’s University in Canada, Ronald J. Clark, CEO di Spartan Strategy & Risk Management e anche vice sottosegretario per la Protezione Nazionale presso il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Arthur J. Gajarsa, giudice di circoscrizione della Corte d’Appello del Circuito Federale degli Stati Uniti (R.E.T.), il magistrato Antonello Colosimo, presidente della Camera Regionale dei Conti, l’on. Saverio Romano, parlamentare italiano e presidente della Commissione per le semplificazioni e l’on Giorgio Silli, Sottosegretario agli Esteri.
Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, ha aperto i lavori presentando la sua fondazione che opera da 40 anni.
Il Prof. Nicaso ha detto che soprattutto la mafia italo-americana, quelle “delle cinque famiglie newyorchesi, sta scomparendo proprio per la sua lentezza nell’adattarsi, rispetto alle altre mafie nel mondo, all’utilizzo del web”.
Gratteri ha parlato di “dark web, la nuova frontiera della mafia e quindi anche dell’antimafia”. Gratteri ha sottolineato che mentre le mafie si muovono velocemente, le istituzioni rimangono indietro nel contrasto all’uso delle nuove tecnologie. Con la “forte accelerazione delle mafie all’interno del #darkweb, queste sono in grado di fare transazioni per tonnellate di cocaina, armi da guerra, prostituzione, commerciano in oro, comprano isole…”. “L’Italia negli ultimi dieci anni ha fatto passi indietro rispetto a paesi come Germania, Olanda e Belgio, che ora devono aiutarci e ci passano informazioni”.
👉 lavocedinewyork.com/onu/2024/0…
Nicola Gratteri all’ONU e la sfida alle mafie armate con Intelligenza artificiale
Dal pizzino all’Intelligenza artificiale? Dalla lupara ai droni? La mafia che non si accontenta di sopravvivere nel XXI secolo maStefano Vaccara (La Voce di New York)
Weekly Chronicles #70
Questo è il numero #70 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era Digitale: sorveglianza di massa e privacy, sicurezza dei dati, nuove tecnologie e molto altro.
Cronache della settimana
- Il Chatcontrol si farà
- CBDC: dalla Germania arrivano le linee guida tecniche
- Anche le cuffiette diventano strumento di sorveglianza passiva
Lettere Libertarie
- La favola dei diritti
Rubrica OpSec
- Come scovare le telecamere nascoste
Il Chatcontrol si farà
Dopo un tira e molla durato anni, è arrivata la notizia: il Chatcontrol si farà, e il testo sarà più o meno quello originale — cioè il peggiore. Per chi fosse arrivato da poco su queste pagine, o per chi avesse bisogno di una rinfrescata alla memoria, sto parlando di un prossimo regolamento europeo (Chatcontrol per gli amici) che catapulterà l’Unione Europea direttamente nell’Olimpo della sorveglianza di massa; più di Cina e Stati Uniti messi insieme.
Il Chatcontrol è lo strumento con cui l’Unione Europea dice di voler combattere la diffusione di materiale pedopornografico online. In realtà l’idea arriva da più lontano e neanche dall’UE, ma da un accordo internazionale siglato dai Five Eyes. Ma di questo, ne ho già parlato.
Per combattere la diffusione di materiale pedopornografico obbligheranno le piattaforme online e i servizi di comunicazione a sorvegliare attivamente tutto il traffico, le chat e i contenuti media inviati dagli utenti. Nel caso in cui uno degli innumerevoli algoritmi di sorveglianza beccasse un contenuto potenzialmente pedopornografico, partirebbero le segnalazioni alle autorità. Citando proprio il testo di legge:
If providers of hosting services and providers of interpersonal communications services have identified a risk of the service being used for the purpose of online child sexual abuse, they shall take all reasonable mitigation measures…
Quali sono queste “reasonable mitigation measures”, di nuovo, ce lo spiega la legge:
- adattare i sistemi di moderazione (sia umani che automatizzati) per aumentare il rispetto dei termini e condizioni dei servizi
- rinforzare la supervisione dell’uso dei sistemi
- cooperare con le autorità, anche di spontanea iniziativa
- introdurre funzionalità per consentire agli utenti di segnalare materiale pedopornografico
Ma la vera ciccia arriva adesso.
Oltre a queste misure, le piattaforme e servizi di comunicazione saranno obbligati a sviluppare e installare nei loro servizi delle tecnologie, approvate dalla Commissione Europea, in grado di identificare materiali potenzialmente pedopornografici diffusi attraverso i loro canali di comunicazione o piattaforme. In parole povere: sistemi di sorveglianza automatizzata di tutte le comunicazioni, pronti a scovare materiale potenzialmente illecito.
Anche di questo ne ho parlato molto, affrontando anche altri diversi punti critici (come il potenziale tasso di errore di questi sistemi). Rinvio all’articolo di approfondimento:
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CBDC: dalla Germania arrivano le linee guida tecniche
Mentre negli Stati Uniti ci sono addirittura proposte di legge per vietare il dollaro digitale, sembra invece che in UE il processo sia ormai inarrestabile. Così, anche la Germania inizia a muoversi sul fronte CBDC (euro digitale), grazie a un contributo del Federal Office for Information Security.
