Salta al contenuto principale



🎬 Nell’ambito della 82esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, oggi dalle ore 11, presso l’Hotel Excelsior, si terrà la cerimonia di premiazione del concorso scolastico nazionale “Da uno sguardo: film di studentesse e studenti s…



Nei voli si può anche fare a meno del Gps. Braghini spiega come

@Notizie dall'Italia e dal mondo

Il caso delle interferenze di jamming al Gps del business jet Dassault Falcon 900LX che trasportava Ursula von der Leyen in Bulgaria ha avuto immediato e ampio risalto nelle prime pagine dei quotidiani. Senza dubbio si tratta di un episodio grave per il quale si sospetta la Russia, e sarebbe dunque



CPU Utilization Not as Easy as It Sounds


If you ever develop an embedded system in a corporate environment, someone will probably tell you that you can only use 80% of the CPU or some other made-up number. The theory is that you will need some overhead for expansion. While that might have been a reasonable thing to do when CPUs and operating systems were very simple, those days are long gone. [Brendan Long] explains at least one problem with the idea in some recent tests he did related to server utilization.

[Brendan] recognizes that a modern CPU doesn’t actually scale like you would think. When lightly loaded, a modern CPU might run faster because it can keep other CPUs in the package slower and cooler. Increase the load, and more CPUs may get involved, but they will probably run slower. Beyond that, a newfangled processor often has fewer full CPUs than you expect. The test machine was a 24-core AMD processor. However, there are really 12 complete CPUs that can fast switch between two contexts. You have 24 threads that you can use, but only 12 at a time. So that skews the results, too.

Of course, our favorite problem is even more subtle. A modern OS will use whatever resources would otherwise go to waste. Even at 100% load, your program may work, but very slowly. So assume the boss wants you to do something every five seconds. You run the program. Suppose it is using 80% of the CPU and 90% of the memory. The program can execute its task every 4.6 seconds. So what? It may be that the OS is giving you that much because it would otherwise be idle. If you had 50% of the CPU and 70% of the memory, you might still be able to work in 4.7 seconds.

A better method is to have a low-priority task consume the resources you are not allowed to use, run the program, and verify that it still meets the required time. That solves a lot of [Brendan’s] observations, too. What you can’t do is scale the measurement linearly for all these reasons and probably others.

Not every project needs to worry about performance. But if you do, measuring and predicting it isn’t as straightforward as you might think. If you are interested in displaying your current stats, may we suggest analog? You have choices.


hackaday.com/2025/09/04/cpu-ut…



Netshacker: Retrogaming e Hacking Reale su Commodore 64


Nel panorama dei giochi per Commodore 64, Netshacker emerge come un progetto che sfida le convenzioni del gaming moderno, riportando i giocatori alle radici dell’informatica domestica degli anni ’80. Non si tratta di un semplice omaggio nostalgico, ma di una piccola grande esperienza di hacking autentica e credibile, sviluppata con la precisione tecnica di un ingegnere e al contempo la passione di un retro gamer.

Un concetto rivoluzionario per il C64 Netshacker non è un gioco che “finge” di essere retrò: è un prodotto nato dalla mentalità old-school, ma costruito con la cura e la precisione di un progetto moderno.

L’obiettivo è chiaro: ricreare l’esperienza autentica di un hacker degli anni ’90, quando le reti erano ancora un territorio inesplorato e ogni comando poteva rivelare nuovi orizzonti digitali.

Il gioco si presenta come un sistema operativo completo per C64, con due ambienti distinti: uno in stile Linux e uno in stile DOS, ognuno con le proprie peculiarità e comandi specifici.

La Shell che respira


Il cuore di Netshacker è la sua shell interattiva, un’interfaccia a riga di comando che non si limita a simulare i comandi, ma li implementa realmente: ogni input dell’utente ha conseguenze logiche e coerenti: i file esistono fisicamente nella memoria del C64, i permessi sono gestiti secondo regole realistiche, e gli errori forniscono dei feedback sensati che guidano il giocatore verso la soluzione. Non ci sono scorciatoie o bug da sfruttare: la progressione si basa esclusivamente sull’ingegno e sulla comprensione dei sistemi.

Missioni che premiano la creatività


Il sistema di missioni di Netshacker è progettato per premiare la creatività e la deduzione logica. Ogni obiettivo richiede una comprensione profonda degli strumenti disponibili e della logica sottostante. Le missioni spaziano dal port scanning al social engineering, dalla gestione di file protetti all’analisi forense. Il gioco non fornisce soluzioni dirette, ma lascia che il giocatore scopra i percorsi attraverso l’esplorazione e l’esperimentazione.

Strumenti di Comunicazione d’epoca


Una delle caratteristiche più affascinanti di Netshacker è il suo sistema di comunicazione, ispirato ai BBS e alle reti clandestine degli anni ’90.

Atmosfera e Immersione

L’atmosfera di Netshacker è meticolosamente curata per ricreare l’esperienza autentica di un hacker degli anni ’90. I colori del C64 sono utilizzati strategicamente per differenziare i diversi tipi di output, i suoni SID creano un’ambientazione sonora appropriata, e l’interfaccia mantiene la fedeltà visiva ai sistemi dell’epoca. Ogni dettaglio, dai messaggi di errore ai prompt dei comandi, è stato pensato per mantenere l’immersione senza compromettere la giocabilità.

Compatibilità e Accessibilità


Netshacker è progettato per funzionare sia su hardware reale che su emulatori, garantendo un’esperienza autentica indipendentemente dalla piattaforma di esecuzione. Il gioco è localizzato in italiano, eliminando barriere linguistiche e rendendo l’esperienza più accessibile ai giocatori italiani.

La distribuzione del gioco avviene attraverso due modalità: una versione digitale in formato .d64 al prezzo di 8 euro, e un’edizione fisica con floppy e manuale stampato a 69 euro.

Un Progetto che rispetta la storia


Netshacker non è solo un gioco: è un piccolo grande tributo alla cultura hacker degli anni ’90, un’opportunità per i giocatori di oggi di sperimentare le sfide e le soddisfazioni di un’epoca in cui l’informatica era ancora un territorio inesplorato.

Il progetto dimostra che la complessità e la profondità non sono incompatibili con le limitazioni hardware del C64, e che la creatività può superare i vincoli tecnici apparenti.

Conclusioni


Netshacker dimostrando che è possibile creare un’esperienza di hacking autentica e coinvolgente senza compromessi sulla qualità o sulla fedeltà storica.

Il progetto sfida i giocatori a pensare come veri hacker, utilizzando strumenti reali e logica deduttiva per superare le sfide.

Non è un gioco per tutti, ma per coloro che apprezzano la profondità tecnica e l’autenticità storica, Netshacker offre un’esperienza insolita ed avvincente, poiché non è solo un gioco: è un viaggio nel tempo, un’opportunità per riscoprire le radici dell’hacking e della sicurezza informatica, attraverso la lente di una piattaforma che ha fatto la storia dell’informatica domestica.

Per i retrogamer esigenti e gli appassionati di sicurezza informatica, rappresenta un must-have che combina nostalgia, sfida intellettuale e autenticità tecnica in un pacchetto unico e irripetibile.

Dovete assolutamente andare a scaricare la demo da netshacker.com/ e poi comprare la versione completa. Per quanti hanno giocato su C64 a System 15000 o amano le sfide è un’occasione da non perdere.

Un plauso all’autore Stefano Basile

L'articolo Netshacker: Retrogaming e Hacking Reale su Commodore 64 proviene da il blog della sicurezza informatica.



Arriva NotDoor : La Backdoor per Microsoft Outlook di APT28


Un avanzato sistema di backdoor associato al noto gruppo di cyber spionaggio russo APT28 permette ai malintenzionati di scaricare dati, caricare file e impartire comandi su pc infettati. Questo sistema backdoor, recentemente scoperto e di ultima generazione, si concentra su Microsoft Outlook, dando la possibilità agli artefici dell’attacco di impossessarsi di informazioni e gestire il computer della persona colpita.

La backdoor è progettata per monitorare le email in arrivo della vittima alla ricerca di specifiche parole chiave, come “Report giornaliero”. Quando viene rilevata un’email contenente la parola chiave, il malware si attiva, consentendo agli aggressori di eseguire comandi dannosi. Il nome “NotDoor” è stato coniato dai ricercatori a causa dell’utilizzo della parola “Nothing” nel codice del malware.

