L’assistenza pastorale agli studenti internazionali
Introduzione
A partire dagli anni Novanta, l’internazionalizzazione e la globalizzazione dell’istruzione superiore hanno fatto registrare una tendenza significativa. Il numero totale degli studenti internazionali presso gli istituti di istruzione superiore degli Stati Uniti, per esempio, ha raggiunto un livello record nell’anno accademico 2023-24, superando 1,1 milioni, e ora costituisce il 6% della popolazione totale dell’istruzione superiore degli Usa[1]. Nell’anno accademico 2022-23, le università del Regno Unito hanno ospitato un totale di 758.855 studenti internazionali, di cui 663.355 provenienti da regioni extra-Ue[2]. Nel 2023 il Canada ha calcolato un totale di 1.040.985 studenti stranieri nei vari livelli di istruzione[3]. A settembre 2024, il numero di studenti esteri iscritti in Australia ha toccato quota 1.018.799, con un aumento del 16% rispetto al 2019[4]. Oltre alle nazioni menzionate, anche altre, come la Corea del Sud, la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, hanno attratto un numero considerevole di studenti provenienti da altri Paesi[5].
Lo sviluppo continuo dell’economia globale ha profondamente influenzato i modelli di sviluppo educativo in tutto il mondo, e al tempo stesso ha presentato nuove criticità alla società e alla cultura internazionale. La civiltà e l’istruzione globalizzate costituiscono un elemento cruciale nel percorso della storia mondiale: rappresentano sia una missione storica sia l’obbligo di connettersi al mondo e comprenderlo, nonché una forza trainante per promuovere il dialogo e il progresso in diversi campi.
L’ondata di studenti che oggi studiano all’estero, così come i gruppi universitari che compiono viaggi in altre sedi per studi specialistici e visite accademiche, ha raggiunto le istituzioni cattoliche in tutto il mondo ed è arrivata alle nostre porte. Non è forse il caso che le università cattoliche ripensino e rivalutino la loro missione e vocazione in questo particolare momento e in risposta a tali sviluppi? E quali efficaci metodologie educative possono adottare le istituzioni cattoliche per fornire assistenza pastorale agli studenti internazionali?
Questo articolo esamina anzitutto le sfide affrontate da questi studenti e il crescente numero delle loro iscrizioni in istituzioni cattoliche. Quindi analizza come le università cattoliche possano sostenere e promuovere efficacemente la missione della Chiesa, fornendo una migliore assistenza pastorale e di supporto a questi studenti. Traendo ispirazione dagli insegnamenti della Chiesa, come l’enciclica Fratelli tutti, invita le università cattoliche a rafforzare sotto svariati aspetti il loro impegno nei confronti degli studenti internazionali. Infine, presenta un case study che mette in luce pratiche esemplari di assistenza pastorale per questa specifica popolazione studentesca.
Principali sfide affrontate dagli studenti internazionali
I giovani che studiano e vivono all’estero affrontano ostacoli considerevoli nel loro adattamento culturale, che spesso entra in conflitto con la preservazione della loro identità culturale. Essi si trovano a fronteggiare barriere linguistiche, sociali e culturali che non comportano solo difficoltà accademiche, ma li fanno sentire anche socialmente isolati, e questo fatto mette in crisi la loro integrazione nella società. Costretti ad adattarsi a nuove norme sociali e culturali, essi tuttavia sono riluttanti ad abbandonare completamente la loro identità culturale. Questo conflitto tra l’adattamento e il mantenimento della loro cultura tradizionale diventa un fardello psicologico notevole. Talvolta essi preferiscono associarsi con coetanei del loro Paese di origine per mantenere la prossimità e trovarsi a loro agio, ma questo comportamento crea una divisione tra loro e gli studenti locali o altri studenti di diversa nazionalità e condiziona ulteriormente la loro capacità di integrarsi nella società.
Inoltre, talvolta gli studenti internazionali si trovano ad affrontare ostacoli quali razzismo, xenofobia e stereotipi culturali, come pure trattamenti disuguali in materia di alloggio, occupazione e interazioni sociali, ai quali possono aggiungersi anche difficoltà a sostenere i propri diritti e a garantirsi un trattamento equo. L’impresa di impostare il percorso della propria carriera in una società straniera può rivelarsi ardua, accrescendo negli studenti sentimenti come l’incertezza e l’ansia. Essi devono confrontarsi non solo con potenziali pregiudizi da parte dei datori di lavoro riguardo all’assunzione di candidati stranieri, ma anche con le notevoli pressioni che avvertono da parte dei loro genitori, i quali considerano lo studio all’estero un trampolino di lancio per lo sviluppo della carriera dei propri figli.
Queste dinamiche interpersonali vengono ulteriormente complicate dalle relazioni geopolitiche: in particolare, i cambiamenti nella diplomazia internazionale spesso si ripercuotono direttamente sulle politiche riguardanti i visti e sull’ambiente di studio. In sostanza, si tratta di sfide multiformi, che illuminano la necessità, da parte delle istituzioni educative cattoliche e di altre entità accademiche, di fornire solidi sistemi di supporto, che promuovano l’inclusività, la comprensione, la solidarietà e la sicurezza per gli studenti internazionali, in un panorama politico e sociale globale sempre più complesso.
Gli studenti internazionali nelle istituzioni cattoliche
Dal punto di vista delle istituzioni cattoliche, gli studenti internazionali possono essere generalmente suddivisi in due categorie principali. La prima comprende i giovani cattolici che studiano all’estero presso università cattoliche e desiderano assistenza e supporto pastorale, o comunque ne hanno bisogno. La seconda categoria, sulla quale si concentra questo articolo, è composta da studenti che non sono cattolici. Questo gruppo rappresenta la maggioranza dei fuorisede all’estero, compresi quelli provenienti da Paesi come Cina, India, Giappone e Corea.
Questi studenti, che inizialmente per lo più non condividono la fede cattolica, costituiscono un’importante opportunità di coinvolgimento. Le loro interazioni con gli educatori cattolici, i coetanei e la comunità ecclesiale possono portarli ad apprezzare i valori, la missione e le prospettive cattoliche. Alcuni di loro possono persino desiderare di conoscere la religione più profondamente, dando luogo a potenziali conversioni. In altri l’esperienza presso istituzioni cattoliche può infondere una comprensione duratura e il rispetto per gli insegnamenti e i valori cattolici, che essi manterranno nella loro vita personale e professionale, divenendo ambasciatori informali o collaboratori della missione cattolica.
Iscrizione degli studenti internazionali nelle università cattoliche
Al momento della domanda d’iscrizione o anche in seguito, la maggior parte degli studenti internazionali e dei loro genitori non è a conoscenza della caratterizzazione cattolica di tali istituzioni. La loro scelta, infatti, si basa spesso sulla reputazione della scuola e sui risultati educativi. Ho intervistato centinaia di studenti internazionali dalla Cina, India, Sud Corea, Vietnam, Filippine e Canada e i loro familiari sulle ragioni per cui hanno scelto istituzioni cattoliche: molti genitori sono attratti dalla centralità accordata alle arti liberali e all’istruzione olistica, che dà priorità non solo all’eccellenza accademica, ma anche alla formazione del carattere e all’apprendimento basato sui valori. Essi ritengono che tali istituzioni favoriscano insieme la crescita intellettuale e lo sviluppo morale, in linea con le aspirazioni che essi nutrono per i loro figli. Inoltre, molti genitori sottolineano la cultura accogliente e inclusiva che si respira nei campus delle università cattoliche, dove gli studenti sperimentano un forte senso di valorizzazione personale e di comunità. Questo ambiente di sostegno svolge un ruolo cruciale nell’aiutare gli studenti internazionali alle prime armi ad adattarsi a un nuovo Paese e ad affrontare le problematiche incontrate da chi studia all’estero.
A questi studenti le istituzioni cattoliche offrono più che semplici opportunità accademiche: fungono da vie di accesso verso una comprensione più profonda della fede e dei valori spirituali. Attraverso la partecipazione alle attività religiose del campus e l’immergersi nella tradizione delle arti liberali delle università affiliate alla Chiesa, gli studenti incontrano a poco a poco i valori del Vangelo e lo spirito di servizio promosso dall’istruzione cattolica. Non è detto che i loro percorsi di fede personali portino a una conversione ufficiale, e tuttavia le esperienze vissute nelle istituzioni cattoliche ampliano le loro prospettive culturali e promuovono un dialogo significativo con la tradizione cattolica, alimentando comprensione e rispetto reciproci.
Per promuovere una maggiore comprensione è essenziale sviluppare strategie personalizzate di cura pastorale e di coinvolgimento, che affrontino le diverse esigenze degli studenti internazionali cattolici e non. Quando favoriscono l’inclusione, la crescita spirituale, il dialogo e l’arricchimento reciproco, le istituzioni cattoliche creano un ambiente accogliente in cui gli studenti non solo ricevono una formazione accademica, ma sperimentano anche i valori ecclesiali di servizio, compassione e ricerca intellettuale.
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Guida dagli insegnamenti della Chiesa
Due documenti fondamentali della Chiesa forniscono una guida e ispirazioni preziose a chi intende riesaminare la missione e il significato della cura pastorale per gli studenti internazionali: l’enciclica Fratelli tutti[6] e l’istruzione L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo[7].
Ponendosi davanti a un contesto globale in continua evoluzione, papa Francesco ha dedicato l’enciclica Fratelli tutti, pubblicata nel 2020, ai temi della fraternità globale, della giustizia sociale, della responsabilità condivisa e del dialogo culturale, nell’intento di promuovere un mondo più unito, equo e compassionevole. L’enciclica evidenzia le problematiche sociali che il mondo deve affrontare oggi, tra cui spiccano il divario crescente tra ricchi e poveri, il degrado ambientale, il razzismo, l’esclusione e la divisione sociale. Francesco afferma esplicitamente che, sebbene in tutto il mondo siano presenti diverse culture, fedi e stili di vita, queste differenze non dovrebbero costituire delle barriere, ma piuttosto delle opportunità per promuovere la comprensione reciproca e la cooperazione. Al fine di perseguire la pace e la giustizia, egli sottolinea il ruolo essenziale del dialogo e della cooperazione, dichiarando che nazioni, popoli e culture devono superare differenze e conflitti attraverso una maggiore comprensione e rispetto. Esorta in particolare la Chiesa e i suoi fedeli a svolgere un ruolo attivo in questo sforzo, incarnando lo spirito cristiano di carità e contribuendo alla realizzazione della giustizia sociale e della pace globale. Inoltre, Francesco esorta a porre una maggiore attenzione alle questioni globali della migrazione e dei rifugiati, che considera urgenti e bisognose di una soluzione immediata. Esorta i governi e le società a mostrare maggiore empatia e accettazione verso i migranti, a evitare di escluderli e discriminarli, a offrire loro maggiore protezione e sostegno.
Le scuole cattoliche sono chiamate a favorire
il dialogo a livello religioso, culturale e sociale,
diffondendo la pace.
Nel 2022 l’allora Congregazione per l’educazione cattolica della Santa Sede ha pubblicato un documento sull’educazione cattolica intitolato L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo. In esso viene ricordato che, se è vero che le scuole cattoliche devono rimanere fedeli alla loro identità religiosa, è altrettanto vero che esse sono tenute a rispettare i bagagli culturali e religiosi di tutti i loro studenti, promuovendo la comprensione della diversità e della cittadinanza globale. Le scuole cattoliche sono chiamate a favorire il dialogo a livello religioso, culturale e sociale, diffondendo la pace, la giustizia e l’inclusività attraverso la comprensione e il rispetto. Esse dovrebbero incoraggiare i loro studenti ad apprezzare e a rispettare il multiculturalismo attraverso programmi di studio, attività artistiche e servizi alla comunità. Il documento ricorda inoltre che le scuole cattoliche non sono meri luoghi di trasmissione della conoscenza, ma anche preziose piattaforme vitali da cui diffondere amore, pace, dialogo e comprensione reciproca, e dove far crescere leader sociali e cittadini globali.
La continuazione della missione della Chiesa
Fin dal XVI secolo, quando san Francesco Saverio iniziò il suo viaggio verso l’Oriente, la Chiesa cattolica è stata profondamente impegnata nella propagazione della fede e nella promozione dello scambio culturale in Asia. Quello storico viaggio ha aperto la strada a un’istruzione concepita non soltanto come un mezzo per la trasmissione della fede, ma anche come un ponte per l’integrazione delle culture orientale e occidentale. Tuttavia, negli ultimi decenni è diventato evidente come, malgrado decine di milioni di studiosi e studenti internazionali abbiano attraversato il mondo creando ponti per lo scambio educativo e culturale tra Oriente e Occidente, per la maggior parte le istituzioni ospitanti non abbiano sviluppato un’assistenza pastorale o servizi a loro dedicati.
Questa carenza costituisce un’occasione mancata per l’evangelizzazione da parte delle università cattoliche e delle diocesi locali. Esse infatti, non prestando sufficiente attenzione alle esigenze pastorali degli studenti internazionali, perdono l’opportunità di dare vita al dialogo sociale, alla collaborazione e a una cultura dell’incontro. Insomma, il messaggio e le raccomandazioni dell’enciclica Fratelli tutti non sono stati pienamente accolti al momento di affrontare tali sfide.
Sfide nella cura pastorale per gli studenti internazionali
Interviste fatte a oltre 100 operatori diocesani della gestione pastorale e a più di 400 amministratori scolastici e personale delle cappellanie universitarie mostrano che in pochi hanno risposto in modo proattivo alle peculiari esigenze pastorali degli studenti internazionali; non sono stati molti quelli che hanno riconosciuto l’importanza di costruire ponti di dialogo e incontro culturale per questi studenti.
Le ragioni di ciò sono diverse. Gli intervistati hanno spesso affermato che i loro servizi pastorali si rivolgono principalmente a studenti con un retroterra cristiano, e che si dà per scontato che la maggior parte degli studenti provenienti da altri Paesi non siano religiosi, e quindi non siano interessati a un’assistenza spirituale personalizzata. Inoltre, le limitate risorse di cui dispongono molte università e istituzioni cattoliche impediscono loro di creare apposite équipe pastorali per soddisfare le esigenze degli studenti internazionali. Le comunità protestanti, al contrario, hanno fatto passi enormi nella comprensione interculturale, nell’evangelizzazione e nell’assistenza pastorale, dimostrando un grande entusiasmo e traducendolo in azioni concrete per aiutare gli studenti internazionali, in particolare quelli provenienti dall’Asia.
All’interno delle diocesi e delle università cattoliche, in seguito a queste difficoltà, permane una seria lacuna nei servizi pastorali rivolti agli studenti internazionali. Gli sforzi pastorali della Chiesa in questo ambito non sono stati considerati abbastanza prioritari, cosicché di rado sono stati presi in considerazione i bisogni spirituali, sociali ed emotivi di tali studenti.
Ottimizzazione dei programmi per un’assistenza pastorale efficace
Poiché il numero degli studenti internazionali presenti nelle istituzioni cattoliche continua a crescere, è fondamentale che le diocesi e le università locali attuino strategie di assistenza pastorale inclusive ed efficaci. Ne elenchiamo qui di seguito alcune.
1) Istituzione di un ufficio centralizzato per il coordinamento della cura pastorale rivolta agli studenti internazionali nelle università e diocesi cattoliche. Questo ufficio, fornendo programmi appositamente progettati e facilitando l’integrazione sia nelle comunità accademiche sia in quelle religiose, rafforzerà il legame tra le università cattoliche e la Chiesa locale e assicurerà che gli studenti ricevano un sostegno completo nel loro percorso educativo e spirituale.
2) Programmi specializzati, ossia iniziative pastorali mirate svolgono un ruolo cruciale nel promuovere l’integrazione religiosa e l’inclusività. Possono riguardare, fra l’altro, visite a chiese locali e siti religiosi, così come seminari e workshop sulla giustizia sociale, la pace nel mondo e i valori che si riferiscono alla fede.
3) Supporto culturale. I ministri che operano nel campus devono adattare e innovare continuamente i propri servizi per abbracciare i diversi retroterra culturali dei loro studenti. La promozione del dialogo tra gli studenti locali e quelli internazionali può avvenire tramite iniziative come ritiri, serate culturali ed esperienze condivise, che promuovono la comprensione interculturale.
4) Accompagnamento flessibile. Le università cattoliche dovrebbero introdurre programmi di accompagnamento versatili – tra cui iniziative di servizio sociale –, per introdurre gli studenti internazionali ai valori e ai princìpi fondamentali del cattolicesimo e promuovere al contempo tolleranza e rispetto per altre tradizioni religiose. Tali programmi dovrebbero incoraggiare un dialogo aperto e lo scambio di prospettive diverse.
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5) Attenzione rivolta al benessere emotivo. Il benessere psicologico ed emotivo degli studenti internazionali è un aspetto di cui è necessario tener conto. Le università dovrebbero fornire un sostegno personalizzato tramite gruppi di supporto tra pari, workshop di consapevolezza e servizi di counseling. Inoltre, la cura pastorale e la guida spirituale possono aiutare gli studenti ad affrontare le sfide personali e quelle legate alla fede.