Grazie all’attivazione dei canali di cooperazione giudiziaria di #EPPO, le indagini interessano diversi Paesi europei, con il coinvolgimento delle forze di polizia slovacche, rumene e austriache.
Le attività di frode, attribuite ad un sodalizio criminale con il coinvolgimento di svariati prestanome e l’ausilio di 4 professionisti, hanno in una prima fase riguardato iniziative progettuali per decine di milioni di euro, finanziate a valere sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e hanno poi permesso di far emergere come la medesima organizzazione, utilizzando spesso le stesse società, fosse dedita anche alla creazione di crediti inesistenti nel settore edilizio (bonus facciate) e per il sostegno della capitalizzazione delle imprese (A.C.E.), per circa 600 milioni di euro.
Le attività di polizia giudiziaria svolte dalla #GuardiadiFinanza #GdF di Venezia hanno consentito di individuare condotte ritenute di riciclaggio e autoriciclaggio di ingenti profitti illeciti attuate attraverso un complesso reticolato di società fittizie artatamente costituite anche in Austria, Slovacchia e Romania.
👉 gdf.gov.it/it/gdf-comunica/not…
Riordinare le sedie a sdraio sul Titanic: l’ultima mossa del Belgio non risolve i problemi critici con il regolamento CSA dell’UE
Riportiamo la traduzione del post pubblicato oggi sul sito di EDRi Avviso sui contenuti: contiene riferimenti all’abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori La rete EDRi sollecita da tempo i legislatori dell’Unione Europea (UE) a garantire che gli sforzi per combattere l’OCSEA (sfruttamento e abuso sessuale di minori online) siano legali, efficaci e tecnicamente fattibili.
TicketZon: un bridge per portare concerti e mostre nel fediverso (compatibile con gli eventi di Friendica)
TicketZon è l'istanza Mobilizon creata da @Roberto Guido che ripubblica eventi attingendo dalle piattaforme di vendita online di ticketing.
Per ciascuna provincia esiste un “gruppo”, followabile con un qualsiasi account nel fediverso per ricevere le notifiche di nuovi concerti, spettacoli teatrali, mostre o altre attività nella propria zona.
Qui il post sul forum di @Italian Linux Society
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Could the US Government Self-Host a Fediverse Server?
In our report yesterday about President Biden and the White House opting in to ActivityPub federation, there were a number of responses from people wishing that the White House (and other organizations) would simply self-host their own server to be a part of the network. I agree with this sentiment, and have been thinking about the requirements that would make this kind of thing possible.
Here are my thoughts, based on my limited experience working for both tech startups and government.
Why Would Anyone Want This?
There are a number of people in the Fediverse that would like all forms of government to stay the heck away from the network, citing the problems of bringing the military-industrial-complex and surveillance capitalism to our cozy little space on the Internet. Depending on which government we’re talking about, what their policies are, and how they interact with the network, this isn’t necessarily an unreasonable reaction.
However, there are a number of benefits that bringing government to self-hosted infrastructure might bring:
- Government Officials – Communicating with and representing their constituents.
- Service Notifications – Are there outages on certain train lines? Are roads closed down? Has a natural disaster occurred?
- Bureau Interactions – interacting with municipal services, civic organizations, and emergency / non-emergency services for a variety of jurisdictions.
- Department Information – easy promotion and access to studies from, say, the Department of Labor, or the Department of Energy.
- Legislature – coverage of meeting notes, policies passed, votes on the House or Senate floor.
As of today, these things primarily exist within the domain of corporate social media. You’re more likely to see a smattering of accounts across Twitter, Facebook, and Threads, and those accounts might be pretty limited in what they’re able to actually accomplish, since they’re not even running on government infrastructure.
The fact of the matter is, being able to directly access all of the things listed above could be a boon to users of the Fediverse. Rather than trying to rely on a Facebook page or Twitter account to get necessary information, it could be seen from verified accounts on your timeline, with receipts, and would be accessible to journalists, researchers, developers, and citizens alike.
Technical and Organizational Hurdles
There are a number of hoops to jump through, so let’s talk about them. Before diving in: I’m aware of the effort being done by the European Union as well as some EU governments. I think those are great, and give us some kind of playbook to look to for examples. These musings are more focused on the United States.
Funding
The first headache with any government project is setting aside the funds and people to work on it. A political figure could introduce a bill with provisions to set aside a budget for such a program, but then there are questions pertaining to who actually carries out this effort. How much of the work is being contracted out to another business or agency? What’s the criteria for “winning” the contract, and who carries out what tasks?