Abilmente, il malware sfrutta le funzionalità legittime di Outlook per mantenersi nascosto e garantire la propria persistenza. Secondo S2 Grupo, vengono utilizzati trigger VBA basati su eventi specifici, ad esempio Application_MAPILogonComplete, che si attiva all’avvio dell’applicazione Outlook, e Application_NewMailEx, che risulta attivato in concomitanza con l’arrivo di nuove email. Le principali funzionalità del malware possono essere elencati in:

  • Offuscamento del codice : il codice del malware è intenzionalmente codificato con nomi di variabili casuali e un metodo di codifica personalizzato per rendere difficile l’analisi.
  • Caricamento laterale delle DLL : utilizza un file binario Microsoft legittimo e firmato OneDrive.exeper caricare un file DLL dannoso. Questa tecnica aiuta il malware a comparire come un processo attendibile.
  • Modifica del Registro di sistema : per garantire la persistenza, NotDoor modifica le impostazioni del Registro di sistema di Outlook. Disattiva gli avvisi di sicurezza relativi alle macro e sopprime altri prompt, consentendo l’esecuzione silenziosa senza avvisare l’utente.

Il malware, è stato attribuito al gruppo di cyberminacce sponsorizzato dallo Stato russo APT28, noto anche come Fancy Bear. I risultati sono stati pubblicati da LAB52, l’unità di intelligence sulle minacce dell’azienda spagnola di sicurezza informatica S2 Grupo.

NotDoor è un malware stealth scritto in Visual Basic for Applications (VBA), il linguaggio di scripting utilizzato per automatizzare le attività nelle applicazioni di Microsoft Office. Per eludere il rilevamento da parte del software di sicurezza, NotDoor impiega diverse tecniche sofisticate:

Una volta attiva, la backdoor crea una directory nascosta per archiviare i file temporanei, che vengono poi esfiltrati in un indirizzo email controllato dall’aggressore prima di essere eliminati. Il malware conferma la sua esecuzione corretta inviando callback a un sito webhook.

APT28 è un noto gruppo criminale legato alla Direzione Centrale di Intelligence (GRU) dello Stato Maggiore russo. Attivo da oltre un decennio, il gruppo è responsabile di numerosi attacchi informatici di alto profilo, tra cui la violazione del Comitato Nazionale Democratico (DNC) nel 2016 durante le elezioni presidenziali statunitensi e le intrusioni nell’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA).

La recente introduzione di questo strumento testimonia l’evoluzione costante del gruppo e la sua abilità nell’elaborare strategie innovative per eludere i sistemi di difesa contemporanei. Il malware NotDoor, come riferito da S2 Grupo, ha già avuto un utilizzo esteso per mettere a rischio la sicurezza di molteplici aziende appartenenti a diversi settori economici all’interno degli stati membri NATO.

Per difendersi da questa minaccia, gli esperti di sicurezza raccomandano alle organizzazioni di disattivare le macro per impostazione predefinita sui propri sistemi, di monitorare attentamente qualsiasi attività insolita in Outlook e di esaminare i trigger basati sulla posta elettronica che potrebbero essere sfruttati da tale malware.

L'articolo Arriva NotDoor : La Backdoor per Microsoft Outlook di APT28 proviene da il blog della sicurezza informatica.



Il presidente israeliano, Isaac Herzog, è arrivato in Vaticano per l'udienza con Papa Leone XIV, cui seguirà l'incontro con il card. Pietro Parolin, segretario di Stato.


Nel pomeriggio di ieri, terza giornata del Capitolo generale dell’Ordine di Sant’Agostino, si è svolta l’elezione degli incarichi per il corretto svolgimento dei lavori.


Si è aperta con una messa presieduta da p. Michael Bielecke, nel giorno dell’anniversario della sua professione, la terza giornata del Capitolo generale dell’Ordine di Sant’Agostino, celebrata ieri.


Come è stata scritta la dichiarazione «Nostra Aetate»


Opera scultorea “Dialogo” di Michele Chiaruzzi, Cappella di Sant'Anna, San Marino.
Nel 2025 la Chiesa celebra i sessant’anni dal Concilio Vaticano II e dalla dichiarazione sulle sue relazioni con le religioni non cristiane Nostra aetate. Se fino a quel momento i non cristiani erano stati considerati smarriti nella superstizione e nell’ignoranza, Nostra aetate segnò l’inizio di un approccio che promuoveva il dialogo permanente come parte integrante della testimonianza cattolica alla verità della fede cristiana. L’elaborazione del documento porta l’impronta dell’incontro tra il gesuita tedesco Augustin Bea, nominato dal Papa presidente del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, e Massimo IV Saigh, patriarca di Antiochia dei Melchiti. Il dialogo contemporaneo tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico conserva il segno delle prospettive da loro elaborate nel momento in cui la Chiesa cominciava a formulare una posizione che affermasse sia il dialogo con gli ebrei sia la consapevolezza della tragica sorte dei palestinesi.

Origini


La dichiarazione Nostra aetate nacque nel contesto successivo alla Shoah, cioè al tentativo, da parte della Germania nazista, di annientare gli ebrei in Europa durante la Seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, la Chiesa dovette cominciare a confrontarsi con la dolorosa questione di quanto il tradizionale discorso cristiano sul popolo ebraico potesse aver contribuito al prendere piede dell’antisemitismo contemporaneo. Il 28 ottobre 1958 Angelo Roncalli divenne papa Giovanni XXIII. Roncalli aveva trascorso gli anni precedenti e quelli della Seconda guerra mondiale in Bulgaria, Grecia, Turchia e Francia come rappresentante diplomatico della Santa Sede. Era pienamente consapevole di quanto stava accadendo agli ebrei, e gli si attribuisce il merito di averne salvati migliaia.

Inizialmente, egli non intendeva portare la questione del popolo ebraico all’attenzione del Concilio che stava progettando e che avrebbe cambiato il volto della Chiesa nel mondo moderno. L’idea di un documento sugli ebrei entrò nella mente del Papa durante un’udienza privata del 13 giugno 1960. Quel giorno, poco dopo aver nominato Augustin Bea presidente del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, egli incontrò lo storico ed educatore ebreo francese Jules Isaac, il quale gli consegnò quanto aveva scritto sull’insegnamento cristiano del disprezzo nei confronti del popolo ebraico. Più tardi, Isaac commentò: «Più volte durante il mio breve discorso egli mostrò comprensione e simpatia. […] Chiedo se posso portare via con me un po’ di speranza. Egli esclama: “Hai diritto a più che una speranza!”»[1].

Il Papa inviò Isaac da Bea, biblista anticotestamentario e suo consigliere di fiducia, e nel settembre del 1960 quest’ultimo ricevette l’incarico di preparare un documento sul popolo ebraico. Più tardi Bea scrisse, in sintonia con i sentimenti del Papa: «Il bimillenario problema, vecchio quanto il cristianesimo stesso, delle relazioni della Chiesa col popolo ebraico è stato reso più acuto, e si è quindi imposto all’attenzione del Concilio Ecumenico Vaticano II, soprattutto per lo spaventoso sterminio di milioni di Ebrei da parte del regime nazista in Germania»[2]. Egli prevedeva che il documento non solo avrebbe condannato l’antisemitismo, ma avrebbe anche richiamato l’attenzione sulle radici ebraiche della Chiesa e promosso un dialogo tra ebrei e cattolici.

Sebbene le discussioni sugli ebrei, successive all’incontro con Isaac, dovessero rimanere riservate, Bea si confidò con un giornalista, che pubblicò la notizia del cambiamento di atteggiamento della Chiesa nei confronti degli ebrei, suscitando già allora una prima reazione negativa in Medio Oriente[3].

Reazioni in Medio Oriente


La resistenza a un documento sugli ebrei si manifestò in tre forme diverse. Anzitutto, quella degli antisemiti classici, contrari a qualsiasi mitigazione dell’insegnamento della Chiesa, perché consideravano il popolo ebraico nemico dell’umanità e della fede cristiana. Ad essa si aggiungeva l’opposizione dei tradizionalisti, che per principio rifiutavano ogni cambiamento nella dottrina ecclesiale. Infine, vi erano quanti respingevano un riavvicinamento agli ebrei a causa del conflitto ancora in corso in Medio Oriente. Costoro facevano notare che al centro di quel conflitto vi era uno Stato, Israele, che si definiva ebraico, e un popolo, quello palestinese, che era diventato senza patria in seguito alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, una tragedia che aveva gettato l’intero Medio Oriente nel caos. In alcuni casi antisemitismo, resistenza al cambiamento e preoccupazione per la giustizia e la pace in Medio Oriente andavano a braccetto.