6) Connessioni rafforzate. Le università cattoliche possono accrescere il senso di appartenenza degli studenti, istituendo programmi di tutoraggio per collegare studenti internazionali con docenti, personale o tutor locali che condividono analoghi interessi accademici o di fede. Incontri regolari, come gruppi di condivisione della fede, workshops accademici e cene di scambio culturale, possono ulteriormente rafforzare i legami e fornire un buon sostegno alla crescita spirituale e personale degli studenti.
Il ruolo della missione e della cappellania universitaria
La globalizzazione dell’istruzione superiore presenta un’opportunità unica per spargere i semi dell’amore e del Vangelo e consentire così allo Spirito Santo di coltivarli con risultati fruttuosi. Il notevole aumento degli studenti internazionali negli ultimi trent’anni ha offerto alla Chiesa un’opportunità senza precedenti per l’evangelizzazione e la cura pastorale su scala globale. Quando affronta le esigenze spirituali, culturali e sociali di questi studenti, la Chiesa non soltanto estende la sua missione in tutto il mondo, ma fornisce anche un senso di appartenenza e conforto spirituale agli studenti lontani da casa. Questa sensibilizzazione spesso influenza positivamente le famiglie e le comunità di tali studenti.
Un compito primario di una missione universitaria e di una cappellania, o dei loro equivalenti, è quello di preservare e rafforzare l’identità cattolica dell’università, promuovendo questa missione fra tutti i membri della comunità universitaria. Attraverso le proprie attività di ministero nel campus, la cappellania universitaria potrebbe diventare un punto di contatto centrale per fornire assistenza pastorale agli studenti internazionali, organizzando per loro regolari attività e collaborando con il personale universitario, le facoltà e altre componenti interessate. Tale attività può comprendere l’avvio di programmi di assistenza pastorale in collaborazione con uffici di sensibilizzazione diocesani locali, parrocchie e altri gruppi impegnati a sostenere questi studenti. Facilitando tali iniziative, la cappellania universitaria aiuta a creare un ambiente inclusivo, in cui gli studenti internazionali siano in grado di progredire sotto i profili accademico, spirituale e sociale.
Con il supporto della cappellania universitaria, gli amministratori e i docenti universitari possono collaborare nella promozione della diversità culturale tramite lezioni e programmi rivolti agli studenti internazionali e a quelli locali affinché sviluppino una comprensione più profonda delle varie provenienze culturali. La collaborazione può anche tradursi in iniziative di sostegno agli studenti per garantire adeguati servizi accademici, culturali e spirituali. Gli studenti internazionali possono essere invitati a partecipare alla Messa di inaugurazione dell’anno accademico e alle attività di gruppo, creando un’atmosfera familiare. Si possono promuovere le amicizie tra studenti locali e internazionali, permettendo così a questi ultimi di sperimentare nella loro vita quotidiana il calore interpersonale, mentre attraverso tali interazioni essi vengono gradualmente introdotti alla fede e ai valori.
Inoltre, la cappellania universitaria può assumere un ruolo guida nel coordinamento dei programmi di volontariato, incoraggiando gli studenti internazionali a impegnarsi nel servizio alla comunità o a partecipare ad attività svolte dalla Chiesa locale. Questa può fornire sostegno sociale attraverso iniziative come programmi di famiglie ospitanti e incontri nei periodi di vacanza. Inoltre, chiese e università possono mettere in comune le risorse per collaborare a iniziative di beneficenza, invitando gli studenti internazionali ad assistere i senzatetto o a partecipare ad altri impegni di sensibilizzazione della comunità. Queste partnership consentono a tutte le parti interessate di incrementare i propri punti di forza, promuovendo un ambiente più inclusivo, di supporto e arricchente per tutti.
Tali iniziative progrediranno se sapranno andare oltre i modelli tradizionali della cura pastorale, che spesso vengono intesi soltanto in termini di evangelizzazione e conversione. Infatti, la cura pastorale moderna non si pone soltanto al servizio degli studenti internazionali (cattolici), ma li spinge a divenire ponti culturali, per stabilire reti internazionali con altre comunità, società e culture. Questi studenti internazionali cattolici facilitano la condivisione delle risorse e la cooperazione durante l’organizzazione di eventi interculturali, migliorando così l’universalità e l’influenza internazionale delle chiese e delle comunità locali. I loro contributi vitali alle chiese locali si manifestano in vari modi.
Un «case study» sulla cura pastorale
Gli studenti internazionali si muovono in un ambiente culturale, sociale e linguistico non familiare, e ciò, come si è già detto, pone loro sfide che vanno oltre la pressione accademica, come i conflitti culturali e l’isolamento emotivo. Per affrontare tali difficoltà, con l’aiuto dell’Office of University Mission and Ministry del Boston College e in collaborazione con organizzazioni caritative esterne, nel 2015 i miei colleghi – sia gesuiti sia laici – e io abbiamo lanciato il progetto Meals with Priests on Weekends («Pasti con i sacerdoti nei fine settimana»). L’iniziativa mirava a promuovere la compagnia, lo scambio culturale e un dialogo fruttuoso, ritrovandosi assieme a tavola. Negli ultimi 10 anni, circa 70 studenti e studiosi internazionali provenienti da diversi Paesi, con svariati percorsi accademici e discipline, si sono riuniti quasi ogni venerdì sera per una cena in cui si proponevano piatti di diverse culture. L’iniziativa Meals with Priests on Weekends, unica nel suo genere tra le università americane, è diventata una «seconda casa» per molti studenti internazionali e le loro famiglie.
Attraverso il loro coinvolgimento con docenti, personale e relatori ospiti, gli studenti internazionali vengono introdotti a valori universali come il rispetto, l’inclusione e il servizio. Mostrano apprezzamento per culture e tradizioni diverse, e ciò favorisce una comprensione più profonda dell’interconnessione globale. Questo scambio di esperienze, alimentando il rispetto reciproco e l’empatia, rafforza la bellezza delle culture internazionali e l’importanza dell’integrazione globale. Attraverso questi pasti condivisi, alcuni studenti provenienti da regioni storicamente in conflitto hanno acquisito nuove prospettive sulla storia e sull’umanità, con il risultato di superare pregiudizi e di formare amicizie durature e collaborazioni professionali. Queste esperienze trasformative li spingono a contribuire attivamente al dialogo e alla riconciliazione nei rispettivi Paesi e comunità.
L’iniziativa di Meals with Priests on Weekends incarna valori universali in azione, come il prendersi cura degli altri attraverso l’offerta di compagnia, il condividere storie personali per ispirare la riflessione e il creare fiducia tramite l’assistenza pratica. Allo stesso tempo, gli studenti e gli studiosi internazionali, come pure le loro famiglie, acquisiscono una comprensione più approfondita dei valori dell’istruzione cattolica, dei princìpi del Vangelo e della missione della Chiesa. Molti genitori, inizialmente scettici o non familiari con la Chiesa e l’istruzione cattolica, sono giunti a riconoscere la sua attenzione al bene degli studenti. Apprezzano che questa iniziativa non sia orientata né al profitto né al proselitismo, ma costituisca piuttosto un’espressione sincera di amore e accompagnamento, che promuove il dialogo interculturale e la comprensione reciproca.
Oltre alle cene settimanali, manteniamo una comunicazione scritta regolare con gli studenti, inviando loro almeno due messaggi al mese tramite WeChat. In essi si affrontano non solo questioni accademiche, ma anche quelle del loro benessere psicologico, della loro maturazione spirituale e della loro vita quotidiana. Inoltre, inviamo una lettera pastorale trimestrale ai genitori degli alunni stranieri, offrendo spunti sulla crescita accademica, sociale e personale dei loro figli.
Oltre alle cene allargate del venerdì, organizziamo incontri settimanali più ristretti, di 12-15 studenti, che favoriscono discussioni e scambi più intensi con i relatori invitati come ospiti. Organizziamo anche attività di volontariato e di servizio caritativo mensili, ritiri nei fine settimana, visite alle chiese locali e conversazioni sui contributi della Chiesa all’istruzione, alla giustizia sociale e all’equità. Queste esperienze non solo ampliano le prospettive degli studenti, ma approfondiscono anche la loro comprensione della responsabilità sociale e del ruolo del servizio ispirato dalla fede nell’affrontare le sfide globali.
In questo contesto, la cura pastorale diventa una piattaforma vitale per lo scambio culturale e per il dialogo: va oltre la dimensione formalmente religiosa, fino a comprendere il supporto psicologico, l’accompagnamento emotivo e la direzione spirituale. Meals with Priests on Weekends è più che un semplice incontro: è un ponte che collega individui e comunità, promuovendo la comprensione reciproca e l’umanità condivisa. Non è scontato che questo programma si adatti a ogni individuo o istituzione, perché la sua efficacia dipende da specifici requisiti e condizioni, ma potrebbe costituire un modello degno di considerazione per chi desideri aiutare più studenti internazionali a ricevere un’assistenza pastorale e un supporto più ampi.
Conclusione
Quando questi studenti internazionali, dopo aver completato i loro studi, torneranno nei rispettivi Paesi, porteranno con sé la fede e la cultura cristiana che hanno incontrato all’estero, condividendola con le loro comunità. L’esempio e l’atteggiamento di benevolenza insegnati nelle istituzioni cattoliche li spingeranno a infondere un’impronta morale e spirituale nel loro futuro lavoro e servizio, indipendentemente dal contesto o dall’ambiente in cui s’impegneranno. Le loro esistenze e le loro azioni offriranno nuove prospettive sui valori necessari nel mondo contemporaneo, invitando la società a riflettere sul significato e sullo scopo ultimo della vita. La giovane generazione che ha fatto esperienza di studi all’estero diventerà una forza capace di guidare un ulteriore sviluppo sociale. Questo fenomeno non solo ha un profondo impatto sull’istruzione e sull’economia globali, ma offre alla Chiesa cattolica e alle istituzioni cattoliche un’opportunità senza precedenti per l’evangelizzazione e la cura pastorale.
La missione dell’educazione cattolica, tramandata attraverso i secoli, continua ancora oggi. Ma le istituzioni educative cattoliche sono davvero pronte a rispondervi e, in particolare, ad affrontare le esigenze di cura pastorale degli studenti internazionali? Più in generale, sono pronte ad accogliere questa sfida promuovendo il dialogo, la comunicazione e la comprensione tra culture, fedi e storie globali?
In risposta alle criticità indotte dalla globalizzazione e dalla diversificazione, le istituzioni cattoliche dell’istruzione superiore hanno il compito importante di restare fedeli alla loro missione originaria e al loro scopo essenziale. La cura pastorale che esse possono fornire agli studenti internazionali richiede, più che un investimento ingente di risorse, un cambiamento di mentalità e di atteggiamento. Se ripenseranno la missione delle università cattoliche e scarteranno approcci burocratici e utilitaristici, abbracciando invece «amore, dialogo e servizio» come nucleo della loro sostanza e del loro operato, non solo risponderanno meglio alle sfide dell’era globalizzata, ma offriranno anche un supporto e una testimonianza più validi agli studenti internazionali, in particolare a quelli provenienti da tradizioni non religiose.
Papa Francesco, nella Spes non confundit, ci ha ricordato che la missione della Chiesa è di andare avanti, di essere un segno di amore e di speranza. Ciò implica non solo una chiamata rivolta alla comunità ecclesiale, ma anche un’aspettativa che investe le università cattoliche. Gli studenti internazionali, come una nuova tipologia di popolazione migrante, affrontano sfide simili nei Paesi in cui si impegnano per l’istruzione e la ricerca. Le istituzioni cattoliche, nella loro particolare condizione, hanno la responsabilità e l’obbligo di fornire loro migliore assistenza e sostegno. In una società diversificata, esse devono fungere da ponti per il dialogo culturale, promuovendo l’integrazione sociale e contribuendo al benessere dell’intera umanità attraverso l’amore cristiano e la pace.
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[1] Cfr Open Doors Report, 2024 (iie.org/news/us-hosts-more-tha…).
[2] Cfr UK Parliament. House of Commons Library, 2024 (commonslibrary.parliament.uk/research-briefings/cbp-7976).
[3] Cfr Canadian Bureau for International Education, 2024 (cbie.ca/infographic/2024).
[4] Cfr Australian Department of Education, 2024 (education.gov.au/international…).
[5] Per quanto riguarda l’Italia, gli studenti stranieri nel settore universitario sono circa il 3%: cfr adeccogroup.it/studenti-stranieri-universita-italiane
[6] Cfr Francesco, Enciclica Fratelli tutti, 3 ottobre 2020.
[7] Cfr Congregazione per l’educazione cattolica, Istruzione L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo, 25 gennaio 2022.
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Il cuore nel pensiero cinese
L’enciclica di papa Francesco Dilexit nos (DN) presenta la devozione al cuore di Gesù, inserendola in una bella meditazione preliminare sulla ricchezza del termine «cuore» in diverse lingue e culture. Predominano naturalmente i riferimenti al greco e alla Bibbia. Francesco insiste sul fatto che la parola vi designa il centro, le profondità dell’essere e anche il luogo ove pensieri e sentimenti si congiungono in modo che la persona – anima e corpo – venga a essere unificata (cfr DN 3). Oggi parlare di cuore, usare senza timore la parola «cuore» significa attirare l’attenzione di tutti e di ciascuno verso una profondità nascosta, verso il nostro intimo, al di là di quelle pretese «idee chiare e distinte», che sono, ad esempio, la volontà, la libertà, la ragione (cfr DN 9-10).
Ci proponiamo qui di arricchire le premesse fondamentali sulle quali si struttura l’enciclica di Francesco, presentando un’altra tradizione nella quale gli studiosi hanno molto riflettuto sul cuore e ne hanno molto parlato: gli scritti cinesi anteriori alla fine della dinastia degli Han occidentali, che coincide più o meno con l’inizio dell’era cristiana[1]. Dal V al I secolo a.C., il tema del cuore attraversa tutti gli ambiti del pensiero cinese: concezione della persona umana e delle sue relazioni con il Cielo, etica, politica, medicina ecc. Del resto, da un autore all’altro si registrano sottolineature differenti: il tema del cuore è così ricco da prendere colorazioni anche molto diverse a seconda dei sistemi nei quali è inserito.
Una realtà sia psichica sia fisiologica
Il carattere xin è uno di quelli sui quali i sinologi amano disquisire. Secondo alcuni, non si dovrebbe tradurre semplicemente con «cuore», perché in tal modo si proietterebbero sul termine le raffigurazioni che essi pensano di trovarvi in contesto occidentale: l’emotività, i sentimenti ecc., mentre l’organo «cuore» nella Cina antica è visto come il luogo della deliberazione, dato che si tratta del «sovrano del corpo». «Lo xin occupa nella conformazione fisica la posizione di signore supremo», dice il Primo trattato dell’arte del cuore, inserito nel Guanzi (un’opera enciclopedica la cui compilazione è del tempo degli Han occidentali, anche se le fonti che lo compongono sono anteriori a quel tempo). Dovrebbe quindi imporsi la traduzione di xin con «spirito» (mind).
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Questo potrebbe essere riconosciuto per i testi buddisti (posteriori al periodo di cui parliamo qui), che assegnano ai caratteri cinesi un senso tecnico adattato alle nozioni indiane che essi traducono. Eppure – bisogna insistervi –, nella Cina antica xin designa in primo luogo l’organo fisico del cuore. Il suo pittogramma rappresenta l’organo cardiaco in modo sommario, con il pericardio e l’aorta in evidenza. Si tratta di uno dei cinque organi principali, insieme al fegato, alla milza, ai polmoni e ai reni. Certamente esso è anche il luogo dell’attività mentale. Ma la traduzione con «spirito» ha l’inconveniente di occultare la sua base fisiologica. Si nasconde così anche il ruolo sia psicologico sia «mentale» dell’organo-cuore nella totalità del corpo: un ruolo sul quale insiste tutta la medicina cinese. La traduzione con «cuore-spirito» (heart-mind), molto frequente nelle versioni anglosassoni, è appropriata. Si possono ugualmente privilegiare le traduzioni che danno valore alle connotazioni di «coscienza». In realtà, una volta apportate le necessarie chiarificazioni, conservare il termine semplice «cuore» non presenta veri inconvenienti. Tanto più che un buon numero di testi occidentali, come mostra bene la Dilexit nos, fanno anch’essi del cuore il luogo sia del pensiero sia delle emozioni, il luogo ove l’uno e le altre vengono considerati nella loro radice, prima di ogni loro separazione.
Nel testo che segue, la traduzione con «cuore-spirito» farebbe perdere il carattere sorprendentemente diretto ricoperto dal termine xin: «Mencio ha detto: “L’empatia è il cuore [xin]dell’uomo; la rettitudine è la sua via. Abbandonare tale via senza più perseverarvi, aver perduto il proprio cuore e non sapere ove cercarlo, quale calamità! Se qualcuno ha perduto il suo cane o le sue galline, almeno sa dove cercarli. Se qualcuno ha perduto il suo cuore, non sa nemmeno dove cercare. Non rimane altro che il modo di apprenderlo: cercare il cuore che si è perduto, ecco tutto» (Mencio, 6 A 11).