Procurement
Then there’s the choice of software itself: the platform and its dependencies need to be audited, examined, and vouched for. Off the top of my head, relatively few Fediverse platforms actually fulfill this expectation: I believe that Mastodon may be one of the few that has actually gone through this process, but there may be significant differences between a security audit by a compliance group, and a security audit by a government.
Aside from choosing an official platform to stake operations on, there’s also the matter of finding an ideal third-party vendor. Currently, managed Fediverse hosting services are still in their infancy, and I’m not sure they’re up to scratch for what a government entity demands: comprehensive compliance requirements, service-level agreements, user training and onboarding materials, and promises pertaining to security upgrades and threat mitigations.
There may also be requirements for custom development, for example, integrating federal single sign-on, such as ID.me or something similar. There would also need to be a deployment strategy for various users, departments, and bureaus. It may be possible for an existing government IT provider to adopt Mastodon or another platform and develop everything needed here, but it’s much harder for any business started in the Fediverse today.
Policy
Another relatively grey area here would be the setting of policy for a US Government-run instance. Dealing with hate speech, CSAM, trolling, harassment, and other nastiness is a job and a half for ordinary instance admins, but I would imagine that this could be compounded further by hosting a government server with potentially millions of followers.
How does a government handle that kind of thing without violating the First Amendment? Does moderation even count as violating free speech, as some people believe? Is there perhaps a threshold for what’s tolerated in civil discussion?
I’m not a lawyer, and don’t have a complete answer. They might be able to get away with something similar to the Mastodon Server Covenant, in which ground rules for participation are set. Alternatively, maybe only allowing inbound federation from other government servers is an answer. I don’t know.
Tooling
One final consideration: departments and organizations are unlikely to get very far if they only have a default web interface to rely on. The Fediverse needs tools like Buffer, Fedica, and Mixpost for teams to come together and coordinate their presence in this new space. As the ecosystem evolves, we’ll likely need alternative tools and frontends to deal with emerging challenges.
It’s Still Worth Trying
I’ll be the first to admit that, looking at everything above, there’s a lot of unanswered questions. People asked why President Biden and the White House opted in to using Threads with ActivityPub federation, rather than stand up their own server. For the time being, the cost of setup, onboarding, and training is cheaper. They’re also making a smart bet by migrating to where a lot of people are, in the hopes that they will be heard by the greatest amount of potential followers.
As the Fediverse continues to grow, and both the protocol and platforms continue to evolve, my hope is that government entities might see the Fediverse as viable. One day, we may see a lot of municipal entities and departments setting up their base of operations right here on the network. I think it’s important that we continue thinking about how to get there.
The post Could the US Government Self-Host a Fediverse Server? appeared first on We Distribute.
io penso che tutti gli enti pubblici dovrebbero togliersi da tutte le piattaforme privative e usare esclusivamente il fediverso come sistema di comunicazione diretta, oltre ad offrire il servizio ai cittadini, con tutte le restrizioni che comporta.
Allo stesso modo esorterei tutti i politici a non usare le piattaforme privative per fare annunci istituzionali o politici.
E inviterei gli stessi partiti ad aprire i loro server e a togliersi dalle varie piattaforme privative.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
ieri l'app di #BancoPosta mi ha detto che devo "Autorizzare l'app Bancoposta ad accedere ai dati per rilevare la presenza di eventuali software dannosi", avendo poi cura di precisare che "La funzionalità è obbligatoria" e che avrei avuto un numero limitato di accessi dopo i quali non potrò più accedere e operare in app se non mi adeguo.
Ma è legale una cosa del genere?
@Etica Digitale (Feddit)
dday.it/redazione/48945/le-app…
Le app di Poste Italiane pretendono di avere accesso ai dati del telefono. Ma non spiegano cosa ci fanno
In rete aumentano le segnalazioni di utenti obbligati a condividere i dati di utilizzo del telefono per poter accedere ai servizi di Poste Italiane, come PostePay e BancoPosta. La richiesta servirebbe a verificare la presenza di software dannosi.Sergio Donato (DDay.it)
RECENSIONE : MISOPHONIA – WORKING CLASS BLAST BEAT
I Misophonia producono un odi quei lavori che fortunatamente non hanno nessun ritegno né filtro a descrivere il mondo per come è veramente e riescono a fondere il grindcore e il crust con la telefonata delle Brigate Rosse che annunciava la morte di Aldo Moro, la jihad islamica con Stalin e il quarto reich dell’Esselunga. @Musica Agorà
iyezine.com/misophonia-working…
Misophonia - Working class blast beat
Misophonia: Una rissa musicale che diventa scontro aperto e si fa amare tantissimo.In Your Eyes ezine
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MAXI OPERAZIONE DEL ROS CONTRO IL TRAFFICO INTERNAZIONALE DI STUPEFACENTI DAL SUD AMERICA ALL’EUROPA. LA COCAINA MOVIMENTATA DA UN CARCERE ITALIANO GRAZIE ALL’UTILIZZO DI CRIPTOFONINI
[Il porto di Genova]
I fatti: il Ros dei carabinieri, supportato dai militari dell’Arma territoriale di #Genova, Como e Reggio Calabria, ha eseguito un’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Genova su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia nei confronti di ventidue persone, tra cui uno di nazionalità dominicana, due di nazionalità colombiana, sette di nazionalità albanese. Sei degli indagati arrestati sono accusati di essere componenti di una associazione per delinquere, operativa dal 2014 a Genova, nonché a Panama, Colombia e Venezuela finalizzata alla importazione dall’America Latina di quantitativi di cocaina, che veniva caricata su navi dirette al porto di Genova, e, una volta recuperata, con la complicità di lavoratori operanti nello scalo portuale, rivenduta a terzi, oppure destinata ad altre organizzazioni criminali, grazie alla ricompensa con una percentuale (in denaro o in cocaina), intorno al 20% del prodotto importato, o con una somma equivalente, come corrispettivo per il recupero del carico in porto.