In effetti, nella storiografia successiva al Concilio, alcuni hanno accusato Massimo IV e i vescovi del Medio Oriente di antisemitismo o tradizionalismo a causa della loro opposizione alla formulazione del documento sugli ebrei[4]. Altri hanno spiegato tale opposizione come radicata nel timore delle reazioni, da parte dei musulmani, a un atteggiamento positivo verso gli ebrei: reazioni che avrebbero potuto provocare persecuzioni contro i cristiani nei Paesi arabi in guerra con Israele[5]. Da parte loro, i Paesi arabi e Israele esercitarono pressioni per assicurarsi un esito favorevole alle rispettive cause, mantenendo contatti con i partecipanti al Concilio che sostenevano opzioni politiche convenienti ai loro interessi.

Iscriviti alla newsletter


Leggie ascolta in anteprima La Civiltà Cattolica, ogni giovedì, direttamente nella tua casella di posta.

Iscriviti ora

Tutti questi fattori influenzarono in parte le posizioni espresse dai prelati mediorientali durante il Concilio; tuttavia, le opinioni di Massimo IV e la loro evoluzione nel corso dei lavori mostravano il tentativo di affrontare la formulazione di una posizione ecclesiale che tenesse conto della complessità dell’insieme. All’interno della Chiesa, Massimo IV (insieme ai suoi colleghi mediorientali) e Bea (con i suoi collaboratori europei e nordamericani) condussero un dialogo costruttivo che trasformò il documento sugli ebrei nella Nostra aetate. L’incontro tra Bea, alfiere dell’impegno verso un nuovo rapporto con il popolo ebraico, e Massimo IV, che rappresentava la preoccupazione per il Medio Oriente e per i palestinesi, ha segnato la relazione ebraico-cattolica degli ultimi sessant’anni.

Massimo IV, nominato membro della Commissione centrale preparatoria incaricata da papa Giovanni XXIII di gettare le basi per il Concilio nel giugno 1960, è stato senza dubbio la figura più rappresentativa tra i Padri conciliari del mondo arabo[6]. Il suo atteggiamento verso la questione ebraica non era dettato solo dalla sua prospettiva di arabo siriano e di guida spirituale della comunità greco-cattolica, che comprendeva anche greco-cattolici palestinesi sfollati nel 1948; egli era anche portavoce dei cattolici non europei e non latini, che rivendicavano il diritto di essere ascoltati dai vertici ecclesiali ancora prevalentemente europei e latini. Rifiutando di parlare in latino, Massimo IV intervenne con forza, in francese, per difendere i diritti e gli interessi non solo dei greco-cattolici, ma anche dei non europei in generale. Al tempo stesso, fu sostenitore delle richieste di riforma volte a condurre la Chiesa nel mondo moderno.

Riguardo al documento sugli ebrei, egli dichiarò nel 1962, in una nota alla commissione centrale che organizzava il Concilio: «Comprendiamo molto bene le ragioni che hanno motivato la proposta di questo “decreto” [sugli ebrei]. La Chiesa ha il dovere verso sé stessa di riconoscere le glorie, le promesse e la missione del popolo ebraico. Ha anche il dovere verso sé stessa di eliminare dalla sua liturgia, dai pensieri e dalle azioni dei suoi fedeli ogni traccia di disprezzo, vendetta o discriminazione razziale contro il popolo ebraico»[7]. Ciò nonostante, Massimo IV insisteva sul fatto che si dovesse operare una netta distinzione tra gli ebrei e lo Stato d’Israele; quest’ultimo «deve essere trattato secondo gli stessi criteri che regolano le relazioni tra la Chiesa e le società civili, senza alcun privilegio o considerazione speciale da parte della Chiesa»[8]. Inoltre, egli proponeva che «un decreto analogo venisse preparato riguardo all’Islam e alle altre religioni monoteiste. I cristiani che intrattengono frequenti rapporti con i seguaci di queste religioni sarebbero lieti di conoscere qualche insegnamento positivo della Chiesa su di esse, che vada oltre la pura e semplice condanna come “errori”»[9]. Nell’agosto 1962, il Sinodo greco-cattolico pubblicò un manifesto in cui si affermava che la fede in Cristo imponeva ai cristiani di non «nutrire alcun odio né rancore contro chicchessia»; tuttavia, «la giustizia, l’umanità e il patriottismo impongono loro il dovere di stare al fianco dei loro fratelli, gli arabi di Palestina, riconoscendo il loro diritto a ritornare nella loro terra e nella terra dei loro antenati»[10].

L’incontro tra la convinzione, prevalente in Europa e in Nord America, secondo cui la Chiesa dovesse promuovere un insegnamento di rispetto per il popolo ebraico e la resistenza prevalente in Medio Oriente, dove gli ebrei venivano identificati con la potenza militare dello Stato d’Israele e con la tragedia dei palestinesi, costituisce un esempio rilevante della globalizzazione della Chiesa. Il teologo cattolico Karl Rahner ha sostenuto che il Concilio Vaticano II fu «il primo grande evento ufficiale in cui la Chiesa ha attuato sé stessa precisamente come Chiesa universale […]; una Chiesa universale in quanto tale inizia ad agire grazie all’influsso reciproco esercitato da tutte le sue componenti»[11].

Un dialogo difficile


Il documento sugli ebrei fu presentato soltanto nella seconda sessione del Concilio, nel 1963[12]. Alla morte di Giovanni XXIII, il 3 giugno 1963, il suo successore, Paolo VI, ne confermò il progetto. Divenne tuttavia evidente che il nuovo Pontefice aveva una visione più ampia di ciò che il dialogo poteva significare nel mondo moderno. Nel settembre 1963, aprendo la seconda sessione del Concilio, Paolo VI affermò che la Chiesa «punta i suoi occhi al di là delle comunità cristiane e vede le altre religioni che conservano il concetto e la nozione di un Dio unico, creatore, provvido, sommo e trascendente la natura delle cose; che praticano il culto di Dio con atti di sincera pietà e che derivano da queste usanze e credenze i princìpi della vita morale e sociale»[13]. Il suo impegno per il dialogo era in parte guidato dall’intuizione del grande islamologo francese Louis Massignon, la cui influenza sul Concilio, per quanto riguarda l’atteggiamento della Chiesa verso i musulmani, può essere paragonata a quella esercitata da Isaac riguardo alla posizione della Chiesa verso il popolo ebraico.

Nel novembre 1963, Bea presentò il documento sugli ebrei come parte dello schema sull’ecumenismo. Essendo ormai consapevole della sensibilità dei mediorientali, assicurò al Concilio che il testo sul popolo ebraico non faceva alcun riferimento alla questione nazionale o politica: «Non si tratta – egli disse – di una questione nazionale o politica, e in special modo non si tratta di un riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede. Nessuna di tali questioni né è trattata né toccata in alcun modo nello schema, ma si affronta una questione di ordine puramente religioso»[14]. Nonostante ciò, i prelati del Medio Oriente espressero la loro opposizione e presero la parola, uno dopo l’altro, nella sessione. Tra loro vi era anche Massimo IV, il quale ribadì: «Se si parla degli ebrei, si deve parlare anche delle altre religioni non cristiane, e soprattutto dei musulmani, che sono 400 milioni e tra i quali noi viviamo come minoranza»[15]. Più tardi Bea avrebbe ammesso: «Furono soprattutto i Padri Conciliari del Vicino Oriente a chiedere che si parlasse anche dell’Islam. Altri però, andando più oltre, chiesero un’impostazione del tutto generale, in modo da comprendere tutte le religioni non cristiane»[16].

Una nuova prospettiva


La seconda sessione del Concilio si concluse con un annuncio clamoroso: Paolo VI si sarebbe recato in Terra Santa nel gennaio 1964. Era la prima volta che un Papa lasciava l’Italia da oltre 150 anni. La terza sessione del Concilio – da settembre a novembre 1964 – sarebbe stata fortemente influenzata dalla visione di Paolo VI sul dialogo con il mondo intero. Nella sua prima enciclica, Ecclesiam suam, pubblicata nell’agosto 1964, il Papa tratteggiava i cerchi concentrici dell’umanità con i quali la Chiesa è chiamata a entrare in dialogo interreligioso. Egli scriveva: «Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi diciamo dell’Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono; e poi ancora ai seguaci delle grandi religioni afroasiatiche»[17].