Il cuore, per Mencio, è la bussola, l’organo decisivo del discernimento. È inscritto in un sé incarnato, «lo shen, cioè il corpo, l’ego»? Alcuni autori cinesi distinguono anche un’altra entità, lo spirito/gli spiriti (shen, un carattere omonimo al precedente, ma da cui differisce per la grafia)[2]. È possibile ritrovare nel termine cinese «spirito/spiriti» un’idea molto simile a quella di cui Ignazio di Loyola fa uso negli Esercizi spirituali: la maggior parte delle civiltà (forse tutte) mirano a una realtà difficile da cogliere, sia esterna sia interna all’uomo: una realtà plurale e insieme unica – un buono e un cattivo spirito, e anche dei buoni e dei cattivi spiriti –, qualcosa che ci attraversa e che noi non padroneggiamo[3]. La grafia del carattere «spirito» (shen) in cinese evoca il moto di estensione continua, che va sia verso il basso sia verso l’alto. Nell’uomo, gli spiriti devono essere a poco a poco purificati, affinati; dobbiamo farli progredire verso la loro essenzialità, come ci dice il Huainanzi nel suo settimo capitolo[4].
Il cuore, il respiro, il Cielo
A differenza del termine «spiriti», piuttosto ambiguo e non utilizzato da tutti gli autori, in tutti i testi cinesi antichi il cuore (xin) è ciò che è proprio della persona umana. Del resto, chi avvia la ricerca verso il fondo del cuore si rende conto di appartenere a una specie, di vivere in solidarietà con esseri che condividono le stesse forze e gli stessi limiti, perché l’essere umano gode di una «natura» (xing) che è comune a tutti. Ora, riconoscere tale solidarietà di natura ci permetterà di conoscere e servire il Cielo. Mencio lo ha affermato con grande forza in un testo canonico: «Chi va fino al fondo del proprio cuore, ne conosce la natura. Chi ne conosce la natura, conosce il Cielo. Custodendo il proprio cuore e nutrendone la natura si serve il Cielo» (Mencio, 7 A 1).
Si va dunque dall’individuo alla specie, dalla specie al principio da cui tutte le specie derivano. Il cuore è al principio sia della conoscenza sia dell’azione. Chi custodisce il suo cuore, chi non dissipa il suo cuore con accecamenti e impulsività, con questo agire obbedisce come naturalmente al volere del Cielo. Un cuore unificato, rivolto al Cielo, raccoglie tutto, unifica tutte le cose: «Ciò che va fino in fondo diffondendosi senza limiti, percorre le otto direzioni, raccoglie tutto in un solo vettore, questo è il cuore» (Huainanzi, 18,1).
Ma andare «fino al fondo del proprio cuore», come Mencio ci invita a fare, è anche svuotarlo… D’altra parte, in cinese, «andare fino al fondo» (jin) è un’idea espressa da un carattere che mostra il sangue dell’animale sacrificato versato fino all’ultima goccia nel recipiente predisposto per questo. Nel terzo capitolo del Daodejing – come fa notare anche Laozi – c’è una frase interessante: «I Saggi, per governarsi, svuotavano i loro cuori per colmare il ventre». Nella sua ambiguità, il testo offre in primo luogo una lettura politica, di cui svilupperemo in seguito le implicazioni: si tratta indubbiamente di riempire il ventre del popolo, ma «ammorbidendo la propria volontà e temprando le proprie ossa», continua questo capitolo. Allo stesso tempo l’espressione va applicata agli stessi Saggi – del resto, la sintassi sembra indicare il loro cuore e le loro viscere –, nel qual caso il testo designa l’atto mediante il quale il respiro riempie l’addome e, con esercizi di respirazione ripetuti, sgombra il cuore da ogni desiderio.
Podcast | SUD SUDAN. «UN CONFLITTO CHE NON È MAI FINITO»
Quattro milioni di sfollati, oltre 350mila morti, fame e povertà. Il Sud Sudan è il paese più giovane del mondo, con una storia già segnata dalle violenze. Oggi lo spettro della guerra torna a far paura, come racconta mons. Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Bentiu. Ascolta il podcast
Zhuangzi insiste più in particolare su ciò che egli chiama «il digiuno del cuore»: «Come animato da un solo volere, non è che ascolta tramite l’orecchio, ma ascolta tramite il cuore. Non ascolta tramite il cuore, ma tramite il respiro. L’ascolto si ferma all’orecchio, il cuore fa attenzione ai segni. Ecco cosa è il respiro: il vuoto grazie al quale si producono le manifestazioni vitali. La Via ordina ogni realtà servendosi di questo vuoto. Il vuoto è il digiuno del cuore» (Zhuangzi, 4.2).
Ascoltare con il proprio respiro è svuotarsi, e poi concentrarsi, per svuotarsi nuovamente: tutti i fenomeni che concernono il corpo devono essere pienamente accolti e integrati, per essere poi, dopo questa trasformazione, totalmente ridonati. Ciò che è penetrato in me non ritorna al mondo «così com’è», ma viene trasformato come io stesso lo sono stato nel riceverlo, come sono trasformato in continuazione. Il «digiuno del cuore» consiste nel non rimanere ristretto su griglie interpretative, ossia sui segni e sulle emozioni con i quali mi approprio di ciò che intendo e vedo. Il cuore può essere ingombro per l’abbondanza di ciò che riceve, oppure può accettare di svuotarsi completamente per ricevere di nuovo tutto. Solo un cuore vuoto e limpido è capace di conoscere veramente sia il mondo sia sé stesso: «L’uomo perfetto utilizza il suo cuore come uno specchio» (Zhuangzi, 7.6).
Il cuore politico
«Bisogna che tutte le azioni siano poste sotto il “controllo politico” del cuore», afferma DN 13. Per un lettore dei testi dell’antica Cina questa frase evoca proprio l’inizio del Primo trattato dell’arte del cuore, incluso nel Guanzi già menzionato: «Nel corpo, il cuore occupa il posto del principe. Le funzioni delle nove porte del corpo somigliano alle diverse responsabilità dei funzionari. Se il cuore è a riposo e rimane nella Via, le nove porte funzioneranno correttamente. Se la cupidigia e il desiderio lo occupano completamente, gli occhi non vedranno i colori, e gli orecchi non intenderanno i suoni».
Il cuore a riposo permette il corretto funzionamento del corpo. Se è agitato, non esercita la sua funzione, e ne seguiranno disturbi sia fisici sia psichici. In Cina, il cuore non è fatto innanzitutto per commuoversi, ma per rimanere stabile: si parla dell’«immutabilità di un cuore stabile». Questa costanza è proprio la bontà. Un adagio afferma che «l’amore del padre è come la montagna», e niente è più costante, fermo e stabile della montagna. La medicina cinese ne è convinta: chi gode di un cuore stabile ha meno probabilità di essere attaccato dalla malattia, che viene sempre causata dall’eccesso di un’emozione, anche se si tratta di un’emozione positiva.
L’affermazione del Guanzi è reversibile: se il cuore è come il sovrano del corpo, allora il sovrano è come il cuore del regno. «Il sovrano è il cuore dello Stato. […] L’Imperatore Giallo[5] ha detto: “Con ampiezza, senza limiti, io accompagno la Via del Cielo e distendo il mio respiro, unito all’Origine”. Così, quando [il Sovrano] è al vertice della Virtù, le sue parole sono simili ai suoi progetti, le sue azioni alle sue intenzioni. Superiore, inferiore, tutti un solo cuore!» (Huainanzi, 10.2-3).
La riflessione sul cuore diventerà ancora più politica con Xunzi (III secolo a.C.), un autore che si mostra pessimista riguardo alla natura umana e alla stabilità delle istituzioni sociali. Secondo lui, il cuore è arbitro tra le diverse passioni (qing), che manifestano le tendenze in lotta all’interno della natura umana (xing). «Che al risveglio di un’emozione il cuore compia una scelta, questo si chiama deliberazione» (Xunzi, 22,2).
Xunzi dunque considera il cuore in primo luogo come la capacità di rendersi arbitro tra le buone e le cattive inclinazioni, e gli organi dei sensi mettono continuamente in azione le inclinazioni cattive. Il cuore è dunque il padrone della persona, quello che dà gli ordini, il punto di passaggio obbligato tra l’interno e l’esterno del nostro essere. E la pratica dello studio sotto un maestro mira innanzitutto a controllare il modo in cui il cuore conosce il mondo esterno, a imparare a reagire in modo appropriato agli impulsi che provengono da questo mondo. Lo studio, l’equilibrio del cuore, o anche il necessario controllo sociale, tutte queste dimensioni sono contrassegnate da artificiosità, ma l’artificio costituisce l’unico modo di organizzare un mondo vivibile, dal momento che la nostra natura è soggetta alle passioni.
L’artificiosità di Xunzi è un’eccezione. Nella Cina antica, il cuore è il luogo della libertà; ma per entrare nella libertà, deve disfarsi di tutto ciò che gli fa ostacolo. Nessuno lo ha espresso meglio di Confucio: «Il maestro ha detto: “A quindici anni mi sono applicato allo studio, a trenta anni ero indipendente, a quaranta avevo superato le esitazioni, a cinquanta sapevo ciò che il Cielo voleva da me, a sessanta le mie orecchie discernevano con naturalezza ogni cosa, e ora, a settanta, seguire il desiderio del mio cuore non mi fa mai eccedere nella misura”» (Analecta, 2.4).
Per il vecchio Confucio si tratta proprio di «seguire il desiderio del suo cuore». Ma questo desiderio ora lo spinge verso la vita, verso la realizzazione del proprio essere e di tutti gli esseri, e soltanto verso questo. Nessuna tensione mortale viene più a turbare il suo slancio vitale. Questa è la gioia di colui che, a poco a poco, ha imparato a immergersi nelle profondità più segrete del suo cuore.
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[1] La dinastia degli Han occidentali va dal 212 fino al 9 a.C. Dopo un intervallo, gli Han orientali governano la Cina dal 25 al 220 d.C.
[2] Cfr L. Raphais, A Tripartite Self, Mind, Body, and Spirit in Early China, Oxford, Oxford University Press, 2023. Naturalmente l’antropologia cinese è molto più ricca di quanto le distinzioni qui segnalate lascino pensare. Per esempio, bisognerebbe introdurre anche la distinzione tra anime spirituali (hun) e anime sensitive (po).
[3] Una buona presentazione dell’evoluzione di questo concetto nel corso della storia è in D. Salin, Le Discernement des esprits selon Ignace de Loyola. Les aléas d’une transmission (XVIe-XXIe siècle),Paris – Bruxelles, Lessius, 2021, 33-53.
[4] Lo Huainanzi è un’opera enciclopedica presentata alla Corte imperiale nel 139 a.C., e che quindi era stata composta un po’ prima.
[5] È il primo sovrano mitico.
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Il cinquantenario della morte di Hannah Arendt
Cade quest’anno il 50° anniversario della morte di Hannah Arendt (1906-1975), esponente di rilievo della filosofia (anche se lei non si riconobbe mai in tale veste) di area tedesca e inglese, ma anche nota per il suo impegno civile e politico e la sua profonda analisi delle terribili vicende del XX secolo, che visse in prima persona e che confluirono in scritti memorabili. Su molti di questi aspetti la sua produzione può essere senz’altro considerata pionieristica.
La vita
Hannah Arendt nasce ad Hannover il 14 ottobre 1906. La sua famiglia, di estrazione borghese, aveva preso da tempo le distanze dalle tradizioni ebraiche. Hannah perde a sette anni il padre e viene educata dalla madre, che è di tendenze socialdemocratiche, ispirandosi a Rosa Luxemburg. Durante gli anni dell’università ha modo di ascoltare le lezioni di alcuni tra i più importanti esponenti del pensiero filosofico e teologico del tempo (Romano Guardini, Rudolf Bultmann, Edmund Husserl, Karl Jaspers e Martin Heidegger, con il quale ha avuto anche una relazione sentimentale). Si laurea con una tesi sull’amore in sant’Agostino, sotto la guida di Karl Jaspers. In seguito all’avvento al potere di Hitler, è costretta a fuggire a Parigi, e poi negli Stati Uniti, insegnando filosofia politica a Princeton, Berkeley e Chicago, ma anche impegnandosi attivamente sul tema dell’ebraismo, sebbene le sue posizioni – molto critiche sulla politica nazionalista e ostile alla presenza degli arabi residenti in Palestina – non trovino consenso, condannandola all’isolamento. Una situazione che si accentuerà ulteriormente con la pubblicazione del libro sul processo ad Adolf Eichmann. Hannah muore improvvisamente a New York, per un attacco di cuore, il 4 dicembre 1975, mentre sta lavorando alle Gifford Lectures (una serie di lezioni da tenersi in una delle antiche università scozzesi, a cui ogni anno è invitato un esponente considerato di grande rilievo nel mondo culturale), poi raccolte nel libro La vita della mente.
Il suo percorso intellettuale, estremamente ricco e articolato, può essere compreso ripercorrendone le opere principali.
Il totalitarismo
Le origini del totalitarismo,pubblicato nel 1951,è l’opera che ha reso celebre Arendt e rimane una delle più importanti del XX secolo sotto il profilo storico-politico. L’ipotesi di fondo è che il totalitarismo è un fenomeno radicalmente differente dalle forme politiche della storia passata e presente, come l’assolutismo e la dittatura. Ciò che ha caratterizzato la peculiarità del nazismo e dello stalinismo (il fascismo non viene preso in considerazione) è la stretta conseguenza della visione «atomistica» degli esseri umani, privati di uno spazio pubblico di discussione sul bene comune e considerati un mero ingranaggio del sistema, senza alcun valore in sé, in quanto facilmente intercambiabili[1].
L’opera è divisa in tre parti. Viene anzitutto esaminato il fenomeno dell’antisemitismo, considerato una premessa indispensabile del totalitarismo (una sezione particolare è dedicata all’affare Dreyfus). Segue la trattazione dell’imperialismo e dell’affermazione della borghesia che hanno monopolizzato la storia europea dalla seconda metà del secolo XIX alla Prima guerra mondiale. La crisi dell’imperialismo, unita all’antisemitismo – che considera «la congiura ebraica internazionale» il motivo della disfatta – portano al totalitarismo, un esercizio del potere che giustifica con l’ideologia la necessità del terrore, attuato nelle forme più diverse (direttive del capo supremo, partito unico, propaganda, polizia segreta, negazione della vita privata, campi di concentramento e di sterminio). Il risultato finale è «l’inferno», l’annientamento psicologico e fisico di chiunque possa pensare diversamente, compiuto nell’indifferenza generale[2].
La parte finale del libro sottolinea l’influsso dell’ideologia, perché lo Stato totalitario ha uno stretto legame con questa inedita visione della storia, della vita e dell’uomo, dove nulla ha più valore, eccetto gli assunti di una dottrina capace di giustificare ogni possibile azione: «La società dei morenti, in cui la punizione viene inflitta senza alcuna relazione con un reato, lo sfruttamento praticato senza un profitto, e il lavoro compiuto senza un prodotto, è un luogo dove quotidianamente si crea l’insensatezza. Eppure, nel contesto dell’ideologia totalitaria, nulla potrebbe essere più sensato e logico: se gli internati sono dei parassiti, è logico che vengano uccisi col gas; se sono dei degenerati, non si deve permettere che contaminino la popolazione; se hanno un’“anima da schiavi” (Himmler), non è il caso di sprecare il proprio tempo per cercare di rieducarli»[3].
Le origini del totalitarismo è l’opera che ha reso celebre Arendt e rimane una delle più importanti
del XX secolo.
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Se il nazismo e lo stalinismo sembrano appartenere al passato, le cose stanno diversamente per quanto riguarda l’ideologia: essa infatti non è stata confutata sul piano culturale. Per questo il totalitarismo rimane un pericolo costante, che «ci resterà alle costole per l’avvenire» e si riaffaccia puntualmente a ogni crisi delle democrazie, presentandosi come la soluzione forte, capace di dare stabilità e sicurezza, sopprimendo la protesta e il confronto, e soprattutto la libertà, che rimane la condizione della vita umana e la garanzia di ogni nuovo inizio. Libertà che Arendt, a chiusura del libro, sintetizza con una frase di sant’Agostino: Initium ut esset, creatus est homo («Affinché ci fosse un inizio, è stato creato l’uomo»).