L’associazione per delinquere secondo gli investigatori era diretta da un soggetto che ha potuto disporre di una rete di contatti con organizzazioni di narcotrafficanti sudamericani. Anche dopo il suo arresto, avvenuto il 7 ottobre 2015 mentre cercava di recuperare un carico 148 chili di cocaina, in concorso con un latitante) questi, pur detenuto, comunicava con i complici per mezzo di criptofonini o di sistemi artigianali di comunicazione crittografata, continuando ad organizzare e finanziare per conto dell’organizzazione l’importazione di nuovi carichi di cocaina provenienti dalla Colombia e dalla Repubblica Dominicana, e destinati all’Italia, tramite il porto di Genova, l’aeroporto di Parigi, l’aeroporto di Amsterdam.
Il pagamento dello stupefacente era effettuato attraverso un metodo di interposizione consistente nella consegna del contante ad un intermediario in Italia, indicato dai fornitori, il quale si occupava della rimessa a questi ultimi, avvalendosi di canali extrabancari e consegnando ricevuta agli acquirenti.
Agli indagati vengono così contestati nove episodi di importazione di cocaina da Colombia, Repubblica Dominicana, Panama, per complessivi 670 kg e un valore commerciale di 25 milioni di euro, oltre a 38 episodi di detenzione e cessione di droga (per due di questi viene contestata l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cp ed in particolare la finalità di agevolare l’attività di una cosca di #ndrangheta).
Agli indagati sono state sequestrate anche diverse armi, tra cui due pistole a tamburo Smith & Wesson mod. 686 cal. 357 magnum con canna da 4”, una bomba a mano M75; una pistola mitragliatrice Zastava mod. M56 cal. 7,62×25 mm (tokarev); due fucili d’assalto Zastava mod. M70 cal. 7,62×39 mm, riproduzioni del più noto AK-47 (Kalašnikov). pistole semiautomatiche Beretta cal. 9, un revolver marca Smith & Wesson cal. 38SP, pistole marca Colt mod. 1911 cal. 45 ACP e Beretta mod. 70 cal. 7,65.
I reati contestati sono stati commessi dal settembre 2014 a dicembre 2022. L’indagine ha beneficiato del contributo informativo di #Europol, che ha fornito le informazioni provenienti dalle indagini avviate dalle Autorità francesi su gruppi criminali che utilizzavano un sistema di comunicazione criptato denominato #EncroChat e alimentato il flusso informativo relativo ai dispositivi #SkyEcc e della collaborazione di #Eurojust che ha facilitato l’agevole e tempestiva acquisizione, tramite ordine di indagine europeo, di comunicazioni criptate sequestrate dalle Autorità francesi ed intercorse sulle piattaforme EncroChat e SkyEcc.
Per saperne di più su Encrochat leggi qui (in inglese): europol.europa.eu/media-press/…
Dismantling encrypted criminal EncroChat communications leads to over 6 500 arrests and close to EUR 900 million seized | Europol
The dismantling of EncroChat in 2020 sent shockwaves across OCGs in Europe and beyond. It helped to prevent violent attacks, attempted murders, corruption and large-scale drug transports, as well as obtain large-scale information on organised crime.Europol
Sebastian Bieniek
Sebastian Bieniek (classe 1975) è un regista tedesco, artista, drammaturgo e scrittore, nato a Czarnowasy (Polonia) si è poi trasferito in Germania, dove ancora oggi vive e lavora.
Europol report: Insistence on data retention contradicts the threats presented
Europol has published its Internet Organised Crime Assessment (IOCTA) (PDF). The report assesses the cybercrime landscape and describes how threads have changed over the last two years.
Patrick Breyer MEP (German Pirate Party / Greens/EFA) and digital freedom fighter, comments:
“Europol’s support for indiscriminate data retention does not reflect the facts. The agency’s report identifies real threats that can’t be addressed with data retention or any other means of blanket mass surveillance of all citizen’s communication data. It is time for Europol and the European Union in general to refocus on targeted investigations and strenghening civil society.”