Poco prima della convocazione della terza sessione del Concilio Vaticano II, il Sinodo greco-cattolico inviò una nota alla commissione organizzatrice del Concilio riguardo al documento sugli ebrei, in cui si diceva: «Non abbiamo alcuna obiezione fondamentale, sul piano teologico, contro questa bozza di dichiarazione. Ma, da un punto di vista pratico, riteniamo che si debba aggiungere […] un ultimo paragrafo con la seguente formulazione: “Questo santo Concilio tiene a sottolineare che la presente dichiarazione – che è un atto puramente religioso, ispirato unicamente da considerazioni teologiche – non ha alcuna motivazione né alcuno scopo politico. Questo santo Concilio condanna in anticipo qualsiasi interpretazione tendenziosa che cerchi di attribuire alla presente dichiarazione un qualsiasi significato politico, a favore o contro chicchessia”»[18]. Durante la sessione, l’arcivescovo greco-cattolico di Damasco Joseph Tawil, collaboratore stretto di Massimo IV, osservò che era inopportuno, quando «precisamente un milione di arabi furono ingiustamente e violentemente cacciati dalle loro terre», che la Chiesa si concentrasse sulla questione ebraica[19]. Sottolineò che «la Chiesa deve […] trattare l’ebraismo in un contesto spirituale e religioso. Il Concilio non deve intervenire in questioni civili e politiche»[20].

Il 25 settembre 1964 Bea tornò a prendere la parola davanti al Concilio. Sostenne che il documento sugli ebrei era «richiesto primariamente dalla fedeltà della Chiesa nel seguire l’esempio dell’amore di Cristo e degli Apostoli verso questo popolo. Tuttavia […] queste ragioni piuttosto esterne non si devono trascurare»[21]. Sebbene gran parte del suo intervento fosse dedicato a questioni teologiche, in particolare all’uso del termine «deicidio» per descrivere il popolo ebraico, spiegò anche le aggiunte al testo relative ai musulmani. Il documento, che andava ormai prendendo forma, sarebbe stato pubblicato come dichiarazione separata, non più come parte della dichiarazione conciliare sull’ecumenismo. Inoltre, Bea precisò che la posizione dei prelati mediorientali veniva tenuta in considerazione. Spiegò che la questione del popolo ebraico era religiosa e non politica: «Qui non parliamo del Sionismo né dello Stato politico d’Israele, ma dei seguaci della religione mosaica, dovunque si trovino nel mondo. Né si tratta di caricare di lodi e di onori il popolo ebraico, di esaltarlo sopra le altre genti, e di attribuirgli certi privilegi»[22]. Tuttavia insistette sul fatto che la questione era talmente importante «che val la pena di esporci anche al pericolo che alcuni forse abusino per fini politici di questa Dichiarazione. Si tratta infatti dei nostri doveri verso la verità e la giustizia»[23].

Al termine della terza sessione, Massimo IV pubblicò una reazione dettagliata riguardo ai lavori conciliari: «La Chiesa cattolica – scrisse – oggi è in posizione di dialogo: dialogo con sé stessa, dialogo con le altre Chiese, dialogo con il mondo che ha i suoi molteplici problemi umani e sociali, dialogo con chiunque cerchi Dio a suo modo. E questo dialogo mira a rafforzare la solidarietà umana e l’unità della famiglia di Dio, nel cammino verso il fine della sua esistenza». Poi aggiunse: «I Paesi arabi, da quando il sionismo si è costituito come Stato in Palestina, hanno saputo distinguere l’ebraismo come religione dall’ebraismo sionista come movimento politico. Hanno rispettato il primo e combattuto il secondo»[24]. In un comunicato del 31 dicembre 1964, Massimo IV ribadì: «Il Segretariato [per la promozione dell’unità dei cristiani] e l’episcopato mondiale non possono ignorare che esiste uno Stato che si definisce Israele; che questo Stato pretende di incarnare l’ebraismo; che quanto si dice sull’ebraismo come religione è inevitabilmente interpretato da Israele come detto di sé stesso in quanto Stato e movimento sionista mondiale; che ogni dichiarazione a favore dell’ebraismo come religione è sfruttata da Israele come un appoggio indiretto alla politica imperialista ed espansionista del sionismo mondiale contro i Paesi arabi». Inoltre il Patriarca affermò: «Nessuno dubita che il Concilio non desideri questa interpretazione, ma Israele la desidera, e i Padri del Concilio, in quanto responsabili e realisti, non devono prestarsi a tale manovra, soprattutto nelle circostanze in cui la tensione tra gli Stati arabi e Israele è al massimo livello»[25].

Podcast | SUD SUDAN. «UN CONFLITTO CHE NON È MAI FINITO»


Quattro milioni di sfollati, oltre 350mila morti, fame e povertà. Il Sud Sudan è il paese più giovane del mondo, con una storia già segnata dalle violenze. Oggi lo spettro della guerra torna a far paura, come racconta mons. Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Bentiu. Ascolta il podcast

Scopri di più

Il frutto del dialogo

Nel periodo tra la terza e la quarta sessione del Concilio Vaticano II rimaneva ancora molto da fare, sia per affermare la necessità di pubblicare il documento che avrebbe segnato un nuovo inizio nei rapporti con il popolo ebraico, sia per rassicurare gli arabi sul fatto che esso non costituiva un’approvazione delle aspirazioni politiche israeliane in Medio Oriente.

Subito dopo la chiusura della terza sessione, Paolo VI si recò in India. Ufficialmente il viaggio era motivato dalla partecipazione a un Congresso Eucaristico, ma esso segnalava anche il nuovo spirito di dialogo con induisti, buddhisti e musulmani. Durante il viaggio, il Papa si fermò un’ora a Beirut, per incontrare leader politici e religiosi, alcuni dei quali seguivano con profonda preoccupazione la discussione sul documento sugli ebrei e le sue implicazioni per il Medio Oriente. Poco dopo, il Pontefice inviò una lettera ai patriarchi cattolici e ortodossi d’Oriente, lodando le loro Chiese ed esprimendo rispetto per la civiltà araba e per il ruolo del dialogo cristiano-musulmano[26].

Nella primavera e nell’estate del 1965, Paolo VI inviò una delegazione guidata dal vescovo Johannes Willebrands, segretario del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, in Medio Oriente per incontrare i leader cristiani a Beirut, Damasco, Gerusalemme e Il Cairo e cogliere il clima generale. Al suo ritorno, il presule olandese redasse un ampio rapporto, che successivamente fu comunicato ai Padri conciliari. Willebrands non solo riferì il rifiuto del documento sugli ebrei da parte di tutti i leader ecclesiali, cattolici e non cattolici, ma indicò anche il contesto mediorientale di tale rifiuto. Parlando di coloro che in Europa e nel Nord America sostenevano il documento, scrisse: «Non si ha conoscenza delle tensioni politiche e religiose in Medio Oriente, né consapevolezza della gravità della situazione in quei Paesi. È troppo facile ridurre il problema all’opposizione politica di qualche leader arabo. Siamo convinti che, vent’anni dopo Auschwitz, la Chiesa – e in particolare il Concilio – non possa rimanere in silenzio sull’antisemitismo. Riconosciamo le motivazioni religiose dell’antisemitismo e auspichiamo un nuovo sviluppo teologico riguardante il mistero d’Israele, un dialogo con la teologia ebraica e una collaborazione con gli ebrei. Poiché la grande maggioranza degli ebrei si trova in Occidente, questo riavvicinamento tra cristiani ed ebrei è facilmente distinguibile dalla questione politica posta dallo Stato di Israele e dal movimento sionista»[27]. Willebrands disse ai suoi colleghi europei e nordamericani che forse occorreva rivalutare l’intero progetto.

Le preoccupazioni dei vertici ecclesiali del Medio Oriente furono dunque recepite. Durante la quarta sessione dei lavori conciliari, il vescovo svizzero François Charrière dichiarò che il Concilio stava realmente prestando ascolto a tali preoccupazioni: «Non dobbiamo dare l’impressione di imporre decisioni alle altre Chiese solo perché siamo la maggioranza numerica. L’unanimità dei patriarchi orientali e il rapporto di monsignor Willebrands sono impressionanti. L’esistenza delle Chiese orientali ci obbliga a non basarci solo sui numeri. Conta una sola realtà: le Chiese orientali sono contrarie alla dichiarazione. Non possiamo costringerle ad accettare le nostre idee… Il nostro Concilio non è un Concilio latino: è un Concilio ecumenico»[28]. Massimo IV, gratificato dal fatto che la voce dei prelati mediorientali veniva ascoltata, cominciò a moderare la propria posizione e sostenne l’approvazione di un testo riformulato, facendo opera di persuasione in tal senso anche presso i suoi colleghi mediorientali[29].