«Vita activa»
Se il totalitarismo ha le sue radici nella cancellazione della dimensione pubblica e politica, è in questa sede che si deve operare perché quello spettro non torni ad affacciarsi. E alla politica come attività suprema dell’uomo è dedicata l’opera Vita activa, pubblicata nel 1958. L’ipotesi di fondo del libro è che la scomparsa della polis greca ha visto la parallela scomparsa dell’agire politico, del discorso e del dibattito pubblico, rimpiazzato da attività tese alla mera sopravvivenza, come il fare e il lavorare. Il sottotitolo – La condizione umana, che è il titolo dell’edizione inglese – è emblematico e segna la presa di distanza rispetto alla tradizione classica: «La Arendt parla di “condizione” e non di “natura” umana. La differenza non è di poco conto: la sola affermazione che possiamo fare circa la cosiddetta “natura” degli uomini, osserva la Arendt, è che essi sono esseri condizionati»[4]. Si tratta tuttavia di un condizionamento che non pregiudica la libertà; esso non è mai, in ultima analisi, determinante. Lo si può notare anche dalla presentazione delle tre modalità fondamentali della condizione umana: il lavoro, il fare, l’agire.
A differenza del lavoro, volto a garantire la sopravvivenza di chi non ha mezzi di sostentamento (per questo nell’antichità era l’attività propria degli schiavi), il fare qualifica l’uomo come faber, la caratteristica preponderante dell’età moderna, che segna la differenza rispetto alle epoche precedenti: «L’opera delle nostre mani distinta dal lavoro del nostro corpo – l’homo faber, che fa e letteralmente “opera”, distinto dall’animal laborans che lavora e “si mescola con” – fabbrica l’infinita varietà delle cose la cui somma totale costituisce il mondo artificiale dell’uomo»[5].
La terza modalità – l’agire – è propria della sfera politica. È il gradino supremo, perché prescinde dalle cose e implica la relazione, il linguaggio, la pluralità, «la condizione – non solo la conditio sine qua non, ma la conditio per quam – di ogni vita politica»[6]. La politica conferisce all’uomo una seconda vita – la vita pubblica –, che si aggiunge alla dimensione privata e rende il discorso una sorta di azione. Questo è ciò che differenzia l’agire politico dall’azione violenta, che degrada la condizione umana allo stato servile, privandola della capacità di persuasione e di progresso. La vita privata rimane la condizione previa per la politica, perché provvede alle necessità basilari dell’esistenza, è l’ambito del prepolitico. Ma è solo nell’attività politica che l’uomo si riconosce libero, pienamente vivo, affrancato dalle attività volte a soddisfare le necessità naturali.
La polis greca ha conosciuto tuttavia al suo interno una progressiva decadenza, anzitutto a livello speculativo, con Platone e Aristotele, che hanno contrapposto vita attiva a vita contemplativa, privilegiando quest’ultima. Un altro motivo di crisi dell’agire politico, fino alla sua scomparsa, proviene dalla moderna rivoluzione scientifica, che vede il predominio dell’homo faber e il conseguente materialismo proprio dell’animal laborans.
Anche Vita activa si conclude con una citazione latina, questa volta di Catone: Numquam se plus agere quam nihil cum ageret, numquam minus solus esse quam solus esset («Mai un uomo è più attivo di quando non fa nulla, mai è meno solo di quando è solo con sé stesso»). Nel riportarla, la filosofa auspica la rivalutazione della facoltà di pensare, presente in ogni uomo, che non può mai spegnersi del tutto.
L’analisi di Vita activa, da una parte, coglie le radici della crisi del pensare politico ma, dall’altra, risulta per più versi parziale sul piano storico. Secondo Aristotele, proprio la politica costituisce il vertice delle facoltà umane (al punto da definire l’uomo «per natura un animale politico», Politica 1253a): è una delle espressioni più appropriate della vita contemplativa e non si pone affatto in contrapposizione a essa[7].
La banalità del male
Arendt è nota soprattutto al grande pubblico per il resoconto puntuale del processo ad Eichmann (considerato il principale ideatore ed esecutore della «soluzione finale», che portò allo sterminio di sei milioni di ebrei), svoltosi a Gerusalemme dall’11 aprile al 15 dicembre 1961. Come inviata del settimanale New Yorker, scrisse una serie di articoli che confluirono nel libro, pubblicato nel 1963, Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil. Nella traduzione italiana, del 1964, il titolo venne invertito – La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme –, rendendo maggiormente ragione della tesi del libro.
Per la filosofa ebrea, Eichmann non è affatto un mostro, uno squilibrato mentale e nemmeno un genio del male: è un uomo comune, ottuso, un esempio perfetto di cosa accade quando all’atrofia del pensiero si unisce l’ideologia massificante (i due temi non a caso indagati nelle sue opere precedenti), portando a quella struttura di male propria del totalitarismo, costituito da persone normali che compiono in tutta ordinarietà cose orribili: «Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, perché implica, come già fu detto a Norimberga, che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male»[8].
Questo ottundimento della coscienza, insieme allo stravolgimento lessicale con cui l’ideologia nasconde il vero significato delle azioni (lo sterminio diventa «soluzione finale», le iniezioni mortali «vaccinazioni», le camere a gas «disinfestazione», i forni crematori «salita verso il cielo»), era stato riconosciuto con chiarezza da Arendt nella sua analisi del totalitarismo: «All’interno della struttura organizzativa, finché resta compatta, i membri fanatizzati non possono esser raggiunti né dall’esperienza né dal ragionamento; l’identificazione col movimento e il conformismo assoluto sembrano aver distrutto la stessa capacità di esperienza, anche se estrema come la tortura o la paura della morte»[9].
Nello Stato totalitario le persone, se vogliono vivere, devono sopprimere la propria coscienza: l’unico valore riconosciuto è l’obbedienza agli ordini del capo, che stabilisce ciò che si deve fare, semplicemente perché «si deve». È un’applicazione sinistra dell’imperativo categorico kantiano, al quale Eichmann si era esplicitamente ispirato: «Agisci in maniera che il Führer, se fosse a conoscenza delle tue azioni, approverebbe»[10]. In tale contesto, chiunque può compiere azioni orribili senza avvertirne la gravità, ed essere in seguito capace di integrarsi perfettamente nella società, come appunto è accaduto alla maggior parte dei gerarchi nazisti nel dopoguerra. Philip Zimbardo, autore di un accurato studio in proposito, riassume in questi termini la questione: «Se metti delle persone buone in un luogo cattivo, hanno la meglio, oppure il luogo le corrompe? La violenza che è endemica nella maggior parte delle carceri reali sarebbe stata assente in un carcere pieno di bravi ragazzi borghesi?»[11].
Podcast | SUD SUDAN. «UN CONFLITTO CHE NON È MAI FINITO»
Quattro milioni di sfollati, oltre 350mila morti, fame e povertà. Il Sud Sudan è il paese più giovane del mondo, con una storia già segnata dalle violenze. Oggi lo spettro della guerra torna a far paura, come racconta mons. Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Bentiu. Ascolta il podcast
Questo approccio strutturale alle derive distruttive (che smentisce la classica spiegazione della «mela marcia») era stato colto con lucidità da Arendt, che rilevò, oltre alla «banalità di Eichmann», la passività e la complicità non solo di un’intera nazione, ma anche della stessa comunità ebraica. Per questi motivi il libro suscitò reazioni indignate nel mondo ebraico e negli intellettuali europei e statunitensi, e la stessa Arendt fu oggetto di gravi minacce sul piano personale.
Ma l’inviata del New Yorker non fu l’unica a cogliere questi aspetti inquietanti della vicenda. Simon Wiesenthal, che gestì l’operazione che portò alla cattura di Eichmann, non nascose la sua sorpresa e delusione nel momento in cui se lo trovò finalmente di fronte. Davanti a lui stava un ometto piccolo, calvo, timido, pieno di tic, senza tracce apparenti di cattiveria, o anche semplicemente di aggressività: «Non c’era nulla di diabolico in lui; sembrava piuttosto un contabile che abbia paura di chiedere un aumento di stipendio». Wiesenthal rimase invece colpito dal suo modo di parlare, freddo, metallico, che non lasciava trasparire emozioni o sentimenti di alcun tipo[12].
È possibile contrastare il totalitarismo?
L’impatto con le vicende dell’olocausto e del caso Eichmann confermarono in Arendt la necessità di promuovere il confronto pubblico e le istituzioni democratiche, considerati garanzie irrinunciabili della dignità umana. Essi furono l’argomento del suo ultimo libro La vita della mente. Il progetto dell’opera prevedeva tre parti: pensare, volere, giudicare (quest’ultima rimasta incompiuta).
La mente non è percepibile dai sensi: è il luogo dell’invisibile, del pensiero, ma può essere colta nelle sue manifestazioni esteriori, come il linguaggio, la parola e la metafora. Quest’ultima, in particolare, in forza della compresenza di parola e immagine, permette al pensiero di rendersi visibile ed entrare in relazione con il mondo della sensibilità, «proprio perché consente di “portare oltre” – metaphorein – le nostre esperienze sensibili»[13]. L’impegno politico è il frutto più rilevante dell’attività della mente, che è in grado di proteggere la società dalle derive distruttive; il pensiero sorge infatti dagli «incidenti delle esperienze di vita»[14].
Il tema dell’attività politica, pur invocato più volte nel corso dei suoi scritti (come nell’ultima parte di Vita activa), resta tuttavia il grande incompiuto nell’opera di Arendt: esso doveva rientrare nellafacoltà del giudizio, dove la voce della coscienza diventa realizzazione progettuale. Ma si tratta proprio della parte della Vita della mente che rimase interrotta.
Il silenzio su tale questione decisiva fa porre comunque delle domande sul significato complessivo della sua proposta, pur certamente ammirevole. Arendt rileva la necessità di «oasi etiche», che nel deserto delle odierne società aiutino a vivere, valorizzando la riflessione del passato, ma ne parla solo di passaggio, in alcune righe di un’opera anch’essa incompiuta. L’immagine stessa dell’oasi non viene precisata; sembra più una metafora poetica descritta in termini evanescenti: «fuggire dal deserto, dalla politica, verso… non importa dove». Oltretutto, l’immagine del deserto che avanza, in linea con il tono fortemente pessimista che caratterizza Vita activa, trasmette un messaggio nichilista: era l’immagine con la quale lo Zarathustra di Nietzsche mostrava le conseguenze della morte di Dio[15].
Considerando la profondità delle analisi compiute da Arendt in sede storica, sociologica e culturale, non si può nascondere una certa delusione di fronte a questa sorta di resa speculativa ogniqualvolta lei entra in merito alla tematica che più di tutte dovrebbe giustificare la fatica del pensare; manca completamente l’elaborazione di una proposta politica capace di dare risposta alle questioni emerse e proteggere l’uomo dalle derive distruttive che lei ha così a lungo esplorato nelle sue opere principali. Come è stato notato, «Hannah Arendt non offre modelli per l’azione, né codici a cui attenersi […]. Essa ci indica piuttosto un’apertura alla libertà sottile come una lama di coltello, una breccia nel tempo. È in questa apertura che il giudizio opera, pluralmente, illuminando ciò che altrimenti sarebbe dimenticato»[16]. Il tema della «resistenza», della ribellione rimane di fatto l’unica proposta attuabile per fronteggiare le deviazioni devastatrici che si agitano dentro e fuori di noi.
Tutto questo evidenzia la necessità di un approccio più propriamente filosofico, soprattutto in sede etica e metafisica, capace non solo di giustificare la plausibilità della protesta, ma soprattutto di rendere ragione della dignità dell’essere umano. Un approccio di cui però non si trova traccia negli scritti della filosofa e che rende problematica la trattazione di tematiche fondamentali, come, ad esempio, idirittiumani. Arendt afferma il «diritto ad avere diritti»: questi «dovrebbero rimanere validi e reali anche se un solo uomo esistesse sulla terra; sono indipendenti dalla pluralità umana e dovrebbero quindi conservare il loro valore anche se un individuo fosse espulso dalla società»[17].
Ma su quale base tale dichiarazione può risultare plausibile, dal momento che poche righe prima era stato escluso il suo legame con Dio e la natura umana? La posizione di Arendt è molto chiara nei confronti di chi viola tali diritti, come nella Germania nazista: «Colpa e innocenza dinanzi alla legge sono due entità oggettive, e quand’anche ottanta milioni di tedeschi avessero fatto come te, non per questo tu potresti essere scusato»[18]. Ma a quale «legge» si fa riferimento? E con quale criterio giudicare «iniqua» una legge e prediligerne un’altra?
In queste affermazioni si cela un problema enorme e irrisolto della modernità: il rapporto tra legge positiva e giustizia. Senza il riferimento alla legge naturale, notava san Tommaso, la legge di uno Stato diventa «corruzione della legge», anche se ratificata da un’autorità (cfr Summa Theologiae,I-II, q. 95, a. 2). Ed è proprio ciò che accadde con le leggi razziali.
Joseph Pieper, scrivendo il suo commento al trattato tomista, aveva ben presenti le derive della dittatura nazista, che aveva posto il fondamento della legge nella mera decisione della volontà: una volontà che, a differenza di san Tommaso, non è informata dalla ragione, ma si pone come irrazionale volontà di potenza, fine a sé stessa.
La predilezione di Arendt per il filosofo di Könisberg sulla questione decisiva del giudizio rischia di prestare il fianco a queste aporie, ed è significativo il recente dibattito sugli aspetti razzisti presenti nel pensiero di Kant[19]. L’appello di Eichmann a Kant, sottolineato esplicitamente da Arendt, per quanto discutibile, è inquietante: esso mostra come un approccio meramente formale, come appunto quello di Kant, quando diventa criterio di azione, possa portare ad atrocità enormi nel pieno rispetto delle regole[20]. È il motivo per cui Michel Onfray, nel libro, certamente provocatorio, Le songe d’Eichmann, associa kantismo a nazismo. Il filosofo francese nota come Eichmann abbia rispettato i canoni formali della moralità kantiana: in particolare, l’esclusione dei sentimenti in sede di decisione. Kant affermava certamente che l’uomo dev’essere considerato un fine e mai un mezzo; questo però riguarda appunto gli esseri umani; invece, per il nazismo gli ebrei non sono considerati tali; quindi per loro non vale il secondo postulato dell’imperativo categorico.
Senza un approccio spirituale, diventa difficile giustificare la dignità e l’uguaglianza degli esseri umani: questo è l’insegnamento, rimasto purtroppo inascoltato, alla luce delle terribili ideologie razziste del XX secolo. In tale prospettiva, anche la protesta rischia di rimanere un puro flatus voci, o di dare adito a derive violente e irrazionali, come il populismo, avvicinandosi pericolosamente alla maniera di argomentare totalitaria.
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[1] Cfr H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni di Comunità, 1967, 630.
[2] Cfr ivi, 609.
[3] Ivi, 626.
[4] G. Fornero – S. Tassinari, Le filosofie del Novecento, Milano, Mondadori, 2002, 1009.
[5] H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 2001, 97.
[6] Ivi, 7.
[7] Cfr G. Cucci, L’arte di vivere. Educare alla felicità, Milano, Àncora, 2019, 24-33.
[8] H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 2023, 282.
[9] Id., Le origini del totalitarismo, cit., 427.
[10] Id., La banalità del male…, cit., 159; cfr 143.
[11] Ph. Zimbardo, L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, Milano, Raffaello Cortina, 2008, 27. Cfr G. Cucci – A. Monda, L’arazzo rovesciato. L’enigma del male, Assisi (Pg), Cittadella, 2010.
[12] Cfr S. Wiesenthal, Gli assassini sono tra noi, Milano, Garzanti, 1967, 98. Significativa è anche l’intervista al comandante del lager di Treblinka, Franz Strangl, il quale confessa di aver potuto compiere quell’incarico «dividendo la coscienza in compartimenti stagni» (G. Sereny, In quelle tenebre, Milano, Adelphi, 1975, 214).
[13] H. Arendt, La vita della mente, Bologna, il Mulino, 1989, 197.
[14] Id., Tra passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991, 36.
[15] Cfr Id., Che cos’è la politica?, Torino, Einaudi, 2006, 144-146; F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Milano, Adelphi, 1984, 371.
[16] A. Del Lago, «Introduzione», in H. Arendt, La vita della mente,cit., 58 s. Cfr anche Miguel Abensour: «La pensatrice [Arendt] cercava davvero di elaborare, di edificare una nuova filosofia politica sotto il segno della verità e dell’autenticità? Si può dubitarne. Si può trovare la vera essenza di qualcosa di “fondamentalmente falso”? E, d’altra parte, come spiegare che – lei che non conosceva problemi di scrittura – non abbia mai potuto terminare l’opera che intendeva dedicare alla politica e i cui differenti manoscritti sono stati pubblicati, dopo la sua morte, con il titolo Che cos’è la politica?» (M. Abensour, Hannah Arendt contro la filosofia politica?,Milano, Jaca Book, 2010, 160 s.).
[17] H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., 412.
[18] Id., La banalità del male, cit., 84.
[19] Cfr Id., Teoria del giudizio politico. Lezioni sulla filosofia politica di Kant, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2005; G. Basile, «Kant e il razzismo», in Civ. Catt. 2025 I 310-322.