Europol’s role in the “Going Dark” program (#EUGoingDark)
In the report the European Union’s law enforcement agency focuses on cybercrime-as-a-service, underground communities, criminal markets for stolen credentials and victim data as well as on fraud strategies.
As member of the High-Level Expert Group on access to data for effective law enforcement which is also know as the “Going Dark” program Europol is tasked to “contribute to integrating a law enforcement perspective, including privacy and data protection requirements, in all relevant EU policies and actions (‘security by design’)” and to “explore how security by design could be a standard requirement in the development of new technologies.” Most pressing “challenges” identified are: Encryption (access, en clair, to stored content and digital communication data), data retention of localisation data and roaming data, as well as anonymisation, including VPN and Darknets. (Council document 8281/23 data.consilium.europa.eu/doc/d…PDF)
Europol is a strong proponent of reintroducing provisions on the indiscriminate retention of citizen’s communications metadata such as IP addresses. In 2018 the agency was unsuccessful with a “Data Retention Matrix” – a proposal to introduce data retention in the European Union. (WK 3005/2018 INIT PDF)
Organised criminals can circumvent data retention – most law-abiding citizens cannot
According to the Internet Organised Crime Assessment Europol observes “a high level of specialisation inside criminal networks” and the agency faces the development that “[o]ffenders (…) mask their actions and identities as their knowledge of countermeasures increases.”
Patrick Breyer MEP comments:
“Europol’s report confirms the fact that blanket data retention is unsuitable for fighting organised crime because it can easily be circumvented, for example by using anonymisation services. What is needed instead of bulk storage of citizen’s communications meta data are fast, well equipped and targeted investigations.”
The role of Internet Service Providers
In the report, Europol presents Internet Service Providers as service providers for crimes: “Many Internet Service Providers (ISPs) frequently used by criminals do not engage in extensive customer monitoring practices such as Know-Your-Customer (KYC) procedures and storing of customer and metadata (e.g. IP address)”
Patrick Breyer MEP comments:
“Europol places Internet Service Providers under general suspicion and seems to expect them to violate privacy legislation. We have a right to use the Internet anonymously! Targeting ISP’s privacy policies is like generally blaming landlords for domestic violence.
The task and duty of Internet Service Providers in democracies is to enable citizens to communicate securely and confidentially.”
Child grooming
The report finds that “[c]hild sexual exploitation offenders make extensive use of social media to engage with their victims, interacting with them often behind a false identity. (…) Child sexual exploitation offenders groom victims in order to obtain sensitive information that can be then exploited for extortion purposes.”
Patrick Breyer MEP comments:
“In fact Europol’s report rightly underlines the need for better education and training of (potential) victims, especially children and teenagers. Instead of data retention and other means of mass surveillance, we need more competent and better equipped social workers, training young people on perpetrator strategies and how to defeat them, anonymous online counselling, awareness programs, privacy-friendly design of social media platforms and other measures that actually address the
problem.”
Prevent data theft
Addressing the economics of cybercrime Europol finds that “the central commodity of this illicit economy is stolen data”.
Patrick Breyer MEP comments:
“Europol’s report underlines the importance of privacy, anonymity and encryption to protect citizens from identity theft and other crimes. Bulk retention of personal data provokes hacks and leaks. Only data that is not being stored is secure data.”
You Can Now Follow President Biden on the Fediverse
In a surprising first, Joe Biden’s social media team enabled Fediverse integration on his Threads account today. For now, the integration is a minor gesture, as it’s only a one-way connection from Threads to the Fediverse.
As viewed from Mastodon.
That being said, the implications make for a pretty big deal: Joe Biden is the first US President to federate with the rest of the network. Even though Donald Trump is on Truth Social, which is based on Mastodon, the backend has never actually federated with another server.
You can follow President Biden and the White House below:
- President Biden: @potus
- White House: @whitehouse
Government Fedi
Over the last few years, a number of governments and officials looked to the Fediverse as the base of their online social presence. The European Union notably offers official Mastodon and PeerTube servers for followers to connect with, and the Dutch government officially uses Mastodon as well.
People familiar with the RSS publishing format may find it helpful to think of Fediverse as “Really Simple Social Syndication”. Similar to RSS an agency can publish subscribable feeds, but with the added bonus of social interaction with citizens and stakeholders.In effect, this combines the deliverability and reach of email with the personalisation and device-alerting capabilities of social media apps.
IFTAS
Some organizations, such as IFTAS, have begun advocating towards governments currently on Twitter, Instagram, and Facebook to move over. It’s still an emerging part of the network, and definitely will take some time for more organizations to set foot over here. Still, it’s a promising development and will hopefully get more public officials to think about connecting to the Fediverse.
The post You Can Now Follow President Biden on the Fediverse appeared first on We Distribute.
The Brightest Room - Omonimo
Nel caso dei Brightest Room, dei quali ho avuto la fortuna di seguire la crescita artistica, si può, con cognizione di causa, parlare di questo nuovo lavoro come quello della completa maturità. I nostri non sono certamente dei novellini e nei dieci pezzi di Brightest Room dimostrano di aver ascoltato tanta musica e di averla assimilata e fatta propria nel migliore dei modi.