Il frutto del dialogo tra Bea (e i suoi collaboratori) e Massimo IV (e i suoi colleghi) fu considerevole. In particolare, il documento sugli ebrei fu inserito in un contesto più ampio, relativo all’atteggiamento della Chiesa verso la pluralità delle religioni non cristiane. Il lungo paragrafo 4 sugli ebrei fu preceduto da un paragrafo 3, più breve ma non meno rivoluzionario, sull’atteggiamento della Chiesa verso i musulmani, definito di «stima». Uno dei principali redattori del paragrafo sui musulmani fu Georges Anawati, un domenicano egiziano che Bea aveva voluto nel Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani come consulente per le Chiese orientali. Egli svolse un ruolo essenziale nello sviluppo del dialogo con i musulmani[30]. Inoltre, il paragrafo 4 della Nostra aetate, sull’atteggiamento verso il popolo ebraico, affermava che «la Chiesa […], memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque». L’atteggiamento della Chiesa verso il popolo ebraico è radicato nel Vangelo e non può essere ricondotto a motivazioni politiche. Espressa in poche parole – «non per motivi politici» –, questa prospettiva fondamentale ha orientato il successivo dialogo della Chiesa con il popolo ebraico.

Quando, il 14 ottobre 1965, presentò il testo riformulato, Bea riconobbe il processo di apprendimento che si era svolto nel dialogo interno tra i vescovi europei-nordamericani e quelli mediorientali: «Tutti questi sforzi miravano a due cose: 1) ovviare, per quanto possibile, a qualsiasi interpretazione meno esatta riguardo alla dottrina teologica proposta nello schema; 2) assicurare che la natura esclusivamente religiosa dello schema fosse chiaramente espressa, in modo che con ogni mezzo fosse preclusa la strada a qualsiasi interpretazione politica»[31]. Il lungo processo, nel corso del quale i vescovi arabi giunsero ad accettare un documento che trattava dell’ebraismo tra le religioni e i vescovi europei si disposero ad ascoltare le preoccupazioni della Chiesa in Medio Oriente, culminò con la promulgazione della dichiarazione nota come Nostra aetate, il 28 ottobre 1965.

Conclusione


Bea affermò: «A questa Dichiarazione si può applicare a buon diritto l’immagine biblica del granello di senape. Dapprima infatti si trattava di una semplice dichiarazione breve che concerneva l’atteggiamento dei cristiani verso il popolo ebraico. Col trascorrere del tempo poi, e soprattutto a motivo della discussione tenuta in quest’aula, quel granello, per vostro merito, è riuscito quasi un albero, su cui molti uccelli già trovano il loro nido, cioè in essi, almeno in qualche modo, tutte le religioni non cristiane occupano il loro posto quasi nello stesso modo in cui il Sommo Pontefice felicemente regnante nell’Enciclica Ecclesiam Suam abbraccia tutti i non cristiani»[32].

Non meno importante della formulazione della Nostra aetate per la vita della Chiesa fu il processo attraverso il quale la Chiesa latina si aprì a un fecondo dialogo con le varie Chiese orientali, ampliando la comprensione che la Chiesa ha di sé stessa come veramente cattolica. Nel novembre 1964 il Concilio pubblicò un decreto sulla comunione tra la Chiesa latina d’Occidente e le Chiese cattoliche d’Oriente, Orientalium Ecclesiarum, affermando che «il santo Concilio molto si rallegra della fruttuosa e attiva collaborazione delle Chiese cattoliche d’Oriente e d’Occidente»[33]. Massimo IV e Bea furono tra i pionieri di questo continuo processo di ascolto e apprendimento reciproco.

Nel 1985, vent’anni dopo la pubblicazione della Nostra aetate, la Chiesa chiarì ulteriormente come l’impegno in un dialogo costruttivo con il popolo ebraico dovesse essere distinto dalle questioni diplomatiche e politiche relative allo Stato d’Israele e al popolo palestinese. I cattolici possono certamente comprendere l’attaccamento religioso degli ebrei alla terra d’Israele, ma Israele in quanto Stato deve essere soggetto al diritto internazionale. «I cristiani sono invitati a comprendere questo vincolo religioso che affonda le sue radici nella tradizione biblica, pur non dovendo far propria un’interpretazione religiosa particolare di tale relazione. […] Per quanto si riferisce all’esistenza dello Stato di Israele e alle sue scelte politiche, esse vanno viste in un’ottica che non è di per sé religiosa, ma che si richiama ai principi comuni del diritto internazionale»[34].

Questa tensione tra il dialogo religioso, spirituale e teologico con il popolo ebraico e il conflitto tra Israele e Palestina è tuttora al centro dei rapporti tra ebrei e Chiesa cattolica. Nel suo discorso ai cristiani non cattolici e ai rappresentanti delle altre religioni, il giorno dopo l’inaugurazione del suo pontificato, papa Leone XIV ha affermato: «A motivo delle radici ebraiche del cristianesimo, tutti i cristiani hanno una relazione particolare con l’ebraismo. La Dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4) sottolinea la grandezza del patrimonio spirituale comune a cristiani ed ebrei, incoraggiando alla mutua conoscenza e stima. Il dialogo teologico tra cristiani ed ebrei rimane sempre importante e mi sta molto a cuore. Anche in questi tempi difficili, segnati da conflitti e malintesi, è necessario continuare con slancio questo nostro dialogo così prezioso»[35].

La soluzione dei «conflitti e malintesi» nel rapporto tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico sarà notevolmente facilitata quando gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi sapranno trovare un modo di convivere in condizioni di uguaglianza, giustizia e pace. Paolo VI, nel suo messaggio natalizio del 1975, lanciò un appello in tal senso: «Benché consapevoli delle tragedie non lontane che hanno spinto il Popolo Ebraico a ricercare un sicuro e protetto presidio in un proprio Stato sovrano e indipendente, […] vorremmo invitare i figli di questo Popolo a riconoscere i diritti e le legittime aspirazioni di un altro Popolo, che ha anch’esso lungamente sofferto, la gente palestinese»[36]. Tutti i Pontefici successivi hanno ripreso più volte questo appello.

Copyright © La Civiltà Cattolica 2025
Riproduzione riservata
***


[1] J. Isaac, «Notes about a crucial meeting with John XXIII», in Council of Centers on Jewish-Christian Relations (ccjr.us/dialogika-resources/documents-and-statements/jewish/isaac1960), 13 giugno 1960.

[2] A. Bea, La Chiesa e il popolo ebraico, Brescia, Morcelliana, 2015, 7.

[3] Cfr J. Borelli, «Correcting the Nostra Aetate Legend: The Contested, Minimal, and Almost Failed Effort to Embrace a Tragedy and Amend Christian Attitudes Toward Jews, Muslims, and the Followers of Other Religions», in K. Ellis (ed.), Nostra Aetate, Non-Christian Religions and Interfaith Relations, Cham, Palgrave Macmillan, 2021, 31.

[4] Esempi di questa categorizzazione si trovano nell’importante storia del Concilio di G. Caprile (ed.), Il Concilio Vaticano II: Cronache del Concilio Vaticano II. Quarto Periodo, Roma, La Civiltà Cattolica, 1965, 277 s.

[5] Un esempio di questa posizione è il libro di A. Melloni, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il Concilio Vaticano II (1959-1965), Bologna, il Mulino, 2000, 310-318.

[6] Cfr P. Doria, Il contributo del patriarca Maximos IV Saigh e della Chiesa greco-melchita al Concilio Vaticano II, Todi (Pg), Tau, 2023.

[7] Cfr Maximos IV, «Chapter 14: The Church and Other Religions», in L’Église Grecque Melkite au Concile, Rabweh, Dar al-Kalima, 1967; traduzione inglese e presentazione di R. Taft (melkite.org/faith/faith-worship/chapter-14).

[8] Ivi.

[9] Ivi.

[10] Citato in S. Shofani, The Melkites at the Vatican Council II: Contribution of the Melkite Prelates to Vatican Council II, Bloomington, AuthorHouse, 2005, 106 s.

[11] K. Rahner, «Towards a Fundamental Theological Interpretation of Vatican II», in Theological Studies 40 (1979/4) 717.

[12] I contatti ebraici di Bea annunciarono che avrebbero nominato un funzionario civile israeliano, Chaim Wardi, come referente presso la Chiesa a Roma, con l’approvazione del governo israeliano. Il passo suscitò indignazione sia in Vaticano sia in Medio Oriente. La conseguenza fu il ritiro del documento sugli ebrei dall’agenda della prima sessione del Concilio.

[13] Paolo VI, s., Allocuzione nel solenne inizio della seconda sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29 settembre 1963.