[20] Nota in proposito Simona Forti: «Kant è colui che per primo rovescia l’immagine classica della legge, per cui non è più il bene a fondare la legge, ma la legge come tale a erigersi a bene. Se seguiamo il ragionamento fino al paradosso, possiamo allora affermare che Eichmann ha una qualche buona ragione per definirsi kantiano. Eichmann è colui che compie il male, ma come effetto collaterale di un agire che ha di mira la conformità al bene, vale a dire la conformità alla legge in quanto legge. È su tali premesse che è stato possibile stabilire la corriva equazione tra kantismo e nazismo […]: un codice di norme, di usi e di costumi che possono essere sostituiti con la stessa facilità con cui si cambiano le usanze conviviali» (istitutodegasperi-emilia-romag… [ultimo accesso 20 maggio 2019]).
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Lucia Berlin, il caleidoscopio di una vita
«Sono talmente stramba che non so neanche come si pronuncia il mio nome. Mia madre mi chiamava Lucìa, mio padre insisteva per pronunciarlo LÙSCIA, una battaglia costante nel corso della mia infanzia, che si placò solo in parte quando ci trasferimmo in Sud America e per tutti ero Lu-sì-a. Al mio secondo marito piaceva Lùscia, perciò chi mi conobbe in quel periodo (ed erano in tanti) mi chiamava così. Il mio terzo marito (rendo l’idea?) preferiva Lusìa, e dato che vivevamo in Messico ero Lusìa anche per tutti gli altri. […] Io sono tutti questi nomi»[1]. Così scriveva Lucia Berlin a un’amica poco prima di morire nel 2004.
Nata a Juneau, in Alaska, il 12 novembre del 1936, Berlin visse molteplici vite e morì relativamente giovane il giorno del suo sessantottesimo compleanno, il 12 novembre del 2004, a Marina del Rey, California. Autrice di racconti, in vita ne pubblicò 77. Pur apprezzata da alcuni scrittori come Lidya Davis, Tom Wolfe e Saul Bellow, fu sostanzialmente ignorata dal pubblico e divenne famosa solo nel 2015, 11 anni dopo la sua morte, quando Lidya Davis curò la pubblicazione di una raccolta di 43 racconti, che la fecero conoscere al grande pubblico. Da allora la sua fama è cresciuta, e oggi Berlin è considerata tra le grandi scrittrici di racconti statunitensi e nordamericane, nel canone che accoglie Grace Paley, Amy Hempel, Alice Munro, Annie Proulx, Raymond Carver e John Cheever.
In Italia, la sua notorietà è cresciuta via via con la pubblicazione delle raccolte dei suoi racconti: La donna che scriveva racconti, del 2016 e 2022; Sera in paradiso, del 2018; Una nuova vita. Racconti, saggi, diari, del novembre 2024, con cui si è completata la pubblicazione dei suoi scritti, compresi due racconti inediti del 1957, che costituiscono le sue prime realizzazioni, legate a una scuola di scrittura creativa da lei frequentata.
La vita
Nota letterariamente con il cognome del terzo marito, Berlin, la scrittrice Lucia Barbara Brown nasce nel 1936 da Wendell Theodore Brown e Mary Ellen Magruder. La vita della donna è segnata da moltissimi viaggi e cambiamenti. In un’intervista del 2003 afferma di aver cambiato nella propria vita 33 abitazioni. Al seguito del padre, ingegnere minerario, solo nei primi cinque anni di vita di Lucia la famiglia si sposta nei campi minerari di Idaho, Montana, Washington e Kentucky. Durante la Seconda guerra mondiale, il padre si arruola in marina come ufficiale e parte per il Pacifico. In questi mesi la famiglia, che nel frattempo si è allargata con la nascita della sorella più piccola di Lucia, Mollie Keith, vive a El Paso, Texas, con i nonni materni[2]. Al ritorno del padre, i Brown trascorrono due anni in Arizona e poi quattro (tra il 1949 e il 1953) in Cile, dove il padre ha accettato un lavoro che darà alla famiglia sicurezza e visibilità sociale[3]. Lucia frequenta con profitto le scuole e impara fluentemente lo spagnolo. Negli anni seguenti la padronanza della lingua ispanica costituirà una risorsa economica e lavorativa importante per la donna, che non riuscirà mai a vivere di ciò che scrive[4], ma solo dei molti lavori precari che si succederanno gli uni agli altri.
Terminato il liceo, Lucia torna negli Usa per frequentare la University of New Mexico ad Albuquerque[5]. Ribelle, ma anche vittima delle attenzioni moleste del padre, Lucia si innamora e si sposa una prima volta nel 1955, a 19 anni, con Paul Suttman, uno scultore dal quale avrà i primi due figli, Mark e Jeff. Alla notizia della sua seconda gravidanza e per il suo rifiuto di abortire, il marito la abbandona[6]. Lucia inizia a scrivere a partire dal 1957, grazie a un corso di scrittura creativa al quale si è iscritta. Nel 1958 conosce il musicista Race Newton, che sposa nel giugno di quell’anno. Grazie a Race, conosce altri due uomini importanti della sua vita: il primo è il poeta Ed Dorn, che per tutta la vita ne appoggerà e sosterrà l’impegno creativo, aiutandola anche a trovare spazi di pubblicazione. Il secondo è Buddy Berlin, imprenditore e musicista jazz, che diventerà il suo terzo marito nel 1962 e adotterà i primi due figli, dando loro il cognome[7].
In quegli anni Lucia si trasferisce a Santa Fe e a New York, scrive i primi racconti, lavora a due opere, Acacia e A Peaceable Kingdom, che non completerà mai, ma che forniranno il materiale per successivi racconti, che costituiranno sempre la misura migliore della sua espressione letteraria. Se con il tempo si scopre che il suo secondo marito ha problemi di alcolismo, il terzo marito si rivela un tossicomane. Il matrimonio con quest’ultimo durerà cinque anni. Nel 1967 Buddy e Lucia divorzieranno, ma lei continuerà a usarne il cognome per firmare le proprie opere. Gli anni con Buddy sono ricchi di viaggi e lunghe permanenze in Messico o ad Albuquerque. Le risorse economiche del marito consentono alla famiglia un buon tenore di vita; vi sono momenti felici, ma il problema della dipendenza di lui e dei successivi periodi di disintossicazione espongono Lucia ad alcuni episodi di vita drammatici[8]. In questi anni nascono altri due figli: David nel 1962 e Daniel nel 1965. Lucia riprende anche gli studi letterari.
Quando Lucia e Buddy divorziano, lei ha appena 32 anni, tre matrimoni alle spalle e quattro figli di cui prendersi cura. Tra il 1967 e il 1969 vive da sola con i figli, si laurea in spagnolo e prosegue con la specializzazione, ha una serie di relazioni e inizia a bere fino a diventare un’alcolista. Si tratta di un problema diffuso nella sua famiglia (anche sua madre e suo fratello lo furono per lunghi anni). L’alcolismo segnò la vita di Berlin almeno fino al 1987, quando, dopo un ultimo ricovero in ospedale, smise definitivamente di bere[9]. Sono anni di scrittura e di continui cambiamenti di lavoro. Donna delle pulizie, giardiniera, centralinista in varie strutture cliniche e ospedaliere, addetta all’accoglienza in ambulatori medici, insegnante in scuole private o in carceri minorili, in strutture di riabilitazione e disintossicazione: la lista dei lavori della scrittrice è lunga, e colpisce come sia un susseguirsi di luoghi di umanità dolente e ferita.
Certamente questa lunga e frammentata frequentazione dei luoghi del dolore, della malattia e dell’esclusione influì sullo sguardo empatico e umanissimo che Berlin rivela nei suoi racconti, che lentamente vengono composti e compaiono in riviste minori o pubblicati in edizioni di nicchia. Nel frattempo, i figli crescono, si susseguono le relazioni, accadono eventi drammatici nella sua vita: violenze, incendi, suicidi, distruzione dei suoi scritti. La salute malferma della scrittrice è l’altro elemento costante della sua vita. Fin dall’età di 10 anni le viene diagnosticata una forma acuta di scoliosi e, se per molti anni della sua gioventù lei dovette portare corsetti ortopedici, a partire dal 1995 (all’età di 59 anni) fu costretta a portare sempre con sé una bombola d’ossigeno, perché una costola le aveva perforato un polmone a causa della scoliosi. Per un anno, tra il 1991 e il 1992, vive con la sorella malata di cancro in Messico[10], assistendola quotidianamente fino alla sua morte.
A partire dagli anni Novanta, la vita di Berlin sembra farsi più stabile, così ne guadagna la scrittura. Grazie all’interessamento di Ed Dorn, amico di una vita, fra il 1994 e il 2000 insegna scrittura creativa presso l’University of Colorado, a Boulder. Questo è il periodo di maggiore stabilità nella vita della scrittrice. È molto amata e apprezzata come insegnante. Ritiratasi dall’insegnamento per problemi di salute, si trasferisce a Los Angeles per vivere vicino ai figli. Nel 2001 le viene diagnosticato un tumore, e scrive il suo ultimo racconto, «Io e B.F.». Muore nel 2004 a Marina del Rey, dove si è trasferita l’anno precedente[11].
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I racconti di Lucia Berlin e la relazione con altre scrittrici di racconti
Berlin ha scritto 81 racconti. Di questi, due sono andati dispersi[12] e due sono stati pubblicati postumi[13]. Gli altri 77 sono stati pubblicati distribuiti in varie raccolte. La fama della scrittrice è però legata all’antologia pubblicata postuma nel 2015, dal titolo A Manual for Cleaning Women, che gioca su un duplice e ambiguo significato. Letteralmente, infatti, il titolo può essere tradotto sia «Un manuale per donne delle pulizie», sia «Un manuale per pulire le donne». Il titolo scelto dalla traduzione italiana «tradisce» il gioco di parole e preferisce un più anodino La donna che scriveva racconti[14]. Se la pubblicazione del più recente Una nuova vita, del novembre 2024, ha riportato l’attenzione sulla scrittrice statunitense, è certamente al precedente La donna che scriveva racconti che si deve la sua vasta notorietà. Se per descrivere l’insieme dell’opera dei suoi racconti si può usare l’aggettivo «jazzistico», per quanto appare di riscrittura nelle «variazioni» di alcuni temi ricorrenti, vi sono almeno tre nuclei o cicli di narrazione più evidenti. Il più chiaro è quello legato alla malattia della sorella e all’assistenza di lei in Messico. Un altro risale alla sua esperienza in contesti ospedalieri, clinici e ambulatoriali. Infine, il terzo è la condizione di giovane madre e di donna afflitta dal problema dell’alcol.
Il nome di Berlin viene spesso affiancato a quello di Grace Paley, di Tillie Olsen, di Amy Hempel e di Alice Munro, come se esistesse un canone femminile del racconto breve. A noi sembra impropria e scivolosa la categoria di scrittura al femminile, perché nega l’unicità di ogni autore e in qualche modo attribuisce alla letteratura etichette di genere che ne impoveriscono il carattere universale. È sufficiente considerare che la maggior parte dei racconti delle scrittrici che abbiamo citato ha come protagoniste delle donne per poter parlare di «genere femminile»?
Qual è la nota propria della scrittura di Berlin? Molti racconti di Munro esplorano e rivelano le pieghe della vita: il lettore che la conosce attende l’intuizione finale che raccoglie ciò che è stato seminato invisibilmente nelle pagine precedenti. Grace Paley è vitale, mobile, politicamente impegnata, profondamente ironica; usa in modo unico la lingua per creare un mondo sonoro di accenti newyorchesi e dà voce al mondo femminile nel contesto degli anni Sessanta[15]. Tillie Olsen vibra di impegno civile e sociale; ogni pagina è strappata a una vita di attività politica, sindacale e di idealità socialista[16]. I racconti di Berlin mostrano altro: è il racconto della sua vita cristallizzata in schegge di parole, forse per capirla, forse per sopravvivervi. È l’immagine del caleidoscopio cui ci riferiamo nel titolo. La penna della scrittrice mostra passaggi e spazi di vita. Lo stile veloce e solo apparentemente semplice, la ricchezza e la precisione dei dettagli li rendono estremamente attraenti, così che il lettore ne viene facilmente coinvolto. Berlin vuole trasformare la sua esistenza in una pagina universale di umanità, e ci riesce rimanendo fedele all’unicità del suo punto di vista. La forza è nello stile: l’autrice è capace di riprendere il clima umano di un contesto, di riprodurre il ritmo della conversazione quotidiana, di porre attenzione ai dettagli concreti di un ambiente.
Tre ragioni per amare e frequentare le pagine di questa scrittrice
Il primo motivo per leggere le pagine di Berlin è la «verità» che vi si respira. I racconti non sono reali, sono «veri». Chi conosce qualche passaggio della vita di questa scrittrice può facilmente ritrovare moltissimo materiale biografico nei suoi racconti. Prima che l’autofiction diventasse una declinazione costante della narrativa contemporanea, quasi un inevitabile ancoraggio, Berlin attingeva già dalla propria straordinaria esperienza umana personaggi, panorami, ambienti, colori e profumi per immetterli nel proprio mondo narrativo. «Per me l’atto di scrivere è non verbale, il piacere del processo si colloca in quello che Charlie Parker[17] ha definito “il silenzio tra le note”. Spesso i miei racconti sono come poesie o diapositive che illustrano un sentimento, un’epifania, il ritmo di un’epoca o di una città. Un aroma o una risata può scatenare ricordi che si cristallizzano in una storia»[18].
La varietà dei contesti delle vicende riflette la personale esperienza della scrittrice: che sia il Messico di Puerto Vallarta o di Città del Messico, New York o Albuquerque, la casa di argilla con il tetto di lamiera[19] nella campagna secca e arida del New Mexico di Corrales, o la stanza delle centraliniste di un ospedale, la vicenda si svolge in un luogo che Berlin ha conosciuto e frequentato. «In qualunque opera scritta, l’elemento appassionante non è l’identificazione con una situazione, ma questo riconoscimento della verità»[20]. A fronte di questa facile trasparenza, vi è come un gesto di ritrosia della scrittrice, che usa nomi di fantasia per nascondere sé stessa, i figli, i parenti, gli amici. Le vicende sono presentate e al tempo stesso nascoste. Il figlio primogenito Mark ha scritto, a proposito dello stile della madre, autrice di racconti: «Mamma scriveva storie vere; non necessariamente autobiografiche, ma neanche troppo distanti. Le storie e i ricordi della nostra famiglia sono stati via via rimodellati, abbelliti e adattati al punto che non sono sicuro di cosa sia realmente successo in tutto quel tempo. Lucia diceva che non aveva importanza: quello che conta è la storia»[21].
Quel che opera la letteratura è ciò che avviene anche nella memoria: la memoria trasforma, e la letteratura trasforma. Scrive Berlin: «Il più delle volte la mia fonte d’ispirazione è visiva […], ma l’immagine deve necessariamente collegarsi a un’esperienza specifica e intensa. Molte volte l’emozione che affiora è dolorosa, l’evento rammentato orribile. Perché la storia “funzioni” la scrittura deve sciacquare o congelare l’impulso iniziale. In qualche modo deve verificarsi la più impercettibile alterazione della realtà. Una trasformazione, non una distorsione della verità. La storia in sé diventa la “verità” non solo per lo scrittore ma per il lettore»[22].
Lungi dai trionfalismi di chi fa di sé stesso materia di narrazione, la scrittura di Berlin è un esercizio di composta umiltà, nel senso etimologico di «vicino alla terra», alla polvere, alla terrestrità. Nel noto racconto «La lavanderia a gettoni di Angel», del 1972, pubblicato dall’Atlantic Monthly nel 1976, Berlin scrive della protagonista: «Alla fine non potei fare a meno di fissare anch’io le mie mani. […] Nel mio sguardo, il panico. Mi fissai nello specchio, poi abbassai gli occhi sulle mani. Orrende macchie di vecchiaia, due cicatrici. Mani per nulla indiane, nervose, sole. Ci vedevo bambini, uomini e giardini, nelle mie mani»[23]. Vi è un profondo rispetto per il dolore e la fatica del vivere. In «Dolore fantasma», in cui ricorda il padre in ospedale, la cui memoria viene progressivamente erosa dalla demenza senile, un malato vicino di letto urla di dolore per l’amputazione delle gambe, e Berlin scrive: «John lo ignorava, leggeva la Bibbia o si contorceva e urlava nel suo letto: “Le mie gambe! Signore Gesù, fammi passare questo dolore alle gambe!”. “Càlmati John”, diceva Florida, “solo un dolore fantasma”. “Ma è vero?”, le ho chiesto io. Lei si è stretta nelle spalle. “Il dolore è sempre vero”»[24].
In «El Tim», Berlin mostra la potenza dell’empatia come agente di trasformazione, nella relazione della protagonista, insegnante di una scuola superiore, con un ragazzo intelligente ma problematico, tolto temporaneamente dal riformatorio per avere una possibilità ulteriore di riscatto. È un momento di profondissima empatia, vissuta e mostrata. «“Perché mi hai dato uno schiaffo?”, mi chiese Tim piano. Cominciai a rispondergli, volevo dirgli: “Perché sei stato insolente e scostumato”, ma vidi il suo sorriso di disprezzo mentre si aspettava che pronunciassi proprio quelle parole. “Ti ho dato uno schiaffo perché ero arrabbiata. Per Dolores e per il sasso. Perché mi sono sentita ferita e stupida”. I suoi occhi mi scrutarono. Per un istante il velo scomparve. “Allora siamo pari”, disse. “Sì”, dissi io, “Andiamo in classe”. M’incamminai per il corridoio con Tim, evitando il ritmo della sua andatura»[25].