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Locutor
Spanish dubbing. Spanish dubbing voices -
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Alan Raul, Founder of Sidley Austin’s Privacy and Cybersecurity Law Practice Elected FPF’s New Board President
FPF Founder Christopher Wolf and Board Chair steps down after 15 years of service
FPF is pleased to announce Alan Raul, former Vice Chairman of the Privacy and Civil Liberties Oversight Board, has been elected to serve as President and Chair of the organization’s Board of Directors. Raul succeeds Christopher Wolf, founding Board President and founder of FPF, who is stepping down after a foundational and impactful tenure spanning 15 years.
Wolf, a pioneer in Internet and privacy law, is Senior Counsel Emeritus of Hogan Lovells’ top-ranked Privacy and Cybersecurity practice. As a leading attorney with the firm, he co-founded and led the development of the practice for over a decade, advising and shaping the thinking of Internet free speech, hate speech, and the parameters of government access to stored information. Wolf will continue as a member of FPF’s Board of Directors throughout this year before stepping down.
“In 2008, when I founded the Future of Privacy Forum, our vision was that it would be a place where we could advance the responsible use of data while respecting individual privacy,” Wolf said. “We believed that if dedicated technologists, policymakers, industry groups, and advocates focused on advancing privacy in a manner that businesses can achieve, we could strike a balance between consumer privacy and personalization that enables greater innovation for all.”
FPF flourished under Wolf’s guidance, becoming instrumental in steering collaborative and innovative efforts to address the complexity of the data-driven world. The organization regularly publishes substantive policy papers and reports tracking and analyzing data protection developments in different jurisdictions worldwide. Since launching, FPF has expanded its offices to Europe, Tel Aviv, and the Asia Pacific region and convened numerous international events, including the Brussels Privacy Symposium, now in its 7th year and first annual Japan Privacy Symposium.
Wolf’s dedication has not only set a high benchmark for leadership but also has helped regulators, policymakers, and staff at data protection authorities better understand the technologies at the forefront of data protection law. FPF will honor and celebrate Wolf’s contributions to the privacy sector and FPF during his tenure at their 2024 Advisory Board Meeting’s Opening Night Reception on June 5.
“In my experience in leading privacy and cybersecurity law and research, I’ve come to recognize the qualities that make a dedicated privacy trailblazer,” Wolf said. “Alan Raul shares my commitment to fostering a thriving, diverse privacy landscape that advances responsible data practices and technological innovation. His values align with the needs of FPF, and I am confident
he will work tirelessly with integrity and dedication to build on the successes of recent years and take on new challenges.
Raul has served on FPF’s board for eight years and is the founder and, for 25 years, the leader of Sidley Austin LLP’s highly-ranked Privacy and Cybersecurity Law practice. He is currently Senior Counsel at Sidley. Raul brings his breadth of knowledge in global data protection and compliance programs, cybersecurity, artificial intelligence, national security, and Internet law. He is also currently a member of the Technology Litigation Advisory Committee of the U.S. Chamber of Commerce Litigation Center. Raul is also a Lecturer in Law at Harvard Law School, where he teaches Digital Governance and Cybersecurity.
“I’m thrilled to take on this role and continue working to advance responsible data practices and safeguard individual privacy rights,” Raul said. “By leveraging my experience in advising global compliance programs and navigating complex regulatory landscapes, I hope I can contribute meaningful insights to the Board of Directors and effectively guide the direction of FPF’s work as we continue to grow globally as well as meet the new challenges and opportunities in the era of Artificial Intelligence.”
Olivier Sylvain and George Little also join FPF’s Board of Directors as two new members to serve. Sylvain is a Professor of Law at Fordham University and a Senior Policy Research Fellow at Columbia University’s Knight First Amendment Institute, where his research has focused on information and communications law and policy. Sylvain served as Senior Advisor to the Chair of the Federal Trade Commission from 2021 to 2023. Little is a partner at the Brunswick Group specializing in crisis communications, cybersecurity, reputational, and public affairs matters. Little co-chairs the firm’s Global Cybersecurity, Data & Privacy Practice, pulling from his experience working in the highest levels of the national security and defense community and the private sector.
Sylvain and Little join the ranks of recently named board members, including Tom Moore, recently retired as AT&T’s chief privacy officer; Jane Horvath, partner at Gibson, Dunn & Crutcher, LLP and former Chief Privacy Officer of Apple; and Theodore Christakis, Professor of International, European and Digital Law at University Grenoble Alpes (France), Director of the Centre for International Security and European Law (CESICE), and Director of Research for Europe with the Cross-Border Data Forum. FPF’s distinguished new Directors join other privacy luminaries on our Board of Directors – namely, Anita Allen, Debra Berlin, Danielle Citron, Mary Culnan, David Hoffman, Agnes Bundy Scanlan, and Dale Skivington.