[14] A. Bea, La Chiesa e il popolo ebraico, cit., 141.

[15] Maximos IV, «Chapter 14: The Church and Other Religions», cit.

[16] A. Bea, La Chiesa e il popolo ebraico, cit., 22.

[17] Paolo VI, s., Enciclica Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964, n. 111.

[18] Maximos IV, «Chapter 14: The Church and Other Religions», cit.

[19] Cfr «Liban – Chronique», in Proche-Orient Chrétien, 14 (1964) 368.

[20] S. Shofani, The Melkites at the Vatican Council II, cit., 107.

[21] A. Bea, La Chiesa e il popolo ebraico, cit., 147.

[22] Ivi, 152.

[23] Ivi, 153 s.

[24] Il comunicato venne riprodotto in Proche-Orient Chrétien, 14 (1964) 393-396.

[25] Maximos IV, «Chapter 14: The Church and Other Religions», cit.

[26] Cfr «Una Lettera del Santo Padre ai Patriarchi con sede nei Paesi Arabi», in L’Osservatore Romano, 6 gennaio 1965.

[27] Acta synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, V/3, 319 (archive.org/details/ASV.3/page/318/mode/2up?view=theater).

[28] C. Stackaruk, «Retrieving MENA Catholics’ Contributions to Nostra Aetate», tesi di dottorato, University of St. Michael’s College, 2022, 193.

[29] Un resoconto affascinante e puntuale del ruolo di Maximos IV si trova in P. Doria, Il contributo del patriarca Maximos IV Sajgh…, cit., 75-103.

[30] Cfr J.-J. Pérennès, Georges Anawati (1905-1994): Un chrétien égyptien devant le mystère de l’Islam, Paris, Cerf, 2008.

[31] A. Bea, La Chiesa e il popolo ebraico, cit., 160.

[32] Ivi, 155.

[33] Paolo VI, s., Decreto sulle Chiese cattoliche orientali Orientalium Ecclesiarum, 21 novembre 1964, n. 30.

[34] Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica, 1985 (tinyurl.com/bdshvbcb).

[35] Leone XIV, Discorso ai rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali e di altre religioni, 19 maggio 2025.

[36] Paolo VI, s., Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura romana, 22 dicembre 1975, in vatican.va/feed/rss

The post Come è stata scritta la dichiarazione «Nostra Aetate» first appeared on La Civiltà Cattolica.



Usa e Francia multano Google, violazione della privacy di quasi 100 milioni di utenti

[quote]ROMA – Google è stata condannata a pagare 425,7 milioni di dollari a quasi 100 milioni di utenti per aver violato la loro privacy. A deciderlo una sentenza della giuria…
L'articolo Usa e Francia multano Google, violazione della privacy di quasi 100 milioni di utenti



Va curato senza dimenticare

@Politica interna, europea e internazionale

Renato Vallanzasca è detenuto e sta male –Di fronte a una petizione che ha racimolato un migliaio di firme per chiedere a Sergio Mattarella la grazia per Renato Vallanzasca -promossa da uno degli ex membri della sua banda, Alfredo “Tino” Stefanini – è facile lasciarsi investire dal giudizio morale, dall’indignazione oppure, per converso, da una […]



noyb WIN: La DPA francese multa Google per 325 milioni di euro per le "email di spam" in Gmail La CNIL ha multato Google per 325 milioni di euro per aver creato email di spam in Gmail mickey04 September 2025


noyb.eu/it/noyb-win-french-dpa…



EDRi warns against GDPR ‘simplification’ at EU Commission dialogue


On 16 July 2025, EDRi participated in the European Commission’s GDPR Implementation Dialogue. We defended the GDPR as a cornerstone of the EU’s digital rulebook and opposed further attempts to weaken it under the banner of ‘simplification’. The discussion was more divided than the official summary suggests.

The post EDRi warns against GDPR ‘simplification’ at EU Commission dialogue appeared first on European Digital Rights (EDRi).



Hessisches Psychisch-Kranken-Hilfegesetz: „Aus einem Genesungsschritt wird ein Sicherheitsrisiko gemacht“


netzpolitik.org/2025/hessische…



Reviewing the “Convention against Corruption” in Vienna


The following is a comment from PPI’s main representative at UNOV, Kay Schroeder, who recently tried to attend the United Nations “Convention against Corruption” (UNCAC) in Vienna.

“This week, the “Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption” has begun in Vienna. Unfortunately, I cannot attend, as civil society is barred from participating. Nevertheless, I would like to share my thoughts on the topic of anti-corruption, the obvious impossibility of addressing this issue by the very suspects themselves, and the accompanying shadowboxing.

UNCAC is the highest decision-making body of the United Nations in the fight against corruption. Its tasks include implementing adopted measures, coordinating new initiatives, and deciding on future anti-corruption efforts. A commendable agenda, yet one that falters due to the nature of the states themselves—being the very subjects of corruption through their own representatives in the UN bodies tasked with oversight and enforcement.

It is evident that an institution composed exclusively of state actors can hardly contribute meaningfully to combating corruption, as its representatives are part of the problem. The exclusion of civil society from participation reinforces this impression, especially since we as Pirates have always stood for transparency and decentralization—two essential pillars of anti-corruption that rarely find their way into these forums.

There is, however, some good news from the perspective of anti-corruption. Quite unironically, Austria has today abolished official secrecy. After 100 years, the Freedom of Information Act is making its debut. That’s longer than the UN has existed.”

We thank Mr. Schroeder and all of our PPI UN representatives for their hard work attempting to represent us at the UN and reporting back to us.

If you or any other Pirates you know would like to participate in UN events, please let us know by filling out the volunteer form: lime.ppi.rocks/index.php?r=sur…

If you would like to help PPI continue to send representatives to these meetings, please consider making a small donation to our organization or becoming a member. If you would like to be involved personally in the movement, by writing about these issues or attending events, please let us know.

pp-international.net/donations…

Kay Schroeder at UNOV for the UNCAC


pp-international.net/2025/09/r…



Ah però... avevano finito i francobolli per le lettere di licenziamento e hanno avuto questa idea brillante?


Stellantis ha chiesto ai suoi operai italiani di andare a lavorare in Serbia - Il Post
https://www.ilpost.it/2025/09/04/stellantis-operai-italiani-serbia/?utm_source=flipboard&utm_medium=activitypub

Pubblicato su News @news-ilPost




Il prezzo della sorveglianza: perché la polizia irlandese ha pagato una società israeliana di spyware?


@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Nelle pieghe opache della sicurezza nazionale, la linea tra difesa dello Stato e abuso di potere è sottile. L’ultima vicenda che riporta questo conflitto al centro del dibattito arriva dall’Irlanda, dove i




Restoring a Vintage Intel Prompt 80 8080 Microcomputer Trainer


Scott and his Prompt 80

Over on his blog our hacker [Scott Baker] restores a Prompt 80, which was a development system for the 8-bit Intel 8080 CPU.

[Scott] acquired this broken trainer on eBay and then set about restoring it. The trainer provides I/O for programming, probing, and debugging an attached CPU. The first problem discovered when opening the case is that the CPU board is missing. The original board was an 80/10 but [Scott] ended up installing a newer 80/10A board he scored for fifty bucks. Later he upgraded to an 80/10B which increased the RAM and added a multimodule slot.

[Scott] has some luck fixing the failed power supply by recapping some of the smaller electrolytic capacitors which were showing high ESR. Once he had the board installed and the power supply functional he was able to input his first assembly program: a Cylon LED program! Making artistic use of the LEDs attached to the parallel port. You can see the results in the video embedded below.

[Scott] then went all in and pared down a version of Forth which was “rommable” and got it down to 5KB of fig-forth plus 3KB of monitor leads to 8KB total, which fit in four 2716 chips on the 80/10B board.

To take the multimodule socket on the 80/10B for a spin [Scott] attached his SP0256A-AL2 speech multimodule and wrote two assembly language programs to say “Scott Was Here” and “This is an Intel Prompt 80 Computer”. You can hear the results in the embedded video.

youtube.com/embed/C9CFD0suW_0?…

Thanks to [BrendaEM] for writing in to let us know about [Scott]’s YouTube channel.


hackaday.com/2025/09/03/restor…



Florry – Sounds Like…
freezonemagazine.com/articoli/…
Sono stati quelli estivi, mesi di “esplorazione” della scena alternativa americana che ha fruttato risultati sorprendenti per la sterminata quantità di band presenti, meno per la qualità della musica proposta, essendo questa in diverse occasioni, interessantissima e degna di essere conosciuta. Cresciuti nel calore crepitante della scena DIY di Philadelphia e forgiati dall’azione comunitaria, dalla
Sono stati


Potremmo introdurre corsi per la preparazione del Gorgonzola, al Classico.