Il secondo motivo per dedicare tempo alla lettura dei racconti di Berlin è la «santità» che si nasconde e a tratti traluce in essi. La vita della scrittrice fu travagliata, al tempo stessa vittima e carnefice di sé stessa, delle sue scelte affettive, delle sue fragilità e delle sue dipendenze. Scrive in un racconto del 1996: «Adesso va tutto bene. Amo il mio lavoro e i miei colleghi. Ho dei buoni amici. Vivo in un bell’appartamento appena sotto il monte Sanitas. […] Sono profondamente grata per la vita che conduco oggi. Perciò perdonami, Dio, se confesso che ogni tanto ho il diabolico impulso di mandarla tutta a rotoli. Non riesco nemmeno a credere che mi vengano certi pensieri, dopo tanti anni di tribolazioni»[26]. Non sono racconti che parlano di vite sante, ma in essi emerge la santità della vita, la sua insopprimibile dignità[27]. Lo sguardo leggero, che alcuni definiscono «ironico e divertito»[28], comunica una sorta di inalienabile speranza nella vita e nel futuro, dentro grandi dolori.
In «Carpe diem», del 1984, Berlin scrive, quasi all’inizio del racconto: «E le lavanderie a gettoni. Ma quelle erano un problema anche quando ero giovane. Richiedono troppo tempo, persino quelle della catena Speed Queen. Mentre stai seduto lì, tutta la vita ti passa davanti agli occhi, come se stessi affogando. Naturalmente se avessi un’auto potrei andare dal ferramenta o all’ufficio postale per poi tornare e infilare i pantaloni nell’asciugatrice. Le lavanderie senza assistenti sono anche peggio. Mi sembra sempre di essere l’unica persona lì dentro. Ma tutte le lavatrici e le asciugatrici sono in funzione… gli altri sono andati dal ferramenta»[29]. La quotidianità che stranisce e isola viene descritta con un tocco di ironia.
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Oppure il notissimo «Manuale per donne delle pulizie», del 1975, che racconta le varie esperienze di una donna delle pulizie (è la stessa Berlin) in case e con datrici di lavoro diverse, solo apparentemente è un racconto ironico, soprattutto nei passaggi in cui la scrittrice fornisce una serie di suggerimenti ad altre donne delle pulizie, ponendo le sue gemme di esperienza tra parentesi: «(Consiglio per le donne delle pulizie: prendete tutto quello che la vostra padrona vi offre e ringraziatela. Potete sempre lasciarlo sull’autobus)»[30]. Oppure questo: «(Donne delle pulizie: Fate capire che siete coscienziose. Il primo giorno rimettete a posto i mobili nel modo sbagliato… spostati di quindici-venti centimetri, o girati dalla parte sbagliata. Quando spolverate, invertite i gatti siamesi, mettete il bricco del latte a sinistra dello zucchero. Cambiate l’ordine degli spazzolini da denti). […] Fare le cose nel modo sbagliato non solo le rassicura sul fatto che siete coscienziose, ma fornisce loro l’opportunità di farsi valere e comandare. Molte donne americane non si sentono a loro agio all’idea di avere una domestica. Non sanno che cosa fare mentre tu sei in casa»[31].
In realtà, è la chiusura del racconto a rivelarne il cuore segreto, dolorosissimo, la sofferenza nell’elaborare il lutto di un ragazzo che l’amava e si è suicidato: «“Be’… chi vivrà vedrà”, ho detto io, e ci siamo messe a ridere. Ter, io non voglio affatto morire, in realtà. […] È una giornata fredda e tersa di gennaio. All’angolo della Ventinovesima compaiono quattro ciclisti con le basette, come un filo d’aquilone. Una Harley in folle alla fermata dell’autobus; dal pianale di un pick-up Dodge del ’50 i ragazzini salutano con la mano il motociclista. E finalmente piango»[32]. In molti racconti il sentimento della dignità della vita e della persona, nella sua fragile e persino drammatica imperfezione, permane e appare tra le righe.
Il terzo motivo per amare le pagine della scrittrice statunitense è che lei riesce a mantenersi nel difficile e precario equilibrio di dar voce a situazioni drammatiche senza giudicarle. Non prende posizione etica sulla pagina (sarebbe moralismo), ma aiuta noi a farlo nell’intimo della coscienza come lettori, lascia a noi il compito e la responsabilità di compiere questo passo «mostrando» l’ingiustizia, la violenza e la drammaticità della vita. Sono molteplici i racconti che riescono a compiere questo «miracolo» di coinvolgimento. Di sé stessa Berlin afferma: «Non sono mai stata realmente presente, l’unico posto in cui vado davvero sono i libri, dentro i libri. Di rado riesco a creare un’emozione autentica sulla pagina, e solo a quel punto si potrebbe dire che esisto sul serio. In Dolore fantasma, Temps perdu, Manuale per donne delle pulizie, ruota tutto intorno a questo»[33].
Sono molteplici i racconti dedicati alla complicata condizione femminile, a volte carica di vere angosce e drammi. Ad esempio, quando, in «Silenzio», la scrittrice allude alle molestie del nonno su di lei e sulla sorella più piccola; quando, in «La vie en rose», racconta l’esperienza del primo bacio da adolescente estorto da un ragazzo più grande e per il quale viene invece accusata dal padre con il terribile termine «sgualdrina»; quando, in «Cara Conchi», ricorda di come sia stata lasciata sola su un ponte in mezzo al niente, come fosse un pacco, per aver espresso le sue opinioni, ugualmente ignorata dal padre e dal ragazzo dell’epoca: per l’uno non contano i pareri, per l’altro non contano i sentimenti. Oppure possiamo ammirare la levità con cui riesce a portare il lettore alla molestia raccontata in «Sex appeal»,che accade improvvisa e inaspettata e gela il lettore come la ragazzina protagonista.
Il sentimento religioso e la maternità
Berlin non può essere presentata come scrittrice credente che affronta esplicitamente temi di fede e spiritualità cristiana, come Marilynne Robinson e Flannery O’Connor, o come Jon Fosse. Tuttavia, quando appare, il sentimento religioso è vero. Nel racconto «Randagi», del 1985, Berlin scrive: «La luna. Non esiste luna come quella di una notte limpida del New Mexico. […] Il mondo continua ad andare avanti. Alla fine non c’è molto altro che conti. Che conti davvero, voglio dire. Ma poi qualche volta ti capita, per un secondo, di essere toccato da questa grazia, dalla certezza che invece ci sia qualcosa che conta, che conta davvero»[34].
Il sentimento religioso è legato alla maternità e al senso di profonda vicinanza alla Vergine Maria in «Fool to Cry», del 1992. Berlin assiste al battesimo di molti bambini e scrive, a proposito dei parenti presenti: «I genitori erano seri, pregavano con solennità. Mi sarebbe piaciuto che il prete benedicesse anche tutte le madri, che facesse questo gesto, desse loro qualche protezione. Nei paesini messicani, quando i miei figli erano molto piccoli, qualche volta gli indios gli facevano il segno della croce sulla fronte. Pobrecito! Dicevano. Era un peccato che una creatura tanto graziosa fosse destinata a soffrire nella vita! […] Uscendo dalla chiesa accendo una candela davanti alla statua della Beata Vergine Maria. Pobrecita»[35].
Legati all’esperienza della maternità, non si possono non citare «Morsi di tigre»[36], del 1989, e «Mijito»[37], del 1998, intensissimi racconti di maternità travagliate. Nel primo, Berlin racconta il momento in cui la giovane protagonista del racconto, che si è recata in Messico per abortire, decide di non farlo, tenendo il secondo figlio, che attende a soli 22 anni, e per questo accettando che il marito la abbandoni, forma ulteriore di violenza che una donna può subire. Nel secondo racconto, la scrittrice inserisce nel contesto clinico ospedaliero la vicenda di una giovanissima ragazzina messicana immigrata, che si ritrova sola ad accudire il bambino appena nato in un contesto estraneo, nemico, senza conoscere l’inglese, senza riferimenti affettivi e relazionali. È un racconto crudo e pesante come una pietra.
Lo sfondo dei figli è presente anche nel racconto «Incontrollabile»[38], del 1992, racconto che mostra con luce livida la sete che consuma la protagonista, divisa tra la necessità di procurarsi degli alcolici e il buon senso di non uscire di notte lasciando i figli piccoli a casa da soli.
La maternità minacciata dalla dipendenza affettiva della donna nei confronti del marito è lo sfondo del crudo «Carmen»[39], del 1996, nel quale Berlin riprende l’episodio autobiografico in cui lei fu spinta dal marito eroinomane a prestarsi per andare a prendere della droga, pur essendo in gravidanza inoltrata.
Conclusioni
Lucia Berlin ha vissuto una vita che esce dagli schemi della normalità. Nella varietà dei luoghi e delle situazioni attraversate, il filo rosso che l’accompagna è l’amore per la letteratura e per la scrittura. Se si potesse immaginare una figura che riassuma l’opera di uno scrittore, per Berlin potremmo dire che essa coincide con il «caleidoscopio», che ben rappresenta e sintetizza la bellezza dei suoi racconti, tratti da «pezzi di vita», talvolta da finestre su «una vita a pezzi».
Nella brevità e semplicità della presentazione di questo articolo, emergono tre elementi che, a nostro parere, raccolgono i migliori tratti della scrittura di Berlin. Il primo è l’autenticità delle situazioni di vita e la prossimità alle fragilità; il secondo è la santità, o dignità della vita umana, che emerge oltre le ferite e le ombre che possono segnarla; il terzo è il coinvolgimento emotivo e la chiamata etica che i racconti suscitano, che possiamo intendere anche come una chiamata alla «compassione», interpretata in senso etimologico come un «patire insieme» a lei e ai personaggi femminili, dietro i quali lei racconta la vita, creando pagine di intensa letteratura.
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[1] L. Berlin, «Buoni e cattivi», in Id., La donna che scriveva racconti, Torino, Bollati Boringhieri, 2022, 148.
[2] Nei racconti, i nonni compaiono come Mamie e il dr. Moynihan, al cui terribile ritratto è dedicato il racconto omonimo «Il dottor H. A. Moynihan», del 1981. La datazione di questo e dei successivi racconti si riferisce all’anno di completamento, non a quello di pubblicazione. Per la cronologia dei racconti, cfr la «Bibliografia» in L. Berlin, La donna che scriveva racconti, cit., 248-250.
[3] Agli anni cileni si ispirano i racconti «La vie en rose», del 1987, e «Buoni e cattivi», del 1992. Quest’ultimo in particolare riflette le tensioni sociali e politiche di quegli anni.
[4] I primi introiti per i diritti delle sue pubblicazioni arriveranno infatti solo nel 2000 e ammonteranno alla cifra di 980 dollari, secondo la scheda cronologica del figlio Jeff.
[5] Il trasferimento dal Cile al New Mexico costituisce lo sfondo del racconto «Cara Conchi», del 1992.
[6] Questa situazione costituisce lo sfondo del racconto «Morsi di tigre», del 1989.
[7] Race Newton e Buddy Berlin compaiono con altri nomi in molti racconti. Uno per tutti, ad esempio, è «Ci vediamo», del 1992.
[8] I racconti più significativi che ritraggono l’altalenanza di questo periodo sono «La barca de la Ilusiόn», del 1990, e il cupo «Carmen», del 1996.
[9] Molti sono i racconti che descrivono questa condizione: «La fossa», del 1981; «La prima disintossicazione», del 1981; «Passo», del 1986; «Incontrollabile», del 1992; «502», del 1996.
[10] I racconti legati a questo periodo di vita e alla relazione con la sorella costituiscono il nucleo più consistente di storie all’interno della sua produzione letteraria. Ricordiamo «Polvere alla polvere», del 1986, e «Aspetta un attimo», del 1997.
[11] I riferimenti biografici sono estrapolati dalla scheda cronologico-biografica scritta dal figlio Jeff Berlin, in L. Berlin, Una nuova vita. Racconti, saggi, diari, Torino, Bollati Boringhieri, 2024, 217-242.
[12] «The Beisbol Game» e «A Token of Esteem», entrambi del 1959.
[13] Durante la sua vita, Berlin perse i suoi scritti due volte. La prima fu quando dei ladri entrarono in casa e, portando via tutto quello che vi avevano trovato, rubarono anche i suoi racconti. La seconda fu quando scoppiò un incendio in casa, e le fiamme distrussero anche i testi autografi che vi si trovavano.
[14] Cfr L. Berlin, La donna che scriveva racconti, cit.
[15] Per una presentazione di Grace Paley, cfr anche D. Mattei, «Grace Paley: un esercizio di ascolto», in Civ. Catt. 2025 II 95-107.
[16] Per una presentazione di Tillie Olsen, cfr anche Id., «Tillie Olsen e “Le vite dei più”», in Civ. Catt. 2025 I 456-465.
[17] Charlie Parker fu un noto sassofonista, musicista jazz, nato a Kansas City nel 1920 e morto a New York nel 1955. La sua figura ispirò anche un altro scrittore di racconti brevi, Julio Cortázar. Il protagonista della nota novella Il persecutore è un alias di Parker. Per approfondire, cfr D. Mattei, «Julio Cortázar e il racconto delle pieghe “velate” del reale», in Civ. Catt. 2024 IV 445-458.
[18] L. Berlin, Una nuova vita. Racconti, saggi, diari, cit., 165.
[19] Riferimento al racconto con il medesimo titolo, «Una casa d’argilla con il tetto di lamiera», del 1988. Si riferisce al periodo trascorso da Berlin a Corrales, piccolo centro alle porte di Albuquerque, dopo il divorzio da Buddy Berlin.
[20] L. Berlin, Una nuova vita. Racconti, saggi, diari, cit., 165.
[21] Id., Sera in paradiso, Torino, Bollati Boringhieri, 2018, 272.
[22] Id., Una nuova vita. Racconti, saggi, diari, cit., 165.
[23] Id., La donna che scriveva racconti, cit., 10.
[24] Id., «Dolore fantasma», ivi, 78.
[25] Id., «El Tim», ivi, 63.
[26] Id., «502», ivi, 413.
[27] «Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (Dicastero per la dottrina della fede, Dichiarazione Dignitas infinita, n. 1).
[28] L’ironia è il tratto che, secondo alcuni, accomuna Berlin a Paley. Ci sembra che l’ironia usata da Paley sia una forma di trasfigurazione della realtà, mentre in Berlin sia la distanza minima dai fatti, che permette di «respirare». In quell’interstizio si crea letteratura e agisce la speranza.
[29] L. Berlin, «Carpe diem», in Id., La donna che scriveva racconti, cit., 127.
[30] Id., «Manuale per donne delle pulizie», ivi, 37-39.
[31] Ivi, 46.
[32] Ivi, 50.
[33] L. Berlin, Una nuova vita. Racconti, saggi, diari, cit., 192.
[34] Id., «Randagi», in Id., La donna che scriveva racconti, cit., 202-203.
[35] Id., «Fool to cry», ivi, 262 s.
[36] Id., «Morsi di tigre», ivi, 83-104.
[37] Id., «Mijito», ivi, 385-411.
[38] Id., «Incontrollabile», ivi, 177-180.
[39] Id., «Carmen», ivi, 359-368.
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Aprender a sentir en Cristo
Questo libro ha avuto origine da alcune lezioni tenute dal gesuita p. Guerrero, per presentare tutte le «Regole» degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio a un gruppo di gesuiti, cercando di collegarle con la situazione che viviamo nelle nostre società e nella nostra cultura.
Ci troviamo in un «cambiamento di epoca», che ha un impatto sui credenti. Quando si parla di «raccoglimento», non è lo stesso quello vissuto nella passata società agricola, che funzionava al suono delle campane della chiesa, e quello vissuto nella nostra, immersa nel vortice dei social, che richiedono e disperdono la nostra attenzione. I cambiamenti sono stati enormi, innanzitutto nel contesto esterno, ma anche nell’interiorità delle persone.
Il libro è diviso in cinque capitoli. Il primo analizza una lettera scritta da sant’Ignazio a Teresa Rejadell, una suora che gli confidava lo stato della sua anima. La lettera anticipa le «Regole» degli Esercizi e mette in risalto la necessità di leggere anche il nostro contesto per progredire nel cammino della spiritualità.
Il secondo capitolo studia le «Regole di discernimento» della prima settimana degli Esercizi, che affrontano il problema di sentirsi scoraggiati o tentati di rinunciare. Si considera anche la persona attuale, il suo modo di sentire, la sua concezione del tempo o la sua ricerca di un’«euforia perpetua», che la porta a non valorizzare l’alternanza di sentimenti, che invece la rafforzerebbe. Si parla anche di scrupoli, una tentazione che attanaglia con la paura.