“It’s been a pleasure getting to work with Chris Wolf and seeing the vision we had for FPF as a hub for privacy education and research develop over the years and grow into the leading institution it is today,” said Jules Polonetsky, CEO of FPF. “I am confident in Alan’s ability to lead the board to greater heights and continue informing the organization’s future work.”
Composed of leaders from industry, academia, and civil society, the input of FPF’s Board of Directors ensures that FPF’s work is expert-driven and independent of any stakeholders.
About Future of Privacy Forum (FPF)
The Future of Privacy Forum (FPF) is a global non-profit organization that brings together academics, civil society, government officials, and industry to evaluate the societal, policy, and legal implications of data use, identify the risks and develop appropriate protections. FPF believes technology and data can benefit society and improve lives if the right laws, policies, and rules are in place. FPF has offices in Washington D.C., Brussels, Singapore, and Tel Aviv. Follow FPF on X and LinkedIn.
Per la resurrezione non temiamo il futuro
Invece è la potenza di Dio in azione, che ci mostra come Egli non sia dalla parte dei poteri di morte di questo mondo, che Egli è veramente il Creatore e sostenitore di questo Creato.
Ecco, è la resurrezione di Gesù Cristo che apre al futuro, all’azione, al non rassegnarsi, ad aprire una pagina nuova anche in questo tempo così caotico e senza buone prospettive. E dunque noi annunciamo il Vivente, Colui che era che è e che viene, per parlare di speranza a chi teme il futuro, di giustizia a chi soffre l’ingiustizia, per annunciare verità e vita a chi è nella sofferenza e nel dolore.
pastore D'Archino - Per la resurrezione non temiamo il futuro
Il testo della predicazione di questa domenica di Pasqua, non riguarda direttamente la resurrezione, ma la potenza di vita del nostro Signore. Si trova nell’Antico Testamento in I Samuele. Vi è Ann…pastore D'Archino
Rifiuti senza confini. Il progetto UNWASTE per combattere il traffico illecito
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Le reti criminali traggono profitto dal traffico illegale di rifiuti, che è un crimine altamente lucrativo. #UNODC (l’Agenzia dell’ONU contro il crimine globale) combatte il traffico di rifiuti attraverso una guida legislativa (reperibile qui => sherloc.unodc.org/cld/uploads/…), il Programma denominato “CCP” ed il progetto #Unwaste. A ben vedere, affrontare il traffico illecito di rifiuti è parte degli sforzi in atto di mitigazione del clima.
Da un punto di vista penale, la criminalizzazione il traffico di rifiuti e relativi reati significa: stabilire reati fondamentali come il traffico di rifiuti, la frode dei documenti e l'associazione criminale; affrontare anche i reati connessi, come il riciclaggio di denaro e la corruzione.
Con riguardo invece alle misure preventive, l'UNODC ha posto in campo il progetto Unwaste, mettendo insieme rappresentanti dell'Unione europea e dell'Asia sudorientale per discutere le misure necessarie. Durante un viaggio di studio di quattro giorni a Bruxelles, Belgio e Rotterdam, Paesi Bassi all'inizio del 2024, i rappresentanti hanno identificato azioni e raccomandazioni comuni per migliorare la cooperazione per prevedere e combattere il traffico di rifiuti dall'UE a Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam. La visita è il seguito di un precedente viaggio di studio a Bruxelles, Belgio e Genova, Italia nel 2022. "Le discussioni durante questo viaggio di studio sono fondamentali per creare un quadro completo del traffico di rifiuti tra le due aree, e anche spiegare le regole di ogni partner in modo che le politiche dell'UE e del sud-est asiatico siano meglio comprese e applicate. Tali sforzi sono cruciali per proteggere l'integrità delle economie circolari", ha dichiarato Julien Garsany, rappresentante dell'Ufficio di collegamento dell'UNODC di Bruxelles. Un totale di 44 rappresentanti e delegati delle agenzie governative nelle due regioni, dei servizi e delle agenzie della Commissione Europea e delle organizzazioni internazionali hanno partecipato all'evento, che si è concentrato sulla promozione di una partnership trasparente e lo scambio tra tutte le parti della filiera dei rifiuti.
Sulla base delle prospettive nazionali e dei risultati del progetto Unwaste, i partecipanti hanno concordato sulla necessità di una maggiore cooperazione per garantire che le spedizioni di rifiuti siano conformi alle esigenze dei paesi di origine e di destinazione. "È giunto il momento di coordinare gli sforzi internazionali per promuovere un'economia circolare. I principi della giustizia, della conformità e delle pratiche di gestione ecologiche devono essere rispettati. Pertanto, gli sforzi per combattere il traffico di rifiuti illegali richiedono una significativa cooperazione tra varie agenzie tra le parti per garantire che il movimento transfrontaliero dei rifiuti segua la legge internazionale e nazionale", ha osservato il dott. Norhazni Binti Mat Sari, vicedirettore generale del Dipartimento dell'Ambiente della Malesia. I rappresentanti hanno presentato i loro risultati, sfide e aspetti critici che richiedono la cooperazione, ponendo le basi per una ulteriore collaborazione. Per esempio, sono stati evidenziati i legami tra il traffico di rifiuti e l'economia circolare, nonché il modus operandi di attori criminali insieme alle riforme regolamentari messe in atto per affrontare il traffico di rifiuti.