Valditara: “Abbiamo bisogno di scuole che sappiano tramandare le tradizioni”
@scuola
corriereuniv.it/valditara-abbi…

“Abbiamo bisogno di scuole che sappiano tramandare il meglio della nostra tradizione culturale, artistica e artigianale”. Lo ha dichiarato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara durante la sua visita al Liceo Artistico Scuola del Libro di Urbino, in provincia di Pesaro




Next Sosyal è una nuova piattaforma social turca basata su Mastodon.

La piattaforma non ha abilitato la federazione e quindi non è accessibile dal fediverso. Next Sosyal è sostenuta dal partito turco al potere AKP e il presidente Erdoğan ha recentemente pubblicato il suo primo post sulla piattaforma.

"Viviamo in un mondo in cui i governanti autoritari sembrano avere una comprensione migliore delle attuali dinamiche dei social media rispetto a molti leader democratici. Sia Trump che Erdogan comprendono il valore di costruire una piattaforma social in cui avere un contatto diretto con i propri sostenitori e poter controllare la distribuzione dei messaggi. È doloroso che entrambi i leader utilizzino Mastodon per questo scopo, mentre la leadership democratica mostra scarso interesse a costruire le proprie piattaforme di distribuzione social sul social web aperto."
Da Fediverse Report

@Che succede nel Fediverso?

nordicmonitor.com/2025/08/erdo…

reshared this

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

proprio così: dittatori ed estremisti vari, hanno l'interesse a portare le persone dalla loro parte. I politici che ci siamo scelti lato progressista invece, spesso sono progressisti solo a parole ma usano retoriche e metodi da conservatori.

Basta guardare anche qua in Europa, in Germania la campagna di AFD. Il biglietto aereo con scritto "paese sicuro" e il qr col loro sito, la foto della coppietta che simula la casetta coi bambini e il saluto romano. Comunicano molto bene:

in reply to Elena Brescacin

@talksina la farei ancora più semplice: i sedicenti progressisti sono delle pippe. Così scandalosamente pippe che in confronto Fratelli d'Italia e AFD sembrano quasi soggetti normali

@notizie @fediverso

in reply to informapirata ⁂

@informapirata Il discorso è che un regime, ci mette nulla a usare una piattaforma libera, a proprio favore. E quello che specificamente per Mastodon è un vantaggio (scegliere di federarsi o meno, di bloccare pure il mondo intero se si vuole)... diventa un punto a favore per i regimi perché siamo noi i primi a consentirglielo. La versione informatica del famoso paradosso di Karl Popper su tolleranza e intolleranza.

informapirata ⁂ reshared this.

in reply to Elena Brescacin

@talksina @informapirata non so, un regime può ignorare ogni limite etico, morale e piegare le leggi a proprio favore, pertanto può abusare ogni tipo di piattaforma, anche crearne di proprie con proprie regole (vedi Truth)...
My2cents
in reply to alexraffa

@alexraffa @informapirata Un regime è un regime quindi pesta i piedi a tutti. Quello è un social turco per i turchi. La mia riflessione era più a lungo termine nel senso che la tecnologia permette ai regimi di essere molto più oppressivi di prima. E poi, avendo il social network governativo, il governo fa passare solo quello che vuole far passare (incluse emergenze sanitarie, calamità naturali, ecc).
in reply to Elena Brescacin

@talksina @informapirata vero da una parte ma dall’altra esistono moderatori che possono anche applicare ban e divieti ad utenze specifiche e poi se pensiamo così non siamo più liberi nemmeno di “sentirci liberi” non ti pare? E con @ufficiozero nessuno potrà controllarti ed avrai un accesso diretto con il fediverso per le applicazioni già installate dei @devol 😉
in reply to El Salvador

@salvadorbs
Pubblicità? Ah, parlavi di ufficio zero... pensavo dicessi a me LOL
Seriamente qua i progetti interessanti tipo ufficio zero appunto, vengono diffusi sempre in questa piattaforma ma chi dovrebbe saperli davvero -cioè le PA- non li conoscono.
in reply to Elena Brescacin

@talksina @salvadorbs certo che la PA conosce Ufficio Zero ma è invogliata ad utilizzare sistemi proprietari grazie alle lobby che foraggiano e non aggiungo altro ma posso dirti che basta poco per capire quale distro italiana è più attiva e se ci contattano offriamo di sicuro il nostro supporto 😉
in reply to Julian Del Vecchio

@Julian Del Vecchio il problema delle soluzioni basate su Linux come per tutte le soluzioni basate su software libero, ma il discorso si può estendere a tutti i software e i servizi che non sono considerati leader del settore, e la percezione comune che non li vede come software e servizi affidabili punto

Non c'è alcun solo direttore it che non si sia trovato di fronte al dilemma tra acquistare software o servizi dei leader del settore rispetto al non acquistarli: la scelta andrà sempre ai leader del settore perché ti consente di devolvere la responsabilità della scelta. Infatti se le cose andranno male tu potrai sempre dire che ti sei affidato al leader del settore... in questo modo ottieni il frutto, ossia il pagamento dello stipendio da direttore, e rinunci alla scorza, ossia il fatto che non ti prendi praticamente alcuna responsabilità in caso di problemi.

Questo è il motivo per cui nella pubblica amministrazione e nella grande impresa è sempre molto difficile scalzare i cosiddetti e sedicenti leader del settore

@El Salvador @Elena Brescacin

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

@redflegias @salvadorbs A me di tutte queste piattaforme libere linux-based, spaventa una cosa: le persone con disabilità non sono considerate come dovrebbero. Cioè: qualcosa c'è, ma tipo Orca di linux (sia come output vocale sia come prestazioni) non è minimamente paragonabile neanche allo stesso NVDA, open source, per Windows. E non si può fare porting perché NVDA si fonda sulle librerie di microsoft. (1/2)
in reply to Elena Brescacin

Il punto è che, è un coccodrillo che si morde la coda. Ci lavoriamo su? No, se nessuno ci finanzia / ci obbliga, è già di nicchia di suo.
E iniziare a usarlo nelle pubbliche amministrazioni su larga scala, sarebbe la spinta necessaria a sbloccare anche questo.
Ma secondo me sul software libero grava tutta una serie di stereotipi come "è da hacker", con l'accezione negativa, data per assodata, del termine. (2/2)
in reply to Elena Brescacin

@talksina @salvadorbs per le disabilità abbiamo parecchi software introdotti sulla nostra Edu e @lorenzodm sta sviluppando un software per la dislessia per cui nel nostro piccolo con @ufficiozero e @BoostMediaAPS facciamo la nostra parte…. Gli altri dove sono?!? 😉
in reply to Julian Del Vecchio

@redflegias @salvadorbs @lorenzodm @ufficiozero @BoostMediaAPS Ora sto scrivendo con uno smartphone di una grossa azienda che ha lo screen reader interno. E (almeno per le mie esigenze di produttività) è ancora il migliore, purtroppo. E dico purtroppo, perché è la compagnia più chiusa al mondo che non ti fa installare materiale fuori dal proprio ecosistema. (1/3)
in reply to Elena Brescacin

L'azienda col leader (omosessuale) che da una parte difende a spada tratta accessibilità e diversity, dall'altra lecca gli stivali a Donald Duck fino a consumarglieli.
Una volta ho contattato quelli di Fair Phone, dicendo loro che un telefono non ottimizzato per l'accessibilità non è un telefono etico. E loro me ne hanno fatto una ragione di costi, sul motivo dell'inaccessibilità. (2/3)
in reply to Elena Brescacin

Io personalmente mi ritrovo (disabilità visiva) a essere dipendente dalle grosse aziende di tecnologia pur non volendolo e questo però non vuol dire far loro i complimenti. A me non viene niente se critico Apple. A Tim Cook se mandasse all'inferno Donald omofobo, invece sì. (3/3)
Questa voce è stata modificata (5 giorni fa)
in reply to Elena Brescacin

@talksina Scusa se faccio il pignolo, ma quello con il braccio teso si chiama saluto fascista, non saluto romano. I romani non salutavano in quel modo.
in reply to ricci

@ricci No, va benissimo puntualizzare. Perché a volte si usano le parole sentendo tutti quanti associarle allo stesso concetto, e ci si convince sia giusto (infatti io ero convinta si chiamasse "romano" per la marcia su Roma, non per l'antica Roma). Io rimprovero sempre chi usa la parola "woke" travisata come fanno i media di destra, o il termine "hacker" come utente malintenzionato quando significa tutt'altro. Poi faccio lo stesso errore anch'io. Siamo umani.
in reply to ricci