Il terzo capitolo è dedicato alle «Regole di discernimento» più appropriate alla seconda settimana degli Esercizi. Esse corrispondono al momento della scelta. È la fase in cui l’esercitante cerca di unire la sua volontà a quella di Dio e di scegliere la sua vocazione. In questo processo, una delle tentazioni più frequenti è «la tentazione sotto l’apparenza del bene», che porta a diminuire o deviare il bene che siamo chiamati a fare. Il capitolo è completato da una breve spiegazione delle «Regole per la distribuzione dell’elemosina», da intendere come regole per distribuire i doni che abbiamo per il bene degli altri.
Il quarto capitolo esamina le «Regole per ordinarsi nel mangiare». Sant’Ignazio inserisce queste Regole nella terza settimana degli Esercizi, quando si contempla la Passione del Signore. Si tratta di regole abbastanza pratiche, che ci aiutano a ordinare le nostre attività, il nostro riposo, la nostra navigazione in internet, e tante altre cose quotidiane che, oltre a essere necessarie biologicamente, socialmente o culturalmente, hanno un qualche piacere concorrente, che può turbare l’ordine e rovinare ciò che è più sacro.
Il quinto capitolo tratta delle «Regole per sentire con la Chiesa», che devono essere vissute in una cultura individualistica come la nostra. Sono regole che, più che per gli Esercizi, sono per la persona che li ha fatti e che è chiamata a una vita di servizio per gli altri, a essere costruttrice della comunità e a mantenere la comunione con la Chiesa.
Questo libro, presentando i consigli contenuti negli Esercizi spirituali ignaziani con un linguaggio adatto alle nostre categorie, intende aiutare le persone che sono alla ricerca di Dio e vogliono prestare attenzione a ciò che accade dentro di loro e di rispondere alla chiamata che stanno vivendo. L’A. ci mostra che, per sant’Ignazio, l’esperienza spirituale interiore cerca di tradursi in un’azione a favore degli altri e per il bene del mondo in cui viviamo. In questa ottica, p. Guerrero presenta alcune analisi della società e della cultura in cui viviamo, cercando di capire in che modo essa influisca sulla nostra vita spirituale, sul nostro discernimento o sulla nostra maniera di essere. E, quasi di sfuggita, ma come filo conduttore, riesce a mostrare che l’applicazione delle Regole ignaziane, negli Esercizi o al di fuori di essi, può plasmare un soggetto spirituale coerente e attrezzarlo interiormente affinché la sua vita sia orientata agli altri e all’Altro, senza soccombere all’egoismo, che gli fa cercare la felicità fuori da Dio, o nelle creature a prescindere da lui. Così egli scoprirà che la vera vita è amare Dio in tutte le cose e tutte le cose in lui.
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noyb WIN: La DPA francese multa Google per 325 milioni di euro per le "email di spam" in Gmail La CNIL ha multato Google per 325 milioni di euro per aver creato email di spam in Gmail mickey04 September 2025
EDRi warns against GDPR ‘simplification’ at EU Commission dialogue
On 16 July 2025, EDRi participated in the European Commission’s GDPR Implementation Dialogue. We defended the GDPR as a cornerstone of the EU’s digital rulebook and opposed further attempts to weaken it under the banner of ‘simplification’. The discussion was more divided than the official summary suggests.
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Hessisches Psychisch-Kranken-Hilfegesetz: „Aus einem Genesungsschritt wird ein Sicherheitsrisiko gemacht“
Reviewing the “Convention against Corruption” in Vienna
The following is a comment from PPI’s main representative at UNOV, Kay Schroeder, who recently tried to attend the United Nations “Convention against Corruption” (UNCAC) in Vienna.
“This week, the “Conference of the States Parties to the United Nations Convention against Corruption” has begun in Vienna. Unfortunately, I cannot attend, as civil society is barred from participating. Nevertheless, I would like to share my thoughts on the topic of anti-corruption, the obvious impossibility of addressing this issue by the very suspects themselves, and the accompanying shadowboxing.
UNCAC is the highest decision-making body of the United Nations in the fight against corruption. Its tasks include implementing adopted measures, coordinating new initiatives, and deciding on future anti-corruption efforts. A commendable agenda, yet one that falters due to the nature of the states themselves—being the very subjects of corruption through their own representatives in the UN bodies tasked with oversight and enforcement.
It is evident that an institution composed exclusively of state actors can hardly contribute meaningfully to combating corruption, as its representatives are part of the problem. The exclusion of civil society from participation reinforces this impression, especially since we as Pirates have always stood for transparency and decentralization—two essential pillars of anti-corruption that rarely find their way into these forums.
There is, however, some good news from the perspective of anti-corruption. Quite unironically, Austria has today abolished official secrecy. After 100 years, the Freedom of Information Act is making its debut. That’s longer than the UN has existed.”
We thank Mr. Schroeder and all of our PPI UN representatives for their hard work attempting to represent us at the UN and reporting back to us.
If you or any other Pirates you know would like to participate in UN events, please let us know by filling out the volunteer form: lime.ppi.rocks/index.php?r=sur…
If you would like to help PPI continue to send representatives to these meetings, please consider making a small donation to our organization or becoming a member. If you would like to be involved personally in the movement, by writing about these issues or attending events, please let us know.
pp-international.net/donations…
Ah però... avevano finito i francobolli per le lettere di licenziamento e hanno avuto questa idea brillante?
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Il prezzo della sorveglianza: perché la polizia irlandese ha pagato una società israeliana di spyware?
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Nelle pieghe opache della sicurezza nazionale, la linea tra difesa dello Stato e abuso di potere è sottile. L’ultima vicenda che riporta questo conflitto al centro del dibattito arriva dall’Irlanda, dove i
L’aggressività di Trump spinge l’India tra le braccia di Pechino?
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Assediata dai dazi statunitensi, l'India rafforza le relazioni con Mosca e avvia il disgelo con la Cina, potenza da sempre considerata con sospetto da New Delhi
L'articolo pagineesteri.it/2025/09/04/asi…
Restoring a Vintage Intel Prompt 80 8080 Microcomputer Trainer
Over on his blog our hacker [Scott Baker] restores a Prompt 80, which was a development system for the 8-bit Intel 8080 CPU.
[Scott] acquired this broken trainer on eBay and then set about restoring it. The trainer provides I/O for programming, probing, and debugging an attached CPU. The first problem discovered when opening the case is that the CPU board is missing. The original board was an 80/10 but [Scott] ended up installing a newer 80/10A board he scored for fifty bucks. Later he upgraded to an 80/10B which increased the RAM and added a multimodule slot.
[Scott] has some luck fixing the failed power supply by recapping some of the smaller electrolytic capacitors which were showing high ESR. Once he had the board installed and the power supply functional he was able to input his first assembly program: a Cylon LED program! Making artistic use of the LEDs attached to the parallel port. You can see the results in the video embedded below.
[Scott] then went all in and pared down a version of Forth which was “rommable” and got it down to 5KB of fig-forth plus 3KB of monitor leads to 8KB total, which fit in four 2716 chips on the 80/10B board.
To take the multimodule socket on the 80/10B for a spin [Scott] attached his SP0256A-AL2 speech multimodule and wrote two assembly language programs to say “Scott Was Here” and “This is an Intel Prompt 80 Computer”. You can hear the results in the embedded video.
youtube.com/embed/C9CFD0suW_0?…
Thanks to [BrendaEM] for writing in to let us know about [Scott]’s YouTube channel.
Trump incontra tutti i leader tecnologici delle AI alla Casa Bianca. Grande Assente Elon Musk!
Oggi, Giovedì 4 Settembre 2025, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ospiterà oltre due dozzine di leader del mondo della tecnologia e dell’imprenditoria per una cena nel Roseto della Casa Bianca, recentemente ristrutturato. A riferirlo è stato un funzionario dell’amministrazione, che ha confermato la presenza di figure di spicco come Mark Zuckerberg di Meta, Tim Cook di Apple, Bill Gates di Microsoft e Sam Altman di OpenAI.
L’incontro rappresenta un momento significativo nel rapporto tra Trump e la Silicon Valley, caratterizzato in passato da scontri su temi come la moderazione dei contenuti e le normative antitrust. Dopo la vittoria elettorale di Trump nel 2024, il settore tecnologico ha intrapreso un percorso di avvicinamento, ridefinendo le proprie posizioni nei confronti della nuova amministrazione.
Secondo fonti interne, diversi dirigenti hanno cercato di allinearsi alle priorità della Casa Bianca, in particolare sostenendo la riduzione delle iniziative legate a diversità ed equità. Allo stesso tempo, le aziende tecnologiche stanno mostrando grande interesse nel rafforzare il dialogo con Trump sulle potenzialità dell’intelligenza artificiale e sulle tecnologie emergenti.
Il portavoce della Casa Bianca, Davis Ingle, ha dichiarato che il presidente è impaziente di accogliere i principali leader del business e della tecnologia per questa occasione e per altre cene future che si svolgeranno nel nuovo patio del Rose Garden. L’evento è stato riportato in anteprima dal notiziario The Hill.
La ristrutturazione del Roseto, completata ad agosto, ha trasformato l’iconico prato in un patio in pietra con tavoli e ombrelloni, richiamando lo stile del resort Mar-a-Lago di Trump in Florida. La cena segue di pochi giorni un incontro dedicato all’intelligenza artificiale organizzato alla Casa Bianca dalla first lady Melania Trump, al quale hanno preso parte diversi CEO e leader del settore.
Tra gli invitati figurano Sundar Pichai di Google, Safra Catz di Oracle, David Limp di Blue Origin, Sanjay Mehrotra di Micron Technology e Greg Brockman di OpenAI. Saranno presenti anche Satya Nadella di Microsoft, Vivek Ranadive dei Sacramento Kings, Shyam Sankar di Palantir e Alexandr Wang, Chief AI Officer di Meta.
Nonostante l’ampia partecipazione di volti di primo piano, Elon Musk non figura nella lista. L’imprenditore, fondatore di Tesla e SpaceX, era stato in passato consigliere di Trump, ma un contrasto pubblico all’inizio dell’anno ha segnato una rottura nel loro rapporto, confermata da un funzionario della Casa Bianca.
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Red Hot Cyber Conference 2026: Aperte le Sponsorizzazioni per la Quinta Edizione a Roma
La Red Hot Cyber Conference è ormai un appuntamento fisso per la community di Red Hot Cyber e per tutti coloro che operano o nutrono interesse verso il mondo delle tecnologie digitali e della sicurezza informatica. La quinta edizione si terrà a Roma, lunedì 18 e martedì 19 maggio 2026, presso lo storico Teatro Italia, e vedrà due giornate dense di contenuti, attività pratiche e networking. Lunedì 18 sarà dedicato ai workshop “hands-on” (che verranno realizzati con il nostro storico sponsor Accenture Italia che ci ha accompagnato nelle ultime 3 edizioni) e alla competizione Capture The Flag, mentre martedì 19 andrà in scena la conferenza principale, con interventi di esperti e la premiazione ufficiale della CTF.
Con l’avvicinarsi dell’evento, Red Hot Cyber apre ufficialmente il Program Sponsor per l’edizione 2026. Si tratta di un’iniziativa fondamentale che, come ogni anno, consente alle aziende di affiancare il proprio brand a un evento di riferimento in Italia sul tema della cybersecurity.
Le sponsorizzazioni non rappresentano solo un contributo alla realizzazione dell’evento, ma anche un’opportunità di grande visibilità e posizionamento strategico all’interno di un ecosistema che raccoglie professionisti, istituzioni e giovani talenti. Inoltre consentono di rendere questo evento accessibile a tutti in forma gratuita.
Le modalità di adesione sono diversificate per permettere alle aziende di scegliere il livello di coinvolgimento più adatto. Come di consueto, sono previsti tre pacchetti principali – Platinum, Gold e Silver – che garantiscono vantaggi crescenti in termini di presenza mediatica, spazi espositivi e opportunità di interazione diretta con i partecipanti. Oltre a questi, è possibile diventare “sponsor sostenitori”, le prime realtà che credono nel progetto e che contribuiscono ad avviare concretamente i lavori organizzativi della conferenza.
All’interno della Red Hot Cyber Conference 2026, le aziende che aderiranno come Sponsor Sostenitore o Sponsor Platinum avranno un vantaggio esclusivo: la possibilità di tenere uno speech durante la conferenza, un’occasione unica per presentarsi davanti a un pubblico qualificato, composto da esperti, professionisti, istituzioni e appassionati del mondo digitale e della sicurezza informatica. Questo anno sarà possibile, da parte degli sponsor, acquisire anche degli spazi espositivi che saranno posizionati nel foyer del teatro.
Inoltre, per tutti i livelli di sponsorizzazione – dai sostenitori fino al Silver – sarà incluso nel pacchetto un programma di branding dedicato, che prevede la presenza di un banner in rotazione sul sito ufficiale di Red Hot Cyber, la pubblicazione di articoli sul portale e il conseguente rilancio sui canali social ufficiali della community. Una formula pensata per massimizzare la visibilità degli sponsor, garantendo un ritorno di immagine concreto e continuativo, non limitato ai soli giorni dell’evento ma esteso anche nei mesi precedenti e successivi alla conferenza.
Le adesioni sono già aperte per aderire come sponsor alla Red Hot Cyber Conference 2026. Per ricevere il Media Kit e tutte le informazioni relative ai vantaggi delle diverse formule di sponsorizzazione, è possibile scrivere a sponsor@redhotcyber.com
Questa è l’occasione ideale per prendere parte a un evento unico in Italia, entrare in contatto con i principali protagonisti della cybersecurity e dimostrare concretamente il proprio impegno verso l’innovazione e la consapevolezza digitale.
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Hexstrike-AI scatena il caos! Zero-day sfruttati in tempo record
Il rilascio di Hexstrike-AI segna un punto di svolta nel panorama della sicurezza informatica. Il framework, presentato come uno strumento di nuova generazione per red team e ricercatori, è in grado di orchestrare oltre 150 agenti di intelligenza artificiale specializzati, capaci di condurre in autonomia scansioni, sfruttamento e persistenza sugli obiettivi. A poche ore dalla sua diffusione, però, è stato oggetto di discussioni nel dark web, dove diversi attori hanno tentato di impiegarlo per colpire vulnerabilità zero-day, con l’obiettivo di installare webshell per l’esecuzione di codice remoto non autenticato.
Hexstrike-AI era stato presentato come un “rivoluzionario framework di sicurezza offensiva basato sull’intelligenza artificiale”, pensato per combinare strumenti professionali e agenti autonomi. Tuttavia, il suo rilascio ha rapidamente suscitato interesse tra i malintenzionati, che hanno discusso del suo impiego per sfruttare tre vulnerabilità critiche di Citrix NetScaler ADC e Gateway, rivelate il 26 agosto. In poche ore, uno strumento destinato a rafforzare la difesa è stato trasformato in un motore di sfruttamento reale.
Post sul dark web che parlano di HexStrike AI, subito dopo il suo rilascio. (Fonte CheckPoint)
L’architettura del framework si distingue per il suo livello di astrazione e orchestrazione, che permette a modelli come GPT, Claude e Copilot di gestire strumenti di sicurezza senza supervisione diretta. Il cuore del sistema è rappresentato dai cosiddetti MCP Agents, che collegano i modelli linguistici alle funzioni offensive. Ogni strumento, dalla scansione Nmap ai moduli di persistenza, viene incapsulato in funzioni richiamabili, rendendo fluida l’integrazione e l’automazione. Il framework è inoltre dotato di logiche di resilienza, capaci di garantire la continuità operativa anche in caso di errori.
Particolarmente rilevante, riporta l’articolo di Check Point, è la capacità del sistema di tradurre comandi generici in flussi di lavoro tecnici, riducendo drasticamente la complessità per gli operatori. Questo elimina la necessità di lunghe fasi manuali e permette di trasformare istruzioni come “sfrutta NetScaler” in sequenze precise e adattive di azioni. In tal modo, operazioni complesse vengono rese accessibili e ripetibili, abbattendo la barriera di ingresso per chi intende sfruttare vulnerabilità avanzate.
HexStrike AI MCP Toolkit. (Fonte CheckPoint)
Il tempismo del rilascio amplifica i rischi. Citrix ha infatti reso note tre vulnerabilità zero-day: la CVE-2025-7775, già sfruttata in natura con webshell osservate su sistemi compromessi; la CVE-2025-7776, un difetto di gestione della memoria ad alto rischio; e la CVE-2025-8424, relativa al controllo degli accessi nelle interfacce di gestione. Tradizionalmente, lo sfruttamento di queste falle avrebbe richiesto settimane di sviluppo e conoscenze avanzate. Con Hexstrike-AI, invece, i tempi si riducono a pochi minuti e le azioni possono essere parallelizzate su vasta scala.