Una sessione dell’incontro è stata ospitata dall’Ufficio antifrode dell’UE (#OLAF), e si è concentrato sul miglioramento della cooperazione tra le autorità competenti delle due regioni. "Stiamo affrontando lo stesso nemico con una capacità elevata per lavorare facilmente attraverso i confini, quindi è fondamentale avere un evento come questo. Gli agenti nei porti dell' #UE non possono conoscere i regolamenti in ogni paese di destinazione, ma una rete può essere costruita attraverso questo tipo di evento in modo che ogni lato possa raggiungere l'altro e condividere le informazioni sulle regole e i requisiti", ha dichiarato Ernesto Bianchi – Direttore delle Entrate e Operazioni Internazionali, Investigazioni e Strategia presso l'OLAF. Nella circostanza l’Agenzia delle dogane e dei monopoli italiana (#ADM), rappresentata dall’ufficio di Genova 2, ha illustrato l’esperienza di indagine acquisita nei terminal portuali genovesi negli ultimi anni per il contrasto del fenomeno delle esportazioni illegali di rifiuti, con ben 413 notizie di reato comunicate all’Autorità giudiziaria tra il 2017 e il 2021. Sono due i filoni principali d’indagine portati avanti dai funzionari delle dogane genovesi in questi anni: l’esportazione non autorizzata di materiale plastico di scarto, rottami metallici e rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche verso paesi del medio e dell’estremo oriente e l’esportazione di cospicui carichi di batterie usate al piombo e parti auto (anche oggetto di furto) contaminate da oli minerali, indirizzate verso paesi dell’Africa sub-sahariana come Senegal, Ghana e Burkina Faso.
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Examining Novel Advertising Solutions: A Proposed Risk-Utility Framework
This week, the Future of Privacy Forum released Advertising in the Age of Data Protection: Background for a Proposed Risk-Utility Framework for Novel Advertising Solutions (v 1.0), which will be open for Public Comment until May 26, 2024.
- Download the Proposed Risk-Utility Framework HERE
- FPF welcomes public comments until May 26, 2024
The digital advertising industry is in the midst of a sea change. Around the world, privacy regulators have become far more critical of mainstream advertising business models. Both lawmakers and enforcers of existing laws are now more focused on strengthening individual privacy rights and specifically preventing many of the harms associated with the use of personal information in advertising. Meanwhile, large platforms such as Apple, Google, and Microsoft have taken significant steps in recent years to limit access to advertising-related data about their users through efforts like App Tracking Transparency (ATT), Intelligent Tracking Prevention (ITP), and an ongoing process to deprecate third party cookies in Google Chrome. Each change has ripple effects throughout the economy, changing the way advertisers do business and often impacting other social values.
In reaction to these regulatory and platform pressures, businesses are actively seeking new tools and solutions to maintain identity and addressability, or to provide greater privacy safeguards, ideally (in their view) doing so while sustaining as much business utility as possible. Many solutions involve privacy-enhancing technologies (PETs), while others involve a significant shift in business models, such as a return to contextual advertising, the use of solely first-party data, or a shift to client-side processing.
The goal of this Risk-Utility Framework and its associated Background (“Advertising in the Age of Data Protection”) is to provide a comprehensive rubric for navigating the many tradeoffs inherent in the evolving digital advertising landscape and the technology it is built upon. We do not assign values to each aspect of utility, risk, or social impact, but rather aim to holistically identify the many factors relevant for a policymaker or privacy leader to evaluate the impact of a given digital advertising proposal, solution, or system.
Download the Risk-Utility Framework HERE.
Perché molti civili palestinesi muoiono nonostante la precisione degli attacchi israeliani? Quanti ne stanno effettivamente morendo secondo fonti attendibili?
precisione? ma se gli israeliani hanno ucciso essi stessi degli ostaggi… come minimo se lo scopo era recuperare gli ostaggi hanno scelto le forze sbagliate… ma sappiamo tutti che l'attacco palestinese era previsto, la reazione deliberata, e che è tutto programmato da 50 anni. lo scopo è non dover rimanere nei confini assegnati dall'onu nel 1948. e in pratica togliere ai palestinesi anche il resto della terra che ancora hanno. allo stato di israele non servono relazioni normalizzate con i palestinesi perché impedirebbero loro ulteriori espansioni. la terra che hanno avuto non basta loro e comunque non sono disposti a condividerla con chi adesso ci vive. per loro era tutta di diritto loro.. si fotta l'ONU. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni.
0ut1°°k reshared this.
Informa Pirata
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