@ricci sicuramente il saluto romano non c'entra nulla con i romani di nessun'epoca, ma si chiama proprio saluto romano. Non voglio fare il pignolo, ma anche se puoi liberamente chiamarlo saluto fascista, priapismo brachiale o refrigerazione ascellare, il termine corretto è proprio saluto romano

@Elena Brescacin

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

@ricci "saluti romani ---> tiri su la mano" (non è mia, è di 101 anagrammi zen)

Poi oh! Ognuno dica quello che vuole ma è giusto dargli il nome corretto.
Anche se l'attribuzione a Roma non è precisa (sto leggendo fonti su Wikipedia) l'hanno sempre chiamato così. Io per non farmi mancare niente ho sempre detto "il saluto dell'estrema destra"

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

@ricci Anche perché a questo punto, volendo parlare di nomi e miti, quando si dice "lapalissiano" per definire una cosa tremendamente ovvia, si alimenta un mito: Jacques De La Palice, morto in guerra, associato a un equivoco per un epitaffio "se non fosse morto, farebbe ancora invidia".
Ma la f di "ferait" (farebbe) è diventata "s" (sarebbe), "envie" -invidia) è stato separato in "en vie" -in vita- e allora ecco "se non fosse morto, sarebbe ancora vivo" Perculato per secoli.
in reply to Elena Brescacin

@Elena Brescacin il fatto è che il presunto richiamo a un passato vero o adulterato non è un dettaglio, ma è un elemento fondante di quello che sarà il fascismo e di quello che saranno tutti i fascismi, che non sono semplice dittatura e autoritarismo, ma aggiungono l'elemento mitico che riesce ad avere una presa unica all'interno del tessuto sociale e garantisce in tal modo quel consenso ideologico che fa la differenza

@ricci

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

@ricci E certo. Dandosi falsa referenza, falsa autorità, come quando si ripete a memoria "la scienza dice" [cazzata a caso] "l'ho visto su [rivista accademica]" poi era un predatory study. Uno che ha pagato per farsi pubblicare.
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Ti do ragione sul fatto che non è vero che non si chiama saluto romano, come invece avevo scritto. Dopotutto la lingua la fanno i parlanti, quindi se tutti lo chiamano così, allora quello è il suo nome. Io però mi rifiuto di usare il nome che gli hanno dato i fascisti se questo è storicamente inaccurato. Voglio contrastare quell'infondato elemento mitico che permette al fascismo di fare presa. @talksina
in reply to ricci

@ricci
Su lingua, parole e storie, fa presa maggiormente quello che è più facile trasmettere alla gente poco acculturata. E non uso "trasmettere" a caso, parlando di parole: se tu vai all'estero per esempio U=U è un concetto assodato. Si parla di HIV. Invece qua in Italia ancora "se lo conosci lo eviti" con tanto di alone viola si porta dietro lo stigma, è difficile spiegare cosa voglia dire "undetectable untransmittable", ignorano la differenza tra HIV e AIDS... figurarsi la politica.
in reply to ricci

@ricci Aggiungo: l'intento di scardinare i miti del regime è nobile, il problema è che per scardinarlo davvero, dobbiamo cercare di incrinare la corazza che si sono costruiti, provando a riconquistare il pubblico.
Loro perché hanno successo? Perché illudono di semplificare la complessità con la forza, e la retorica. Se noi iniziamo a usare parole che il pubblico non capisce, creiamo muro a prescindere.


Pixelfed v0.12.6 è ora disponibile e introduce le "stories"

@Che succede nel Fediverso?


Pixelfed v0.12.6 is now available!

With Stories ✨

github.com/pixelfed/pixelfed/r…





Dare luogo alla pace. A Catania la Piazza delle Tre Culture


@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/09/dare-lu…
Riparte da Catania la “Global Sumud Flottilla”. Basterà un filo di maestrale per far giungere i pacifisti (non terroristi!) in Palestina. La Sicilia si dimostra ancora crocevia del Mediterraneo e

Alfonso reshared this.



Microchip, il governo americano mette un freno a Tsmc in Cina

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Dopo Samsung e Sk Hynix, gli Stati Uniti hanno privato anche Tsmc dell'agevolazione per l'esportazione di macchinari per i microchip in Cina. Washington è sempre più determinata a evitare che Pechino migliori le sue capacità

in reply to Informa Pirata

poi magari pechino bloccherà o razionerà le "terre rare" ed il tromphio trump si calerà le braghe,metterà un alteo 200% di dazi!?🤔

Informa Pirata reshared this.



Vi racconto la missione di Praexidia, la fondazione a tutela delle imprese. Parla il gen. Goretti

@Notizie dall'Italia e dal mondo

Difesa, aerospazio, cybersicurezza, biotecnologie e infrastrutture critiche: sono questi i settori al centro della missione della Fondazione Praexidia, nuova realtà nata con l’obiettivo di tutelare e valorizzare le filiere



YouTuber Benn Jordan has never been to Israel, but Google's AI summary said he'd visited and made a video about it. Then the backlash started.

YouTuber Benn Jordan has never been to Israel, but Googlex27;s AI summary said hex27;d visited and made a video about it. Then the backlash started.#News #AI

#ai #News #x27

Breaking News Channel reshared this.



C’è un giudice a Berlino anche per Google: lo spezzatino si allontana?

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
La decisione del giudice distrettuale statunitense giunge a un anno di distanza dalla sentenza secondo la quale Google deteneva illegalmente il monopolio della ricerca su Internet. Mountain View




L’eredità dell’omicidio Dalla Chiesa e le cose ancora da fare


@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/09/leredit…
La memoria del generale, prefetto, Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato a Palermo il 3 settembre 1982 all’esito di una convergenza di interessi mai completamente chiarita e punita può anche



Dai think tank al campo di battaglia. L’IA militare tra Washington e Kyiv

@Notizie dall'Italia e dal mondo

Dalle linee di trincea ucraine fino alla Silicon Valley, passando per gli uffici del Pentagono. La corsa all’intelligenza artificiale militare rappresenta oggi il nuovo terreno di competizione tra potenze. La notizia riportata da Politico, nuda e cruda, è che quando affidi scenari di crisi a modelli




INTELLIGENZA ARTIFICIALE: QUALE RISPONDE MEGLIO SENZA INVENTARE NULLA?

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

Geoffrey A. Fowler, editorialista del The Washington Post sui temi della tecnologia, si è chiesto quale delle intelligenze artificiali sia la più brava...
L'articolo INTELLIGENZA ARTIFICIALE: QUALE RISPONDE MEGLIO SENZA INVENTARE NULLA? proviene da GIANO NEWS.



Israele manda i droni contro l’Onu. Unifil: “Granate a venti metri da noi”


@Notizie dall'Italia e dal mondo
La missione ONU in Libano accusa Israele di aver messo in pericolo il proprio personale nonostante l’avviso preventivo; cresce la tensione lungo la frontiera mentre resta irrisolto il ritiro delle truppe dal sud del Paese.
L'articolo Israele manda i droni contro l’Onu. Unifil: “Granate a



Trump sceglie “Rocket city” come nuova sede dell’US Space command

@Notizie dall'Italia e dal mondo

Dopo speculazioni sulle possibili novità annunciate durante la conferenza stampa di Trump, tra cui l’ipotesi di un intervento contro il Venezuela, il presidente americano ha sorpreso tutti annunciando il trasferimento del quartier generale dello US Space command da Colorado Springs, Colorado, a



Burkina Faso, nuova legge contro la comunità LGBTQ: fino a cinque anni di carcere


@Notizie dall'Italia e dal mondo
La nuova normativa, approvata all’unanimità dal parlamento di transizione, prevede da due a cinque anni di carcere, multe e la deportazione per gli stranieri recidivi.
L'articolo Burkina Faso, nuova legge contro la comunità LGBTQ: fino a cinque



Perché l’Ue sfruculia ancora Meta

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Dopo la multa da 200 milioni che la Commissione Ue ha elevato a Meta lo scorso aprile, la Big Tech americana guidata da Mark Zuckerberg (che s'è più volte lamentato che nel Vecchio continente non si possa fare innovazione a causa dell'impianto normativo) rischia

in reply to Informa Pirata

E Meta ancora non capisce un cazzo! Per l'ennesima volta!

youtube.com/watch?v=ymHyOmlUlP…