Le conseguenze sono già visibili: nelle ore successive alla divulgazione dei CVE, diversi forum sotterranei hanno riportato discussioni su come usare il framework per individuare e sfruttare istanze vulnerabili. Alcuni attori hanno persino messo in vendita i sistemi compromessi, segnalando un salto qualitativo nella rapidità e nella commercializzazione delle intrusioni. Tra i rischi principali vi è la riduzione drastica della finestra temporale tra divulgazione e sfruttamento di massa, che rende urgente un cambio di paradigma nella difesa.
Pannello superiore: Post del dark web che afferma di aver sfruttato con successo gli ultimi Citrix CVE utilizzando l’intelligenza artificiale HexStrike, originariamente in russo; Pannello inferiore: Post del dark web tradotto in inglese utilizzando il componente aggiuntivo Google Translate. (Fonte Checkpoint)
Le mitigazioni suggerite indicano un percorso chiaro. È fondamentale applicare senza indugi le patch rilasciate da Citrix e rafforzare autenticazioni e controlli di accesso. Allo stesso tempo, le organizzazioni sono chiamate a evolvere le proprie difese adottando rilevamento adattivo, intelligenza artificiale difensiva, pipeline di patching più rapide e un monitoraggio costante delle discussioni nel dark web. In aggiunta, viene raccomandata la progettazione di sistemi resilienti, basati su segmentazione, privilegi minimi e capacità di ripristino, così da ridurre l’impatto di eventuali compromissioni.
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freezonemagazine.com/articoli/…
Sono stati quelli estivi, mesi di “esplorazione” della scena alternativa americana che ha fruttato risultati sorprendenti per la sterminata quantità di band presenti, meno per la qualità della musica proposta, essendo questa in diverse occasioni, interessantissima e degna di essere conosciuta. Cresciuti nel calore crepitante della scena DIY di Philadelphia e forgiati dall’azione comunitaria, dalla
Sono stati
Potremmo introdurre corsi per la preparazione del Gorgonzola, al Classico.
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Next Sosyal è una nuova piattaforma social turca basata su Mastodon.
La piattaforma non ha abilitato la federazione e quindi non è accessibile dal fediverso. Next Sosyal è sostenuta dal partito turco al potere AKP e il presidente Erdoğan ha recentemente pubblicato il suo primo post sulla piattaforma.
"Viviamo in un mondo in cui i governanti autoritari sembrano avere una comprensione migliore delle attuali dinamiche dei social media rispetto a molti leader democratici. Sia Trump che Erdogan comprendono il valore di costruire una piattaforma social in cui avere un contatto diretto con i propri sostenitori e poter controllare la distribuzione dei messaggi. È doloroso che entrambi i leader utilizzino Mastodon per questo scopo, mentre la leadership democratica mostra scarso interesse a costruire le proprie piattaforme di distribuzione social sul social web aperto."
Da Fediverse Report
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LIBERI DAI VELENI DI ROMA SI AVVICINA.
#Ambiente #StopInceneritore #NoInceneritore #NoInceneritori #ZeroWaste #Rifiuti #Riciclo #EconomiaCircolare #NoAlCarbone #EnergiaPulita
Dare luogo alla pace. A Catania la Piazza delle Tre Culture
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/09/dare-lu…
Riparte da Catania la “Global Sumud Flottilla”. Basterà un filo di maestrale per far giungere i pacifisti (non terroristi!) in Palestina. La Sicilia si dimostra ancora crocevia del Mediterraneo e
Alfonso reshared this.
Microchip, il governo americano mette un freno a Tsmc in Cina
L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Dopo Samsung e Sk Hynix, gli Stati Uniti hanno privato anche Tsmc dell'agevolazione per l'esportazione di macchinari per i microchip in Cina. Washington è sempre più determinata a evitare che Pechino migliori le sue capacità
Informa Pirata likes this.
Informa Pirata reshared this.
Vi racconto la missione di Praexidia, la fondazione a tutela delle imprese. Parla il gen. Goretti
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Difesa, aerospazio, cybersicurezza, biotecnologie e infrastrutture critiche: sono questi i settori al centro della missione della Fondazione Praexidia, nuova realtà nata con l’obiettivo di tutelare e valorizzare le filiere
YouTuber Benn Jordan has never been to Israel, but Google's AI summary said he'd visited and made a video about it. Then the backlash started.
YouTuber Benn Jordan has never been to Israel, but Googlex27;s AI summary said hex27;d visited and made a video about it. Then the backlash started.#News #AI
Google AI Falsely Says YouTuber Visited Israel, Forcing Him to Deal With Backlash
YouTuber Benn Jordan has never been to Israel, but Google's AI summary said he'd visited and made a video about it. Then the backlash started.Matthew Gault (404 Media)
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C’è un giudice a Berlino anche per Google: lo spezzatino si allontana?
L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
La decisione del giudice distrettuale statunitense giunge a un anno di distanza dalla sentenza secondo la quale Google deteneva illegalmente il monopolio della ricerca su Internet. Mountain View
Dieci anni dopo Aylan, doveroso ricordare e denunciare ipocrisia occidentale
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Se Aylan, il cui corpicino fu rinvenuto su una spiaggia turca, sdraiato a faccia in giù, fosse ancora vivo avrebbe tredici anni. Se il suo paese
L’eredità dell’omicidio Dalla Chiesa e le cose ancora da fare
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articolo21.org/2025/09/leredit…
La memoria del generale, prefetto, Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato a Palermo il 3 settembre 1982 all’esito di una convergenza di interessi mai completamente chiarita e punita può anche
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Dai think tank al campo di battaglia. L’IA militare tra Washington e Kyiv
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Dalle linee di trincea ucraine fino alla Silicon Valley, passando per gli uffici del Pentagono. La corsa all’intelligenza artificiale militare rappresenta oggi il nuovo terreno di competizione tra potenze. La notizia riportata da Politico, nuda e cruda, è che quando affidi scenari di crisi a modelli
La provincia italiana dei missionari comboniani “appoggia Global Sumud Flotilla”
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La provincia italiana dei missionari comboniani "appoggia l’azione nonviolenta portata avanti dalle attiviste e dagli attivisti della
INTELLIGENZA ARTIFICIALE: QUALE RISPONDE MEGLIO SENZA INVENTARE NULLA?
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Geoffrey A. Fowler, editorialista del The Washington Post sui temi della tecnologia, si è chiesto quale delle intelligenze artificiali sia la più brava...
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Israele manda i droni contro l’Onu. Unifil: “Granate a venti metri da noi”
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La missione ONU in Libano accusa Israele di aver messo in pericolo il proprio personale nonostante l’avviso preventivo; cresce la tensione lungo la frontiera mentre resta irrisolto il ritiro delle truppe dal sud del Paese.
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Trump sceglie “Rocket city” come nuova sede dell’US Space command
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Dopo speculazioni sulle possibili novità annunciate durante la conferenza stampa di Trump, tra cui l’ipotesi di un intervento contro il Venezuela, il presidente americano ha sorpreso tutti annunciando il trasferimento del quartier generale dello US Space command da Colorado Springs, Colorado, a
La mistica degli occhi aperti. Quando i diritti annegano nell’ipocrisia
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/09/la-mist…
Anche nel mondo della politica sono ancora parecchi a far riferimento alla fede cristiana. O, meglio, alla religiosità di matrice cristiana, quando resta una
Burkina Faso, nuova legge contro la comunità LGBTQ: fino a cinque anni di carcere
@Notizie dall'Italia e dal mondo
La nuova normativa, approvata all’unanimità dal parlamento di transizione, prevede da due a cinque anni di carcere, multe e la deportazione per gli stranieri recidivi.
L'articolo Burkina Faso, nuova legge contro la comunità LGBTQ: fino a cinque
Meno vincoli, più sviluppo. Nasce l’Osservatorio sul Diritto all’Innovazione
@Politica interna, europea e internazionale
MENO VINCOLI, PIÙ SVILUPPO Nasce l’Osservatorio sul diritto all’innovazione, 9 settembre 2025, ore 13:00, Sala “Caduti di Nassirya”, Senato della Repubblica Interverranno Andrea Cangini, Segretario generale Fondazione Einaudi e Direttore Osservatorio sul
Perché l’Ue sfruculia ancora Meta
L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Dopo la multa da 200 milioni che la Commissione Ue ha elevato a Meta lo scorso aprile, la Big Tech americana guidata da Mark Zuckerberg (che s'è più volte lamentato che nel Vecchio continente non si possa fare innovazione a causa dell'impianto normativo) rischia
E Meta ancora non capisce un cazzo! Per l'ennesima volta!
youtube.com/watch?v=ymHyOmlUlP…
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Profitez des vidéos et de la musique que vous aimez, mettez en ligne des contenus originaux, et partagez-les avec vos amis, vos proches et le monde entier.www.youtube.com
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La US Navy affonda una barca di trafficanti venezuelani. Tensione nel Mar dei Caraibi
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Una nave della US Navy ha intercettato e affondato un’imbarcazione carica di droga, partita dal Venezuela e legata – secondo Washington – a un’organizzazione narco–terrorista vicina al governo di Nicolás Maduro. L’operazione è stata annunciata dal segretario di Stato Marco Rubio e
Immigrazione, bocciata la strategia di Trump: non è un’invasione
@Notizie dall'Italia e dal mondo
La legge, invocata solo durante la Guerra del 1812 e i due conflitti mondiali, non può essere usata per giustificare rimpatri di massa in tempo di pace.
L'articolo Immigrazione, pagineesteri.it/2025/09/03/mon…
Pornhub's parent company Aylo and its affiliates settled a lawsuit with the FTC and Utah that alleged the company "deceived users" about abuse material on the site.
Pornhubx27;s parent company Aylo and its affiliates settled a lawsuit with the FTC and Utah that alleged the company "deceived users" about abuse material on the site.#pornhub #FTC
Computing quantistico, come vanno i finanziamenti (americani) all’europea Iqm
L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
L'azienda finlandese di computing quantistico Iqm ha ricevuto finanziamenti per 320 milioni di dollari, portando la sua valutazione a 1 miliardo. Dalle startup ai grandi colossi, c'è grande attenzione per una
freezonemagazine.com/articoli/…
Le vie dell’arte, come quelle del Signore, sono infinite e per vie intendo proprio quelle calpestabili, asfaltate, percorribili. Una di queste è in Carnia, regione interna al Friuli Venezia Giulia, dove il centro più grande è Tolmezzo e dal quale, in una manciata di minuti d’auto, si raggiunge il borgo di Illegio. Qui, dove […]
L'articolo La Ricchezza di Illegio proviene da FREE ZONE MAGAZINE.
Le vie
freezonemagazine.com/articoli/…
Il disco che non ti aspetti. Questo è quello che continua a girarmi in testa nel corso degli ascolti, fattisi ripetuti degli ultimi giorni, di questa collaborazione fra la voce bellissima di Bobbie Dobson, canadese dai trascorsi in ambito eminentemente folk/rock, che pur oltrepassata la soglia delle ottantacinque primavere mantiene una capacità di ammaliare con […]
possibile.com/druetti-pos-taja…
Le parole di Tajani sono appunto inopportune. Perché l'iniziativa della Global Sumud Flotilla andrebbe semplicemente sostenuta dal nostro
possibile.com/druetti-pos-taja…
Le parole di Tajani sono appunto inopportune. Perché l'iniziativa della Global Sumud Flotilla andrebbe semplicemente sostenuta dal nostro
Elena Brescacin
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •proprio così: dittatori ed estremisti vari, hanno l'interesse a portare le persone dalla loro parte. I politici che ci siamo scelti lato progressista invece, spesso sono progressisti solo a parole ma usano retoriche e metodi da conservatori.
Basta guardare anche qua in Europa, in Germania la campagna di AFD. Il biglietto aereo con scritto "paese sicuro" e il qr col loro sito, la foto della coppietta che simula la casetta coi bambini e il saluto romano. Comunicano molto bene:
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informapirata ⁂
in reply to Elena Brescacin • • •@talksina la farei ancora più semplice: i sedicenti progressisti sono delle pippe. Così scandalosamente pippe che in confronto Fratelli d'Italia e AFD sembrano quasi soggetti normali
@notizie @fediverso
Elena Brescacin
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alexraffa
in reply to Elena Brescacin • • •My2cents
Elena Brescacin
in reply to alexraffa • • •Julian Del Vecchio
in reply to Elena Brescacin • • •El Salvador
in reply to Julian Del Vecchio • • •@redflegias pubblicità inserita con successo!
@talksina @informapirata @notizie @fediverso @ufficiozero @devol
Elena Brescacin
in reply to El Salvador • • •Pubblicità? Ah, parlavi di ufficio zero... pensavo dicessi a me LOL
Seriamente qua i progetti interessanti tipo ufficio zero appunto, vengono diffusi sempre in questa piattaforma ma chi dovrebbe saperli davvero -cioè le PA- non li conoscono.
Julian Del Vecchio
in reply to Elena Brescacin • • •Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to Julian Del Vecchio • •@Julian Del Vecchio il problema delle soluzioni basate su Linux come per tutte le soluzioni basate su software libero, ma il discorso si può estendere a tutti i software e i servizi che non sono considerati leader del settore, e la percezione comune che non li vede come software e servizi affidabili punto
Non c'è alcun solo direttore it che non si sia trovato di fronte al dilemma tra acquistare software o servizi dei leader del settore rispetto al non acquistarli: la scelta andrà sempre ai leader del settore perché ti consente di devolvere la responsabilità della scelta. Infatti se le cose andranno male tu potrai sempre dire che ti sei affidato al leader del settore... in questo modo ottieni il frutto, ossia il pagamento dello stipendio da direttore, e rinunci alla scorza, ossia il fatto che non ti prendi praticamente alcuna responsabilità in caso di problemi.
Questo è il motivo per cui nella pubblica amministrazione e nella grande impresa è sempre molto difficile scalzare i cosiddetti e sedicenti leader del settore
@El Salvador @Elena Brescacin
Elena Brescacin
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Elena Brescacin
in reply to Elena Brescacin • • •E iniziare a usarlo nelle pubbliche amministrazioni su larga scala, sarebbe la spinta necessaria a sbloccare anche questo.
Ma secondo me sul software libero grava tutta una serie di stereotipi come "è da hacker", con l'accezione negativa, data per assodata, del termine. (2/2)
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Julian Del Vecchio
in reply to Elena Brescacin • • •Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
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Elena Brescacin
in reply to Julian Del Vecchio • • •Elena Brescacin
in reply to Elena Brescacin • • •Una volta ho contattato quelli di Fair Phone, dicendo loro che un telefono non ottimizzato per l'accessibilità non è un telefono etico. E loro me ne hanno fatto una ragione di costi, sul motivo dell'inaccessibilità. (2/3)
Elena Brescacin
in reply to Elena Brescacin • • •ricci
in reply to Elena Brescacin • • •Elena Brescacin
in reply to ricci • • •Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to ricci • •@ricci sicuramente il saluto romano non c'entra nulla con i romani di nessun'epoca, ma si chiama proprio saluto romano. Non voglio fare il pignolo, ma anche se puoi liberamente chiamarlo saluto fascista, priapismo brachiale o refrigerazione ascellare, il termine corretto è proprio saluto romano
@Elena Brescacin
Elena Brescacin
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •@ricci "saluti romani ---> tiri su la mano" (non è mia, è di 101 anagrammi zen)
Poi oh! Ognuno dica quello che vuole ma è giusto dargli il nome corretto.
Anche se l'attribuzione a Roma non è precisa (sto leggendo fonti su Wikipedia) l'hanno sempre chiamato così. Io per non farmi mancare niente ho sempre detto "il saluto dell'estrema destra"
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Elena Brescacin
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Ma la f di "ferait" (farebbe) è diventata "s" (sarebbe), "envie" -invidia) è stato separato in "en vie" -in vita- e allora ecco "se non fosse morto, sarebbe ancora vivo" Perculato per secoli.
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to Elena Brescacin • •@ricci
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to Elena Brescacin • •@Elena Brescacin il fatto è che il presunto richiamo a un passato vero o adulterato non è un dettaglio, ma è un elemento fondante di quello che sarà il fascismo e di quello che saranno tutti i fascismi, che non sono semplice dittatura e autoritarismo, ma aggiungono l'elemento mitico che riesce ad avere una presa unica all'interno del tessuto sociale e garantisce in tal modo quel consenso ideologico che fa la differenza
@ricci
Elena Brescacin
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ricci
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Elena Brescacin
in reply to ricci • • •Su lingua, parole e storie, fa presa maggiormente quello che è più facile trasmettere alla gente poco acculturata. E non uso "trasmettere" a caso, parlando di parole: se tu vai all'estero per esempio U=U è un concetto assodato. Si parla di HIV. Invece qua in Italia ancora "se lo conosci lo eviti" con tanto di alone viola si porta dietro lo stigma, è difficile spiegare cosa voglia dire "undetectable untransmittable", ignorano la differenza tra HIV e AIDS... figurarsi la politica.
Elena Brescacin
in reply to ricci • • •Loro perché hanno successo? Perché illudono di semplificare la complessità con la forza, e la retorica. Se noi iniziamo a usare parole che il pubblico non capisce, creiamo muro a prescindere.